Francesco Cappelli
racconta…
Negli anni della Seconda Guerra Mondiale la parola "sfollamento" indicava l'abbandono forzato della propria casa, imposto dai Tedeschi. Il fronte si avvicinava a Marradi e i Civili, donne e bambini se ne dovevano andare, per non intralciare le operazioni militari. I Capitelli, indicato nella foto qui accanto, è un poderetto che i Tedeschi usarono come punto di osservazione, dopo aver sgomberato i marradesi che erano sfollati lì. Fra questi c'era Francesco Cappelli e da qui comincia il suo racconto:
“ Eravamo verso la fine dell’estate 1944, la campagna si dipingeva di colori tenui, flebili, che anticipavano l’autunno atteso con ansia nella speranza che ponesse fine a questo conflitto che procurava lutti e distruzioni alla nostra amata patria.
Il terrore che io provavo era grande. Udivo da lontano un rumore sommesso accompagnato da lampi continui come se stesse per arrivare un forte temporale. Ma non era pioggia che si annunciava, bensì erano cannoni che lanciavano in continuazione granate di diverso calibro. Fu in quel periodo che il Comando Tedesco ci impose di partire dalla zona di Val della Meda e allora noi ci ricongiungemmo con mio zio Gino Miniati e mio cugino Mario ai “ Capitelli” verso Palazzuolo, vicino al ponte di Colecchio, dove restammo una decina di giorni circa.
Ricordo che in quel periodo, nella notte, io e Mario Miniati uscivamo dalla stalla dove dormivamo insieme a una quindicina di persone, e osservavamo il cielo illuminato da potenti “ bengala”. Questi illuminavano il paese come se fosse giorno poi, lentamente, si spengevano…
Altre notti abbandonavamo la stalla e correvamo verso un umidissimo rifugio scavato nel bosco. Poi ci fu ordinato di abbandonare il podere e recarci altrove.
... osservavamo il cielo
illuminato da potenti bengala ...
Fu fatto un consiglio di famiglia e mio zio Gino con la moglie Lina e i figli Gabriele e Mario decisero di scavalcare i monti e recarsi nella zona di Gamberaldi dove Gino fu sequestrato e ucciso dai partigiani. Io, mia mamma Veglia, sorella di Gino, mia sorella Adriana, mia nonna Florinda, mia zia Anita con la piccola Giovanna, seguimmo gli ordini del Comando Tedesco che ci inviò a Camosciano dove era concentrato mezzo paese. Anche lì sostammo alcuni giorni in spasmodica attesa e con pochissimo cibo. La nostra destinazione era Medicina nella bassa Romagna: a piccoli gruppi dovevamo partire a piedi per raggiungere il luogo predestinato.
Una sera giunse l’ordine di organizzarci ed incolonnarci per raggiungere la meta. In pochi minuti, con carri trainati da buoi, ci incolonnammo e , a passo lento, ci avviammo verso la Romagna.
Eravamo guidati e controllati da una decina di guardie che indossavano la divisa della Repubblica di Salò. Io ero febbricitante ma non ne feci parola: durante il giorno non avevo fatto altro che mangiare dalle viti l’uva che mi dissetava e mi nutriva, ma forse avevo esagerato.
intestato a Veglia, madre di Francesco,
per andare al campo di raccolta
di Medicina, vicino a Bologna.
Durante il tragitto vedevamo gruppi che si dileguavano nel buio per raggiungere località diverse da quella predestinata. Noi non avevamo alcun carro ma solo uno zaino ciascuno, nel quale avevamo riposto il nostro guardaroba. Lì cominciai a scoprire la fatica con la febbre e il peso sulla schiena. Finalmente giungemmo a San Cassiano e fummo collocati in locali vuoti a pian terreno e ci fu dato del fieno dove dovevamo sdraiarci per riposare. Io sentivo il fieno bucare la mia carne ma il sonno era tanto che mi addormentai. Al mattino fummo incolonnati di nuovo per incamminarci verso Medicina: nel frattempo la colonna si era assottigliata così anche i miei confabularono e decisero di scappare alla prima occasione che capitò dopo il ponte di Fognano. Lì scoprimmo che alla sinistra della strada la porta che ora conduce all’ospizio era aperta e ci infilammo dentro evitando di essere visti dalle guardie.
... i miei confabularono e decisero
di scappare alla prima occasione,
che capitò dopo il ponte di Fognano ...
A destra: La strada al centro di Fognano,
che va verso il ponte sul Rio Bagno
Attendemmo con pazienza e speranza che la colonna si sfilasse tutta e dopo un certo tempo ci incamminammo verso Brisighella dove speravamo nell’accoglienza dei nostri parenti, cosa che fecero offrendoci un locale e una cantina nel Bar Aurora nella piazza del paese come rifugio per la notte. Finalmente avevamo raggiunto una certa libertà!
... speravamo nell'accoglienza
dei nostri parenti, cosa che fecero offrendoci
un locale e una cantina nel Bar Aurora ...
A sinistra: Brisighella, via Firenze
(di fronte alla chiesa principale)
in una foto d'epoca. Il bar Aurora
si intravede sulla sinistra.
si intravede sulla sinistra.
A Brisighella facemmo presto amicizia sia con altri sfollati sia con alcuni locali, ma il problema principale era procurarci del cibo. Nel frattempo un plotone di tedeschi requisì una stanza della cantina dove alloggiavamo per potersi riposare: essi venivano dalla “ prima linea” del fronte che era nei pressi di Marradi. Io feci amicizia con un giovane tedesco che mi portava notizie del mio paese e mi regalò una rivoltella a tamburo che però non funzionava perché aveva il grilletto che non scattava. A me però piaceva lo stesso e ricordo che la custodivo gelosamente tanto che seppi farla sfuggire anche a una perquisizione tedesca confondendola con i miei giochi dentro un comodino.
Un giorno quel giovane tedesco mi si avvicinò e mi disse:” Marradi alles Kaputt” Io non volevo credere che Marradi fosse "tutto finito" ma quando tre mesi dopo rientrammo nel paese scoprì che Viale Baccarini e Via Pescetti erano state distrutte dai bombardamenti aerei alleati mentre Via Celestino Bianchi dove abitavo io e la mia casa erano completamente scomparse sotto un cumulo di macerie. Il Ponte Grande sul Lamone non esisteva più e anche mezza via Tamburini era stata distrutta dalle mine con cui i tedeschi cercavano di rallentare l’avanzata degli Alleati.
... Marradi alles kaputt,
Marradi è tutta distrutta ...
In questa foto famosa
Mariòla rientra in paese
con la sua mucca.
Marradi fu liberata dagli Alleati il 25 settembre del 1944 e noi tutti ci attendevamo che essi raggiungessero Brisighella in pochi giorni. Ma la guerra ha ritmi e tempi propri: il fronte si fermò nei pressi di Monte Romano - Sant’Adriano – Lutirano - Tredozio e non si muoveva.
Quello che avanzava inesorabilmente e puntualmente era l’inverno che ci colse di sorpresa e con vestiti estivi. Forse destammo pietà perché il figlio del Dottor Montanari di Brisighella mi regalò un cappotto e qualche altro capo di vestiario per coprirmi in maniera adeguata.
Poco prima ci giunse la tremenda notizia del sequestro di mio zio Gino Miniati da parte dei partigiani. Sapevamo che i partigiani non facevano prigionieri e presto avemmo la conferma dell’ uccisione sommaria di mio zio da parte degli stessi. Questo fatto ci turbò ma cercammo di tenerlo nascosto a mia nonna Florinda che apprese la notizia solo quando rientrammo a Marradi.
Ricordo che man mano che il fronte avanzava, Brisighella veniva colpita da due o tre cannonate al giorno, sempre alla stessa ora. Le cannonate e il passaggio delle formazioni aeree non impensierivano i brisighellesi che dicevano che loro, a New York, avevano il Nunzio Apostolico Cardinal Cicognani…
... ma noi fuggivamo ugualmente in un rifugio molto protetto sotto la Torre dell’Orologio costituito da una profonda galleria scavata nella roccia dove ci sentivamo al sicuro.
A sinistra:
La Signora del Tempo,
ossia la Torre
ossia la Torre
dell' Orologio di Brisighella .
Agli inizi di ottobre venimmo a sapere che nella linea del fronte vi era una via poco sorvegliata dai Tedeschi e che in quel punto si poteva passare ma mentre ci preparavamo a partire ci giunse la notizia che qualche civile passando su quella via era incappato nelle mine morendo. Così decidemmo di rinviare la partenza.
Intanto il fronte si avvicinava e sentivamo il rumore del continuo transitare delle truppe tedesche con i mezzi corazzati e i cannoni. Tornata la calma udimmo due forti boati che fecero tremare i vetri del paese: I Tedeschi avevano fatto saltare i due ponti paralleli, quello della ferrovia e quello stradale chiamato il “Ponte Lungo” per le molteplici arcate.
I ponti della ferrovia
(il primo) e della strada
per Faenza
Capimmo con sollievo che il fronte si allontanava e che la via della valle del Lamone era liberata. Eravamo ai primi di Dicembre e la gioia ci fece scordare la fame sofferta, i disagi e la paura subiti.
A sinistra:
gli Alleati a Brisighella
... eravamo ai primi di dicembre
e la gioia ci fece scordare
la fame sofferta ...
In quei giorni vedemmo avanzare per Via Roma dei militari della “Maiella” vestiti con divise ed armi inglesi che furono accolti con applausi dalla popolazione affacciata alle finestre. Ci sentivamo liberi ma il pericolo non era ancora passato perché alcuni militari della “Maiella” alcuni giorni dopo morirono in uno scontro con i Tedeschi. Così dopo tre mesi si concluse il nostro sfollamento a Brisighella e potemmo rientrare a Marradi per riorganizzarci nel migliore dei modi.
Alcuni soldati della brigata
Maiella in rassegna, forse sono
nella piazza di Brisighella.
Questa formazione era aggregata
all' VIII Armata inglese
e composta tutta da italiani.
Fonti Notizie e documenti forniti dall'autore, stesura in collaborazione con Luisa Calderoni
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