Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

sabato 11 giugno 2011

Qualche pianta da cucinare

Alla riscoperta di alcune vecchie ricette
di Claudio Mercatali


I vitalbini sono le punte della pianta

Certe piante erbacee spontanee del nostro appennino sono commestibili e un tempo erano un alimento comune, gradito ed economico. Qui di seguito ci sono quattro semplici ricette, e nell'archivio del blog, al mese di maggio 2011, ce ne sono altre quattro. Dalle piante si possono ricavare anche degli oli balsamici, come l'olio di iperico, descritto nell'articolo del 21 giugno, qui su questo blog.

LA VITALBA
Una tenace pianta rampicante

Potete raccogliere la vitalba quando inizia a vegetare, in primavera, e per tutta l'estate. I raccolti migliori si fanno di solito nel mese di giugno quando le temperature sono già estive, ma il terreno è ancora umido. Ci servono le punte della pianta, i cosiddetti vitalbini, e anche le foglie se sono ancora piccole.

I vitalbini devono essere bolliti per disattivare certi principi tossici che contengono, come molte piante della famiglia delle Ranuncolacee. Dopo la bollitura scolateli e lavateli con acqua tiepida. L’impiego classico è quello di lessarli e poi friggerli in padella, con un po' d'olio. Ci sono molte varianti: qualcuno aggiunge un po' d'aglio tritato, altri un po' di peperoncino in polvere e altri ancora una spolverata di forma.
Le foto qui accanto si riferiscono a una frittata, preparata facendo rosolare del riso ben cotto in precedenza, assieme alla vitalba lessa e aggiungendo un uovo, da mescolare al tutto mentre si frigge per qualche minuto. Il piatto è saporito ma va consumato con moderazione, perché le ranuncolacee mantengono sempre un po' di principi tossici anche se sono lesse.
Una ricetta per un condimento potrebbe essere questa: raccogliete cime di ortiche, vitalbini e foglie giovani di malva in pari quantità. Lessate il tutto e fate ben scolare premendo la massa sul fondo del colino. Dopo aver fatto soffriggere un po’ d’aglio fate saltare in padella un gambuccio di prosciutto passato nel tritacarne, quando è ben rosolato, aggiungete la verdura lessata finemente triturata a mano. Portate a cottura aggiungendo un po' di brodo e magari anche un bicchiere di vino bianco.


IL LUPPOLO


La pianta che rende 
amara la birra

Il luppolo è una pianta rampicante che vive vicino ai fossi, preferibilmente all'ombra e dove c'è qualche albero da invadere. I suoi getti si avvolgono attorno ai tronchi e possono salire per diversi metri. E' una angiosperma dioica, con fiori maschili e femminili, e si usa per la fabbricazione della birra. I fiori femminili, messi a fermentare nel malto conferiscono il tipico sapore amaro a questa bevanda. Però adesso ci interessano le punte delle appendici rampicanti, che sono commestibili.
Gli apici, della lunghezza di circa 20 cm, si raccolgono in primavera (marzo-maggio) e si cucinano come gli asparagi. A differenza della maggior parte dei germogli commestibili, i getti di luppolo sono più gustosi se sono grossi. Lessateli per dieci minuti, con cura, in modo da eliminare il tessuto ruvido che li ricopre e rosolateli in padella, meglio se con il riso, oppure per fare delle frittate.
Si possono anche mangiare lessi, conditi con burro, come contorno di un piatto di carne, come si vede nella fotografia qui sotto.


Le foglie del luppolo hanno cinque lobi (tre quando sono giovani) e i getti assomigliano un po' a quelli della glicine. Se qualcuno ha dei dubbi basta toccarli per sentire la loro tipica rugosità o metterli su una manica: aderiscono come se fossero coperti da un velcro.

Con la cottura la rugosità degli apici di luppolo scompare completamente e rimane un'erba soffice e liscia.

 


LA GLICINE
Un fiore nella ricotta

La Wisteria sinensis nota come Glicine, originaria della Cina è una pianta rampicante ed elegante. In primavera produce dei vistosi fiori a grappolo, di un bel colore viola, che pendono dalla pianta.
Cogliete i fiori, togliete il gambo e quasi tutti i petali. Del fiore interessa il carpello, cioè la parte dove si infila l'ape, perché è lì che si forma il nettare. Assaggiate qualche fiore e se non vi sembra dolce abbastanza aggiungete un po' di zucchero. Inumidite con un po' d'acqua e frullate il tutto. Poi aggiungete della ricotta e frullate di nuovo. Le proporzioni degli ingredienti sono mostrate qui sopra a sinistra: un etto di ricotta richiede due cucchiai di zucchero e una manciata di fiori.

Si ottiene un dessert dal sapore particolare. Questa è la ricetta più semplice, però ci sono varianti più sofisticate e tutte si basano sul fatto che i fiori di glicine hanno molto nettare, soprattutto nella zona di attacco della corolla al carpello, dove ci sono le cellule che lo producono. Quindi ricordatevi di usare il fiore intero, soprattutto il carpello. I petali sono la parte che ci interessa meno. Dunque si tratta di dolcificare un formaggio usando lo zucchero da cucina, o il fruttosio, o il miele d'acacia e aggiungendo anche del nettare.


IL SAMBUCUS NIGRA
Una pianta per le frittelle
e la schiacciata

Il Sambucus nigra è un arbusto che può raggiungere qualche metro di altezza. Il tronco ha un midollo molto spesso e quindi è debole. La pagine superiore della foglie ha un colore verde scuro ma sotto è più chiara. I fiori sono piccoli, bianchi, profumati, e riuniti in un grande ombrello (corimbo). In settembre - ottobre la pianta produce i suoi frutti, che sono delle bacche nerastre con picciolo rosso scuro e un piccolo nocciolo all'interno.
La fioritura avviene in maggio giugno e ora ci interessa perché l'infiorescenza di sambuco è commestibile. Non bisogna esagerare perché il Sambucus nigra, come altre piante della famiglia delle Caprifogliacee contiene delle tossine.

A sinistra il fiore, a destra lo stesso dopo la frittura

La ricetta classica dice di sgranare i fiori per scartare il racemo del corimbo, cioè i rametti dell'ombrello. Preparate una pastella di acqua e farina, mescolatela con i fiori e friggete. Otterrete delle frittelle abbastanza saporite.
Con un'altra ricetta più complicata si può preparare una schiacciata al sambuco, da cuocere nel forno, ma qui ci vuole la mano di un esperto fornaio e infatti questa è una specialità del forno Sartoni di Marradi, che la prepara in giugno quando ci sono i fiori freschi.

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