Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

sabato 12 aprile 2025

Storie di donne

Le loro vicende di vita
nei secoli antichi

Ricerca di Claudio Mercatali





Nelle ricerche storiche sulle nostre zone si incontrano condottieri, capitani di ventura, conti, marchesi, artisti, religiosi importanti e altri personaggi ma di rado si parla delle donne. Esse furono solo spettatrici delle vicende dei loro congiunti o furono anche protagoniste? Ecco, la ricerca di oggi riguarda le donne che nel corso dei secoli lasciarono un ricordo per le loro qualità o per i difetti e non per il solo fatto di essere mogli di qualcuno importante.


923 Engeralda da Modigliana

Da vari documenti risulta che nel 923 il conte di Pistoia Tegrimo o Teudegrimo nel corso di una battuta di caccia passò da Modigliana e conobbe Engeralda, figlia del duca Martino di Ravenna, signora del paese. Fu amore a prima vista e si sposarono. Da loro prese origine la dinastia dei Conti Guidi, che per quasi tre secoli governarono anche a Marradi, con un fitto intreccio di interessi con i frati della Badia del Borgo. Engeralda aveva una personalità più forte di quella di Tegrimo e viene considerata la capostipite dei Guidi di Modigliana.


1302 Francesca Pagani

Francesca era figlia di Maghinardo Pagani, il temibile feudatario della valle del Senio e del Lamone, morto nel 1302 a Casa Cappello (S.Adriano di Marradi). Maghinardo non aveva eredi maschi e il suo cospicuo patrimonio fu spartito fra le due figlie Francesca e Andrea (a quei tempi questo nome si dava anche alle donne) e la nipote Albiera. La brillante ma dissoluta Francesca sposò Francesco Orsini, incline a spendere anche i soldi che non aveva e dopo qualche anno i due coniugi si ritrovarono pieni di debiti. Vendettero il palazzo di Faenza ma poi, tartassati dai creditori si rifugiarono nel castello di Benclaro, a S. Adriano di Marradi.


I creditori assalirono il fortilizio e si presero tutto. Fu una specie di pignoramento forzato più che un assedio e Francesca con suo marito si ridussero ad una vita umile, padroni di niente nella valle del Lamone dove suo padre Maghinardo aveva spadroneggiato.




1352 Le donne di Lozzole


La conquista dei castelli di Lozzole, che era dove ora c’è la chiesa e di Casté (che appunto significa castello) fu una faccenda complicata. Nel Trecento erano degli Ubaldini, conquistati e persi più volte dai Fiorentini che cercavano di imporsi sull’ Appennino. In una battaglia vinta dagli Ubaldini successe che le donne affiancarono i loro uomini e urlando di notte scompaginarono le file dei Fiorentini che si diedero alla fuga giù per le balze di Casté. Leggiamo come si svolsero i fatti secondo il cronista fiorentino Matteo Villani, vivente a quel tempo …

“… All’uscita di Novembre di detto anno (1352) avendogli Ubaldini stretto il castello di Lozzole, i Fiorentini mandarono dugento cavalieri e millecinquecento masnadieri col vicario di Mugello nell’alpe, e presono in sul giogo dell’alpe il poggio di Malacoda e quello di Vagliana, e fecionli guardare à fanti a pié e a’ cavalieri, e con seicento masnadieri tennero i Prati: ed eletti cento buoni masna dieri condussero il rifornimento con la salmeria, e rotti quelli del battifolle (= della barricata) che vole­ano contrastare il passo, la roba condussero nel castello …”

Tutto a posto? No, perché:

“… Certi villani del paese, pochi e male armati, con trenta femmine ch’aveano con loro salite, sopra Malacoda gridavano contro a’masnadieri che erano a quella guardia, e le femmine urlavano senza arresto; i codardi masnadieri chiesero soccorso a messer Giovanni degli Alberti, che mandò cinquanta cavalieri i quali si rimasono nella Piaggia. Il castello era fornito e l’animo della gente codarda era di tornare in Mugello. Quei di Malacoda, non vedendo venire soccorso, impauriti dalle grida delle femmine abbandonarono il poggio, fuggendo alla china. I fanti degli Ubaldini, che erano settanta per novero, li cominciarono a seguire e lasciarono i palvesi (= gli scudi) per essere più spediti e le trenta femmine se­guitavano rinforzando le grida; allora tutta l’oste si mosse dirupandosi e voltolandosi per le ripe. Il Vicario fu il primo che portò la novella della rotta alla Scarperia.
… rimasono prigioni centoventi cavalieri e più di trecento pedoni; morti n’ebbe pochi. Ha merito qui essere notata per esempio della mala condotta, che spesso i vinti fa vincitori e i vincitori vinti”.



1359 Cia degli Ubaldini

Cia degli Ubaldini di Susinana (Palazzuolo sul Senio) era figlia di Vanni da Susinana, un tipaccio, condottiero di ventura, protagonista di tanti episodi truci (ma in linea con i tempi).



Suo marito era Francesco Ordelaffi, signore di Forlì e Cesena. Cia aveva ereditato dagli Ubaldini il gene del comando e dell’ impresa e resistette a Cesena assediata dal cardinale Albornoz che intendeva riconquistare la Romagna in favore dei papi.



Sconfitta nel 1359 e catturata fu imprigionata ad Ancona, seppe farsi rispettare ma alla fine morì lì.






1501 Caterina Sforza


Bella, di famiglia nobile, autoritaria, intrigante, vendicativa, sposata e vedova tre volte, amata da un certo numero di uomini, scrittrice di ricette con erbe salutari, signora di Imola e di Forlì, capiva la complicata politica della agitata Romagna dei suoi tempi più quanto sapevano fare i maschi del suo tempo. 


Nelle sue tantissime lettere ogni tanto parla di Marradi, invitando i Fiorentini a difendere il paese dai Veneziani. Da lei sappiamo che Marradi fu incendiata dai Veneziani in ritirata. Era madre del condottiero Giovanni dalle Bande Nere, avuto da Giovanni de’ Medici, il terzo marito.






Fu sconfitta da Valentino Borgia dopo il duro assedio di Forlì del 1501 ma costui non ebbe il coraggio di ucciderla durante la prigionia a Castel S. Angelo, come fece con Astorre Manfredi signore di Faenza e la liberò. Così lei finì i suoi giorni a Firenze. Questa è l’estrema sintesi della sua vita, ricordata ancora oggi con rispetto a Forlì, il che non è poco.





Si narra che un giorno, assediata nella rocca di Forlì, fu minacciata dai nemici, che avevano preso i suoi figli in ostaggio. Per risposta salì sulle mura, sollevò la sottana e disse che … Leggi il fatto qui accanto.



1501 Diamante Torelli


Diamante era una ragazza che durante l’assedio di Faenza del 1501 salì sugli spalti spada in pugno a contrastare i soldati di Valentino Borgia che salivano sulle mura. Non si sa altro di lei, però è rimasta la sua memoria e a Faenza le è stata intitolata la via dove lei agì. 




In quegli stessi giorni sulle mura morì il colonnello Fabbroni, originario di Marradi, nell’estremo tentativo di contrastare il Borgia. La sua famiglia aveva per soprannome “i Marradi” che poi divenne il loro cognome. Il loro blasone era un cavaliere con la lancia spezzata, che appunto sarebbe il colonnello Francesco Fabbroni detto “il Ploia” (la pioggia). I Marradi si sono estinti nel Settecento.


1554 Maria Angelica Razzi


Ora per perimetrare la situazione bisogna allargarsi un po’: Maria Angelica era la sorella dei frati marradesi Silvano e Serafino Razzi. Il primo fu priore di Santa Maria degli Angioli e anche di Camaldoli e suo fratello Serafino fu un predicatore, viaggiatore instancabile e appassionato di musica. Maria Angelica era suora nel Monastero di Santa Caterina, in Piazza San Marco a Firenze. La priora del suo convento si chiamava Plautilla Nelli e secondo il Vasari fu la prima pittrice fiorentina. Abile con il pennello e negli affari, assieme ad altre monache aveva creato una vera e propria “bottega artistica” dentro la clausura, e vendeva quadri e sculture a tanti committenti. Di lei abbiamo di sicuro solo tre quadri: un Compianto sul Cristo morto, che oggi è al museo San Marco di Firenze, una Pentecoste alla Basilica di San Domenico a Perugia e un’ Ultima Cena, al Refettorio di Santa Maria Novella di Firenze.


Maria Angelica Razzi realizzava sculture “di terre” ossia di terracotta o gesso nella “bottega” di Plautilla. Ce lo dice Serafino, che la incontrava spesso. Plautilla Nelli nel 1554 dipinse la Pentecoste per la Basilica di San Domenico a Perugia e si occupò anche dell’Altare della Madonna del Voto. Mise all’opera le suore della sua “bottega” e Maria Angelica realizzò una Madonna con Cristo in grembo che ancora si può vedere in quell’altare, nella quarta cappella della navata destra. Ai lati dell’ altare ci sono quattro statue della stessa fattura ed è possibile che siano di Maria Angelica Razzi. Se le cose stanno così allora quella che rappresenta un frate potrebbe essere il ritratto di Serafino Razzi, il suo amato fratello. Del resto lui stesso, parlando di sua sorella dice che “… realizza somiglianti figure di terra …” .


I tempi sono compatibili con questa ipotesi perché, secondo lo storico don Albino Varotti, Serafino nacque il 13 dicembre 1531 ed entrò in convento a diciotto anni e Plautilla Nelli dipinse la Pentecoste che è nell’altare di fronte nel 1554. Dunque Maria Angelica, suora dal 1552, dopo pochi anni fece la Madonna con Gesù in grembo e forse le altre statue dell’altare.


Queste suore pittrici e scultrici avevano anche un certo senso dell’umorismo e il critico Vincenzo Fortunato Marchese (1845) ci dice che: “ E’ tradizione che suor Plautilla, volendo studiare il nudo per la figura del Cristo, si giovasse di quello di una monaca defunta, e le altre suore celiando fossero solite dire che la Nelli in luogo di Cristi faceva Criste”.

Ecco quindi che nella famiglia Razzi emerge anche la figura di una donna colta, abile nel fare, con tante consorelle argute e attivissime.


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