Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 30 luglio 2014

I poderi delle suore



Un estimo antico (1655)
delle rendite del Monastero
delle Domenicane di Marradi
di Claudio Mercatali



Il monastero nell' '800, con i suoi giardini interni, secondo la ricostruzione di V.Mercatali



Il Monastero delle suore Domenicane di Marradi è antico. Fu fondato nel novembre del 1575. Lo studioso Carlo Mazzotti, in un suo libro dice che:

 La fabbrica del convento fu intrapresa a spese della Comunità di Marradi cedendovi le rendite dei mulini per alcuni anni” ma fu finanziata anche dagli immancabili Fabroni. Come si manteneva un monastero, visto che nessuno lavorava? 




Chiese e conventi si sono sempre mantenuti con le rendite agrarie dei loro poderi. In più c’erano le elemosine, i lasciti e le eredità. Nel corso dei secoli spesso la proprietà si ingrandiva e pagava poche tasse. Nel caso dei Monasteri femminili, come questo di Marradi, un buon introito veniva anche dalle “vestizioni” ossia dalla dote che le famiglie lasciavano al momento in cui una figlia si faceva suora. Questo è un punto delicato, perché spesso non si riusciva a capire se la vocazione monacale fosse autentica o indotta dalla famiglia per non dividere il patrimonio, come ci insegna il Manzoni nei Promessi Sposi. Lo studioso Carlo Mazzotti ci dice che nel 1655 il monastero di Marradi stentava ad andare avanti, per miseria, e allora:

“… in cagione di queste misere condizioni le Monache inviarono un memoriale alla Congregazione dei Vescovi supplicando che fosse loro concessa la licenza di poter accettare come monache soprannumerarie Elisabetta Bassani di Francesco e Lucia Bassani di Baldino, cugine, che non erano di Marradi. Questo tornava utile perché le nuove suore di Marradi pagavano mille e ottocento lire per la vestizione, mentre queste due estranee portavano tremila lire”.


Quali erano le proprietà del Convento delle Domenicane? Qui sopra c’è l’elenco dei poderi delle monache, nel 1655, che è cambiato nel corso dei secoli a seguito di tante vicende.
La rendita agraria è la stima di quanto si può ricavare mediamente da un podere. Non è un valore preciso, ma un estimo, più o meno raffinato a seconda del numero dei raccolti che si usano per definirlo. Nel caso dei Monasteri la resa agraria media era quasi sempre calcolata su un gran numero di anni, perché queste proprietà rimanevano agli Enti ecclesiastici anche per dei secoli. Perciò si può ritenere che i conteggi qui sopra siano attendibili. La quota padronale della rendita, ossia la parte di raccolto che spettava al padrone, di solito era il 50% del totale.



Insomma le suore erano ricche o no? Vediamo.
 
Ogni anno spettavano al Convento 63 some di castagne, ossia 82 quintali e 2175 libbre di carne di maiale, cioè 761 Kg. C’erano anche 114 corbe di grano, che sarebbero circa 41 quintali. Dalle pecore e le capre arrivava il latte e dalla vendita dei bovini, quando c’era, qualche altro soldo. Probabilmente si ricavava qualcosa anche dalla vendita delle biade, dell’uva e delle foglie di gelso, ma non molto perché i poderi elencati qui sopra sono poco adatti per i foraggi e la vigna. 

Nel 1648 le monache erano 34, di cui 29 corali e 5 converse; però vi era posto per 36 monache. Con questi dati si possono fare diversi conti, tutti un po’ impropri a dire il vero, però utili per avere un’idea delle quantità. Qui sotto c’è un conteggio da cui risulta che ogni suora poteva contare mediamente ogni giorno su sei o sette etti di castagne, mezz’etto di carne e circa tre etti di pane.

Quantità annua totale          Al giorno (diviso 365)           A persona (diviso 34)
82 q di marroni                               22,46 Kg                                   6,6 etti
761 Kg di carne                                2,08 Kg                                   0,6 etti
41 q di grano                                  11,23 Kg                                   3,3 etti

Quindi in questa clausura si faceva una vita abbastanza grama. E i soldi? Dai poderi si ricavava poco, e poco altro si poteva ottenere dalle elemosine. Non sembra che i Signori del paese fossero particolarmente munìfici e anzi, all’occorrenza, bussavano alla porta del convento per farsi prestare dei soldi. 

 Marradi visto da Giugòla 
(qui accanto)
e da S.Bruceto (sotto)

Da antichi documenti sappiamo che il convento nel 1655 vantava crediti verso Federico Fabroni per 500 lire e verso Cesare Fabroni per 740 lire. La vera rendita “finanziaria” veniva dai Legati di Messe e dai lasciti con obblighi testamentari. 



Cioè spesso i benestanti lasciavano al Convento una certa somma annua (il Legato) purché venisse detto un certo numero di messe in loro ricordo. Queste funzioni avvenivano soprattutto negli altari laterali, dedicati ai santi. Così per esempio nell’altare di S.Antonio Abate le suore avevano l’obbligo di far dire messa ogni mattina per i soliti Fabroni e alla Cappella del SS. Crocifisso c’era l’obbligo permanente di quattro messe alla settimana in memoria dell’avv. Giovanni Tamburini. 



Altri obblighi di questo tipo, tutti a pagamento, erano per la famiglia Gondi e Castelli. Tutto ciò era scritto in veri e propri contratti firmati di fronte ad un notaio. Insomma nella chiesa delle suore si diceva messa anche due o tre volte al giorno, per gli obblighi del calendario liturgico e per molti altri motivi. A complicare ancor più le cose c’è il fatto che, siccome le monache non possono dire messa, tutte queste funzioni spettavano all’Arciprete, che aveva sul Monastero i cosiddetti diritti parrocchiali, ossia riscuoteva un tanto a messa.


 S.Domenico (sul lato destro della chiesa)


Nonostante ciò le suore vissero quasi sempre in ristrettezze finanziarie, fino ai primi decenni dell’Ottocento. Poi le cose migliorarono, perché nel 1817 ottennero dal vescovo di Faenza una liberatoria dai diritti parrocchiali e poi, nel 1820, ereditarono i beni e gli arredi del soppresso monastero di Tredozio. Infine nel 1830 – 1840 ottennero anche le proprietà dei Frati della Badia di Susinana, dopo la chiusura di quel cenobio. Con queste entrate straordinarie nel 1838 fu costruita ex novo la chiesa attuale, la cosiddetta "gisa del mong".




1 commento:

  1. E' sorprendente scoprire attraverso questo sito, che un paese piccolo come Marradi sia così ricco di storia, che probabilmente la maggioranza delle persone pur non abitando molto distante ignora. Grazie

    RispondiElimina