Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

giovedì 30 aprile 2020

Il primo maggio del 1893

Quattro sospetti sovversivi
a pranzo da Angelone, 
a Crespino
ricerca di Claudio Mercatali




Quattro amici di Marradi decisero di festeggiare il 1° maggio 1893 a Crespino, a pranzo alla trattoria di Angelone. 



La ferrovia era stata appena inaugurata e fu una buona occasione per un viaggetto in treno. Il clima di festa e qualche frase gridata ad alta voce attirarono l'attenzione del Delegato di Pubblica Sicurezza, che evidentemente non aveva in simpatia i Socialisti. Successe che ...

 
Clicca sulle immagini
per avere una
comoda lettura


Chi era il Delegato di Pubblica Sicurezza? Si tratta di una figura che non esiste più, in pratica era un funzionario della Questura che controllava abbastanza strettamente il comportamento dei cittadini. La gente lo considerava uno sbirro ed era in genere poco amato.




mercoledì 22 aprile 2020

Il Duecento qui da noi

La storia del nostro territorio 
in un tempo lontano
Ricerca di Claudio Mercatali



Nel Duecento cominciò finalmente l'uscita dal buio dell’Alto Medioevo. Questa epoca infinitamente lunga durò ancora due secoli, però in Italia le novità furono tante: è il secolo di Dante, della nascita della nostra lingua, delle lotte fra Guelfi e Ghibellini e anche dell’ imperatore Federico II di Svevia, che ora ci interessa perché la nostra storia fino al 1250 fu condizionata dalle sue mosse.

Federico Ruggero di Hohenstaufen (Jesi, 1194 - Fiorentino di Puglia, 1250), fu re di Sicilia dal 1198 al 1250 e Imperatore del Sacro Romano Impero, incoronato ad Acquisgrana nel 1215 e a Roma nel 1220. Discendeva per parte di madre dai Normanni di Altavilla, fondatori del Regno di Sicilia e aveva una personalità affascinante, tanto che era noto anche con l’appellativo di Stupor mundi (meraviglia del mondo). Non accettava il potere temporale dei papi e fu sempre in contrasto con la Chiesa tanto da ricevere due scomuniche dal papa Gregorio IX, che vedeva in lui l'anticristo. Fu protettore di artisti e studiosi e scrittore lui stesso: la sua corte fu luogo di incontro fra la cultura greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Sotto di lui il Regno di Sicilia divenne uno stato moderno ed efficiente. Parlava sei lingue: latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo. La sua biografia si si può trovare facilmente su Internet e quindi andiamo avanti.

 



Dal punto di vista politico la sua idea era chiara: voleva il controllo pieno dell’Italia, senza l’impiccio dei Liberi Comuni o della Chiesa e per ottenere questo non usava mezze misure. Non per niente era il nipote di Federico Barbarossa. Dunque nella prima metà del secolo ci fu una lunga serie di guerre e di contese. I Liberi Comuni ricostituirono la Lega Lombarda ma furono duramente sconfitti nel 1237 a Cortenuova (Bergamo) e la Lega si sfasciò. Eccoci al punto che ci interessa: l’imperatore scese lentamente verso la Romagna riconquistando uno ad uno i Comuni che non si volevano sottomettere e quelli governati dai Guelfi fedeli al papa.




Erano gli anni ruggenti dei Ghibellini, che presero il potere dappertutto profittando di questa situazione. I conti Guidi, signori della collina romagnola e del Casentino, ghibellini per tradizione di famiglia, ottennero terre e favori e i quattro figli di Guido Guerra V in questi anni suddivisero il loro patrimonio dando origine ai quattro rami della dinastia. 



Modigliana e l’alta valle del Lamone toccarono a Guido Guerra VI e al suo fratello minore Simone da Battifolle toccò il Casentino e il Mugello, da Vicchio fino alla Colla di Casaglia. Costoro esercitarono qui da noi una signoria dura e rapace, come si potrà leggere fra un po’. 







Nel 1240 l’imperatore arrivò in Romagna, con l’intenzione di sottomettere la guelfissima Bologna e il 26 agosto pose l’assedio a Faenza. Era podestà il veneziano Michele Morosini che contava su mille fanti bolognesi e veneziani, e sulle milizie del conte Guido Guerra di Modigliana, che pur essendo ghibellino era preoccupato della eccessiva forza dell’ imperatore. Faenza era una piccola cittadina ma l'assedio si rivelò complesso e i costi dell' operazione lievitarono. Federico, dopo aver impegnato tutti gli oggetti di valore, impostò una operazione finanziaria di disperata inventiva: ordinò di coniare delle monete di cuoio il cui valore fu fissato in un augustale d'oro. 





Questa specie di prestito forzoso fu onorato dall' imperatore dopo la conquista della città, quando a chiunque presentasse le monete di cuoio fu restituito l'equivalente in oro. Il 14 aprile 1241 la città concordò la resa. Però frà  Salimbene de Adam, francescano di Parma,dice che Federico II non rispettò i patti: "ingressus, non servavit eis pactum" e gli Imperiali commisero delle crudeltà. Federico II rimase in città ancora per sei settimane per eliminare i suoi avversari e imporre i podestà imperiali.


C’è anche un episodio che anticipa il Patto Confederale Elvetico di neutralità del 1291, firmato dai cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo: nell’esercito di Federico II c’erano molti mercenari svizzeri, che ad un certo punto si lamentarono per non aver riscosso la paga. L’imperatore seguiva l’assedio da una antica casa padronale in una collina sopra Faenza, chiamata “Germana” per l’appunto. Qui (secondo la leggenda) ricevette una ambasceria dei mercenari, che gli chiesero e ottennero anche l’affrancamento dalla servitù dei conti d’Asburgo. Il documento è noto come “Lettera di Faenza”. Gli Asburgo naturalmente reagirono ma dopo circa 50 anni di guerriglie cedettero e si arrivò a Patto confederale fra i tre Cantoni, ai quali si aggiunsero Lucerna, Zurigo, Friburgo e Basilea.


Alla fine dell’assedio anche Guido Guerra di Modigliana fece atto di sottomissione e l’imperatore lo perdonò, dopo avergli comminato una multa salata per l’aiuto dato ai Faentini. 

I balzelli per i Modiglianesi e i Marradesi aumentarono, tanto che l’abate della Badia del Borgo, stanco di essere tartassato dai Conti Guidi si sottomise alla guelfa Firenze per essere protetto. Così nel 1258 il Comune di Firenze fece la prima comparsa nella valle del Lamone. Fu un sollevo di breve durata, perché nel 1260 i guelfi fiorentini furono sconfitti dai ghibellini senesi fedeli all’imperatore e i Conti Guidi di Modigliana tornarono, rapaci come prima. Il Comune di Firenze rinunciò alla accomandigia, (= al diritto di sottomissione della Badia) e tornò nella Valle del Lamone solo dopo cento anni.



L’imperatore morì nel 1250 e le fortune dei ghibellini subirono un rapido declino. Nel 1258 Faenza fu assediata di nuovo, questa volta dal cardinale Ottaviano degli Ubaldini, impegnato nella riconquista di tutte le città romagnole fedeli all’imperatore. Chi era costui? 

Originario di Monte Accianico, castello vicino a Scarperia, era un personaggio difficile da definire. Cardinale e quindi in teoria guelfo, in realtà era un Ubaldini, ossia un ghibellino. Gli viene attribuita la frase " si anima est, ego perdidi ipsam millies pro Gibellinis " (se esiste l’anima io l’ho persa militando per i Ghibellini) e le sue riconquiste giovarono alla sua famiglia più che al Papato. Infatti dopo qualche anno in Romagna ci fu una serie di rivolte, perché fu chiaro che le varie città erano passate da un dominio ghibellino ad un altro, il suo.




Nel 1279 l’alta valle del Lamone fu devastata da un terremoto, che fece crollare gran parte del Castellone e sotto le macerie morì Bambo Pagani da Susinana. Ecco che compare una nuova famiglia di Signori locali, che spartirono con i Conti Guidi il dominio del territorio di Marradi. 




Ai Conti rimase la valle Acerreta, Modigliana, il Mugello vicino a Vicchio e molto altro, compresa l’arroganza. Nel 1289 Simone Guidi da Battifolle impose una gabella a chi transitava per il Passo della Colla e fece cavare un occhio al castellano di Molezzano e Gattaia, che si era ribellato. 



Aveva passato il segno e Firenze comprò il territorio di Casaglia, fondò il paese, che perciò è una “terra nova” come Scarperia e Firenzuola e assegnò le terre a cinquanta famiglie fiorentine, con il compito di difendere i luoghi dalle masnade di Simone da Battifolle. Questa è la nobile origine di Casaglia.





Clicca sulle immagini
per avere
una comoda lettura







La fortuna dei Pagani toccò il massimo con Maghinardo, citato anche da Dante nella Divina Commedia, naturalmente all’ Inferno, come: Il lioncel dal nido bianco, che muta parte dalla state al verno per la disinvoltura sconcertante con la quale passava dai Guelfi ai Ghibellini a seconda del suo tornaconto. 


Costui dopo una delle sue tante conquiste, distrusse il castello di Baccagnano, che era vicino alle attuali Terme di Brisighella e per punizione costrinse gli abitanti ribelli a trasferirsi oltre il fiume, ai piedi delle colline della Vena del Gesso, nei calanchi, dove i terreni sono molto meno fertili. Con questo atto del 1291 nacque Brisighella e Maghinardo viene spesso citato come fondatore del paese. Giovanni Andrea Caligari, prelato di Brisighella e vescovo a Bertinoro nel Cinquecento, nelle sue Memorie ci dice che:

 



… Di Baccagnano non è restato altro che il nome a la villa dove era il Castello, et alcune vestigia di esso di pietre tagliate, di fossi e rottami non lungi dalla Chiesa Parrocchiale di quella villa. Et perché la torre di Brassichella era tutta di gesso e fondata sul gesso, et la Scuola (l’abitato) di Brassicella si chiamava Scuola del Gesso, nacque un proverbio fra paesani che interrogati come stanno e come va il negozio, sogliono rispondere “male al gesso et peggio a Baccagnano”.



E così con questo fatto, positivo soprattutto per i posteri, terminò qui da noi questo complicato secolo del Medioevo.




Per ampliare:

Per la Confederazione Elvetica:  Libero Quotidiano, 03 ottobre 2015
Alteo Dolcini (1923-1999) La Svizzera è nata in Romagna, Stefano Casanova Editore.
La Valle del Lamone descritta da Giovanni Andrea Caligari, Blog 14 aprile 2019
Assedio di Faenza: Salimbene de Adam 1905 – 1913 pg 384



mercoledì 15 aprile 2020

La Spagnola

La terribile epidemia del 1918
ricerca di Claudio Mercatali


New York 
novembre 1918

L'influenza Spagnola è stata un’influenza dovuta ai virus del ceppo H1N1 e fu la più grande pandemia della storia umana. L’iniziò fu  segnalato nel 1918 dai giornali iberici, liberi dalla censura perché la Spagna non era in guerra e da questo viene il nome.


La rivista Especialidades Medicas di Madrid ristampò nel novembre 1918 un articolo premonitore del periodico La Medicina Valenciana, settembre 1918


Forse i primi focolai furono in Kansas e Texas e giunse in Europa con i soldati americani, sbarcati in Francia nell' Aprile del 1917. 
La Spagnola colpì in tutto il mondo e scomparve dopo due anni, forse per una mutazione meno letale del virus. Nell' estate del 1918 esplose e gli effetti si sommarono alle infezioni batteriche che aggredivano i soldati in trincea. A quel tempo non esistevano gli antibiotici e la penicillina fu scoperta solo nel 1928 da Alexander Fleming.



Il virus si diffuse veloce, negli USA e in Europa. Era sconosciuto e le autorità politiche e sanitarie furono colte alla sprovvista. Non fu adottato nessun "contenimento sociale" e le attività lavorative continuarono come prima. Per giunta nel novembre 1918 in Europa si festeggiava la fine della Prima guerra mondiale e i cortei, le adunanze e le feste erano continue. I governi non negarono l'evidenza ma a questa sciagura venne dato il minor risalto possibile.

La situazione in Italia

Si stima che in Italia il morbo abbia colpito circa 4 milioni e mezzo di persone, uccidendone da 400.000 a 650.000. Un numero impressionante, se si considera che all' epoca la popolazione italiana era di 36 milioni di cittadini. I più colpiti furono i giovani tra i 18 e i 30 anni. 
La prima ondata della pandemia, nel 1917 soprattutto, era un’influenza più o meno severa, a seconda delle varietà mutanti del virus che la produceva. La seconda ondata della pandemia del 1918 fu letale forse proprio perché il virus era mutato. Secondo una interessante ipotesi le persone che non erano al fronte quando si ammalavano seriamente rimanevano a casa, e chi era solo lievemente malato continuava con la sua vita, diffondendo la forma meno grave della malattia. 
Nelle trincee accadde il contrario: i soldati che avevano contratto una forma leggera rimasero dov' erano, mentre i malati gravi vennero inviati su treni affollati verso ospedali da campo altrettanto affollati, diffondendo il virus più pericoloso. Forse la seconda ondata iniziò così e l'influenza si diffuse rapidamente.

 La situazione qui da noi






Il Messaggero del Mugello, un settimanale che si stampava a Borgo San Lorenzo ed era in vendita anche a Marradi, il 3 novembre 1918 pubblicò questo interessante articolo, nel quale si spiegavano le precauzioni igieniche che conveniva adottare per limitare il contagio. Merita leggerlo perché queste sono in sostanza le stesse che vengono raccomandate oggi per il Covid 19.




Clicca sulle immagini
se vuoi una comoda
lettura


Le celebrazioni per la vittoria definitiva a Vittorio Veneto erano propagandate anche nella nostra zona come una rivincita per la disfatta di Caporetto del 1917 e furono tante, con grande partecipazione della gente entusiasta.




Anche Il Piccolo, settimanale di Faenza, scrisse sull' epidemia, segnalandone la pericolosità e il fatto che in Romagna, a dire del giornalista, i contagi non erano stati moltissimi. 







Nel comune di Marradi la Spagnola si diffuse abbastanza e per evitare di ricoverare i malati nell'Ospedale assieme agli altri venne allestito un lazzaretto, vicino al viadotto di Villanceto. Si chiama ancora così, anche se molti non sanno l'origine di questo nome. 

Il suo aspetto originario si vede in questa cartolina del 1920, sullo sfondo, accanto agli archi del viadotto. Fu distrutto da un bombardamento nel 1944 e ricostruito nella forma attuale, come sede della Scuola di Avviamento e poi della Scuola Media fino al 1965.

Così come oggi con il Covid 19 il personale sanitario era particolarmente esposto e ci furono dei morti. Questa lapide, murata in una cappella del cimitero di Biforco ricorda la morte del dottor Arturo Baldesi, di Marradi, e di suo fratello Ubaldo, titolare di una farmacia che era in piazza di fronte alla chiesa del Suffragio.




Poi l'epidemia scomparve, con la stessa rapidità con la quale si era manifestata, lasciando però un ricordo terribile. Dopo qualche anno il governo concesse al Comune di Marradi un finanziamento per costruire le cosiddette Case dei Mutilati, ossia due edifici destinati ai grandi invalidi della guerra. Sul davanti, venne costruito per arredo un tabernacolo dedicato a San Rocco, che nella tradizione popolare è il santo che protegge dalle epidemie.









Secondo una diffusa voce popolare qui si sarebbe fermata una pestilenza antica per intercessione del santo, ma in realtà il tabernacolo non è per grazia ricevuta ma è votivo per le pestilenze a venire, dato il vivo ricordo lasciato dal colera del 1855 e soprattutto dalla Spagnola. Non è antico e come si vede in questa foto del 1917 non c'è.



Rocco di Montpellier, noto come san Rocco (Montpellier, 1345 circa, Voghera 16 agosto 1376 - 1379), è stato un pellegrino e taumaturgo francese. È il protettore dalle epidemie in genere, anche quelle degli animali. Spesso è rappresentato nell'atto di sollevare il mantello per mostrare il bubbone della peste nella coscia.




Per ampliare 

www.scienze.fanpage.it/influenza Spagnola, la più grande pandemia della storia.
Per le informazioni generali, Wikipedia.
Per le informazioni specifiche: Enciclopedia della Medicina Treccani.

martedì 14 aprile 2020

1848 - 49 La Prima Guerra di Indipendenza

Le notizie date dai giornali 
nella Romagna Toscana 
(2a parte)
Ricerca di Claudio Mercatali


Le 5 giornate di Milano



Nell’ Ottocento le guerre si svolgevano in modo del tutto diverso da oggi: gli eserciti si affrontavano in una o due battaglie campali sanguinosissime dalle quali risultava in modo chiaro un vincitore. Nelle battaglie della Prima Guerra di Indipendenza fu direttamente coinvolta solo la gente del nord Italia, soprattutto lombarda. In Romagna e in Toscana non ci furono battaglie, però non mancarono gli eventi, spesso accavallati e confusi, frenetici o lenti a seconda delle notizie che venivano dalla Lombardia. Il nostro scopo ora è di seguirli con le notizie dei giornali di allora, che erano l’unico mezzo di informazione per la gente, assieme alle voci popolari incontrollate e approssimative.

Per definire la situazione ci serve un breve riassunto storico:

Il 23 marzo 1848 il Regno di Sardegna dichiarò guerra all' Impero Austriaco e il 26 marzo le avanguardie attraversarono il fiume Ticino entrando in Lombardia. Gli Austriaci si ritirarono lentamente verso il cosiddetto Quadrilatero, ossia il sistema di difesa formato da Peschiera, Verona, Legnago e Mantova. In questa fase i Piemontesi colsero due successi, a Goito e a Pastrengo.

Il generale austriaco Radetzky aveva deciso di aspettare il Corpo d'armata di Nugent che stava scendendo in Italia. La battaglia decisiva si svolse a Custoza dal 22 al 27 luglio e fu una folgorante vittoria degli Austriaci. L’esercito piemontese si ritirò allo sbando e attraversò di nuovo il Ticino. Il 9 agosto 1848, Carlo Alberto di Savoia chiese l’armistizio. La delusione per i patrioti di tutta Italia fu enorme. Dunque partiamo da questo evento e leggiamo che cosa successe dopo:


La vittoria di Radetzky fu accolta con emozione a Vienna e il musicista Johann Strauss compose la Marcia di Radetzky. Ancora oggi viene suonata al Concerto di Capodanno, è quella in cui il pubblico segue il ritmo battendo le mani. La volete sentire? Digitate su internet e la troverete su You Tube.

L’armistizio non era un Trattato di pace ma solo una sospensione della guerra, chiesta dalla parte soccombente e concessa dal vincitore. Nella primavera successiva il re Carlo Alberto riprese le ostilità, che durarono pochi giorni: il 23 marzo 1849 Radetzky affrontò l’esercito piemontese a Novara e vinse. Tutta la guerra, compresi i sette mesi di armistizio durò esattamente un anno.





I giornali dell’epoca diffusi qui da noi erano dei fogli nati sull’onda dei moti risorgimentali, tutti soppressi nel 1849 quando gli Austriaci ripresero il controllo della situazione. I quotidiani regionali di oggi non ci sono perché La Nazione cominciò le pubblicazioni nel 1861 e il Resto del Carlino nel 1885.



Angelo Masini ,di cui si dice qui accanto, era uno spericolato patriota capo di una squadra detta  "La Compagnia della morte". Nell' ottobre del 1848 passò dalla valle del Lamone per andare a Livorno in rivolta. Fu fermato dai gendarmi toscani che lo costrinsero a tornare in Romagna.





Clicca sulle immagni
per avere una comoda lettura 

Il Popolano fu un quotidiano pubblicato a  Firenze dall'8 gennaio 1848 al 5 maggio 1849. È il seguito del periodico Il Sabatino. Fu “avverso agli aristocratici, ai gesuiti, agli oscurantisti, ai retrogradi”, prometteva “cuor di popolo, null' altro”. Patriottico, inneggiava all' Indipendenza, anti austriaco, fu censurato più volte.





Modigliana era più
in subbuglio di Marradi.





Nei primi mesi del 1849 si tennero le prime elezioni dei Rappresentanti del Popolo. Era un ardito tentativo di democrazia diretta e ogni paese indicò i candidati. A Marradi fu designato il notaio Jacopo Fabroni. 


Dopo la vittoria austriaca tutti costoro furono processati "per lesa maestà" e condannati. Però il Granduca Leopoldo II con atto magnanimo concesse la grazia.




Il Lampione era un giornale popolare radicale e patriottico, di satira e cronaca con l’intento dichiarato di “far luce fra coloro che brancolano nelle tenebre”. Fu pubblicato da Le Monnier dal luglio 1848 all’aprile 1849.












In marzo, dopo la disastrosa sconfitta di Novara il Regno di Sardegna chiese la resa. Carlo Alberto di Savoia abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II e andò in esilio in Portogallo. Gli Austriaci in giugno occuparono Firenze e rimisero sul trono il Granduca. In quel mese la città era piena di soldati, come dice il periodico L'Araldo qui accanto.