del Novecento
ricerca di Claudio Mercatali
I fratelli Lumière sono gli
inventori del cinematografo, per aver brevettato nel 1895 la pellicola
classica, quella con i fori di fianco che ne permettono lo scorrimento nel
proiettore. Fu una rivoluzione, perché fino ad allora nessuno era mai riuscito
a produrre delle immagini in movimento e le stesse fotografie erano ancora una
rarità.
In poco tempo il proiettore
Lumière divenne un'attrazione da teatro e nelle fiere più importanti non mancava
quasi mai la camera oscura, nella quale la gente si accalcava per vedere i
filmati. Qui da noi negli ultimi anni dell'Ottocento venivano già fatte queste
proiezioni.
Ecco un articolo del Messaggero
del Mugello del 1898 dove un meravigliato giornalista dà un rendiconto di
quanto aveva visto nel cinematografo del sig. Filippi, al teatro di Borgo
S.Lorenzo. Alla fine consiglia i lettori di affrettarsi a Marradi, dove Filippi
si era spostato con la sua attrezzatura.
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Dunque i marradesi, già alla fine
dell' Ottocento sapevano che cosa fosse il cinematografo e chi poteva
permetterselo aveva visto qualche filmato al teatro o alle fiere d'estate.
Per proiettare nelle fiere con la
macchina Lumière serviva poco, bastava una baracca per avere un po' di oscurità,
qualche panca e una stesa di segatura bagnata, perché la polvere non
imbrattasse le scarpe e le sottane alle signore. I brevi filmati, le
"vedute" come si chiamavano allora, scorrevano alla luce irreale
della macchina. Mostravano Parigi, Londra, la danza dell'odalisca e altri
soggetti che potevano piacere ai ragazzi e alle signorine disposti a pagare il
biglietto per questa curiosità.
* * *
Detto questo leggiamo un passo
dei Canti Orfici, "La notte" alla sezione 12, e avremo una
spiegazione chiara dell'ambiente in cui si trovava il poeta quando scrisse
questa prosa, probabilmente nel 1905 o 1906:
Ne la sera dei fuochi de la festa d'estate, ne la luce deliziosa e
bianca, quando i nostri orecchi riposavano appena nel silenzio e i nostri occhi
erano stanchi de le girandole di fuoco, de le stelle multicolori che avevano
lasciato un odore pirico, una vaga gravezza rossa nell'aria, e il camminare
accanto ci aveva illanguiditi esaltandoci di una nostra troppo diversa
bellezza, lei fine e bruna, pura negli occhi e nel viso, perduto il barbaglio
della collana dal collo ignudo, camminava ora a tratti inesperta stringendo il
ventaglio. Fu attratta verso la baracca: la sua vestaglia bianca a fini strappi
azzurri ondeggiò nella luce diffusa, ed io seguii il suo pallore segnato sulla
sua fronte
dalla frangia notturna dei suoi capelli. Entrammo. Dei visi bruni di
autocrati, rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa, si volsero verso di
noi, profondamente limpidi nella luce. E guardammo le vedute. Tutto era di un'irrealtà
spettrale. C'erano dei panorami scheletrici di città. Dei morti bizzarri
guardavano il cielo in pose legnose. Una odalisca di gomma respirava
sommessamente e volgeva attorno gli occhi d'idolo. E l'odore acuto della
segatura che felpava i passi e il sussurrio delle signorine del paese attonite
di quel mistero. «È così Parigi? Ecco Londra. La battaglia di Muckden.» Noi
guardavamo intorno: doveva essere tardi. Tutte quelle cose viste per gli occhi
magnetici delle lenti in quella luce di sogno! Immobile presso a me io la
sentivo divenire lontana e straniera mentre il suo fascino si approfondiva
sotto la frangia notturna dei suoi capelli. Si mosse. Ed io sentii con una
punta d'amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino. La seguii
dunque come si segue un sogno che si ama vano: così eravamo divenuti a un
tratto lontani e stranieri dopo lo strepito della festa, davanti al panorama
scheletrico del mondo.
* * *
La cruenta battaglia di Mukden fu
l'episodio conclusivo della guerra Russo - Giapponese e si combatté nel marzo 1905.
E' uno dei primi fatti storici documentati con mezzi cinematografici.
Il poeta era a una fiera di Marradi o a qualche fiera di Faenza? Il fatto
è stato discusso tante volte ma lui stesso sembra darci un'indicazione quando
dice che durante la proiezione sentiva "il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero"
e il nome "paese" è pertinente a Marradi più che a Faenza.
Le cose non andarono bene a Dino Campana
quel giorno, perché la ragazza che era con lui si ritrasse a qualche sua
advance e:
" ... io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata che mai
più le sarei stato vicino ".
Questa prosa, con qualche
variante, c'è anche nel manoscritto Il più lungo giorno (qui accanto), con il
titolo "Amore".
La delusione forse fu più forte
di quello che il poeta lascia intendere in questa prosa, perché la trama della
poesia La sera di fiera sembra il continuo di questo racconto.
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