Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

martedì 30 giugno 2020

Don Giovanni Verità

Una visita al Museo in casa
del prete patriota scomunicato
Ricerca di Claudio Mercatali



Don Giovanni Verità nella scala
davanti a casa sua, ritratto dal
suo compaesano Silvestro Lega


Don Giovanni Verità, don Zvan per i suoi compaesani, nacque a Modigliana nel 1807 e vi morì nel 1885. Al suo funerale c’era una folla grande, in piena foga emotiva. Il rito era civile, con le bande musicali dei paesi vicini, anche quella di Marradi e quindi le esequie di un prete celebrate senza preti già danno un’idea della situazione.




















Don Giovanni era contrario al potere temporale del papa, iscritto alla Giovine Italia, scomunicato anche per aver celebrato i sacramenti del battesimo e del matrimonio fuori dalla chiesa. Era tollerato dalla gendarmeria granducale per la liberalità di Leopoldo II di Lorena (Modigliana allora era sotto Firenze) o forse anche perché si cercava di non suscitare moti di rivolta nei suoi compaesani.







Clicca sulle immagini
per avere
una comoda lettura





Questo e altro ancora si può leggere nei vari siti internet che parlano di lui. Fu la guida di Garibaldi in fuga nel 1849, che passò assieme a lui da Modigliana a Marradi e a Palazzuolo. Di questo ne riparleremo presto.






Adesso ci interessa il Museo allestito con molta cura nella sua casa di famiglia, in centro a Modigliana, dove ci sono dei cimeli risorgimentali importanti. 


La casa è arredata come allora, con molti mobili originali di metà Ottocento.




C'è anche l'elmo di un Velite granducale, ossia un cavalleggero del granduca Leopoldo II








Alle pareti ancora quadri di Silvestro Lega: Mazzini morente e un famoso ritratto di don Verità con la piuma al cappello.






E poi naturalmente cimeli del Risorgimento di ogni tipo.







Una fotografia all’ ingresso spiega che con il trascorrere del tempo la sua tomba al cimitero vecchio del paese era andata in abbandono e allora nel novembre 1929  successe che …



Il Regime era stato preso alla sprovvista da questa vampata di patriottismo e volle porre riparo al torto. Fu chiuso il cimitero vecchio e ne venne fatto uno più avanti, oltre il torrente Marzeno, con la tipica architettura del Ventennio. Al centro la tomba di don Verità e davanti quelle dei modiglianesi.









In precedenza, nel 1906, era stata eretta la bella statua che ancora oggi si vede all'inizio del Corso.





giovedì 25 giugno 2020

Il Codice di Lottieri della Tosa

I contratti fatti dai preti della nostra 
zona di fronte al vescovo di Faenza
Ricerca di Claudio Mercatali



Nelle ricerche di storia medioevale una ricca serie di notizie si ricava dagli atti notarili, che già allora descrivevano con dovizia di particolari le persone, i luoghi e le cose. L’archivio notarile di Lottieri della Tosa, fiorentino, vescovo a Faenza alla fine del Duecento è particolarmente interessante per noi. 
Che cosa faceva un vescovo fiorentino in Romagna in quegli anni, con un seguito di notabili toscani suoi concittadini? Una breve biografia di lui chiarirà i fatti:

Lottieri della Tosa di Odaldo nacque a Firenze alla metà del '200. Di famiglia guelfa, nel 1287 divenne vescovo di Faenza con l'aiuto di Maghinardo Pagani da Susinana, ghibellino ma legato alla Firenze guelfa per aver sposato Rengarda Della Tosa. Non a caso Maghinardo per il suo ambiguo atteggiamento politico fu definito da Dante "il leoncel dal nido bianco / che muta parte da la state al verno" (Inferno, XXVII, 50-51). 
Maghinardo con la nomina di un vescovo di sua fiducia voleva rafforzare il suo dominio sulla città che governò fino alla morte (1302) come Podestà o Capitano del Popolo. Il 30 settembre 1287 Lottieri della Tosa entrò solennemente in Faenza con un gran numero di prelati e nobili fiorentini. Dal 1290 fu coinvolto nella rivolta antipapale dei Comuni romagnoli, iniziata da Guido da Polenta di Ravenna e dallo stesso Maghinardo. Quando i Comuni romagnoli firmarono il trattato di pace del 1297 il vescovo annullò gli interdetti che aveva lanciato contro diverse città della Romagna nel corso della rivolta. Nel febbraio del 1302, pochi mesi prima della morte di Maghinardo, suo amico e protettore, Lottieri tornò a Firenze. Il suo ingresso in città fu ancor più solenne di quanto non fosse stata, quindici anni prima, la sua entrata a Faenza.

Ora il vescovo Lottieri ci interessa perché ha lasciato un ricco Codice di carte notarili, redatte in sua presenza dal notaio fiorentino Giovanni Manetti che Lottieri aveva portato con sé a Faenza. Sono 224, ricche di notizie su chiese e sacerdoti, ma un po’ difficili da leggere, perché il linguaggio notarile è di per sé arido e per giunta qui è in un duro latino medioevale. Però in diversi atti si parla della zona di Marradi e dunque andiamo a curiosare nelle faccende personali dei preti nostri compaesani di quel secolo remoto:

Atto 9   A termini di legge consegnato all’ interessato sacerdote Ugolino, da Giovanni Manetti notaio, il 23 gennaio 1289.


Lottieri vescovo di Faenza per grazia di Dio augura salute nel nome del Signore al distinto sacerdote Ugolino rettore della chiesa di San Cassiano della Pieve di Ottavo (la Pieve del Tho) della diocesi faentina e canonico della chiesa di Popolano della detta diocesi. La tua ammirevole devozione ci induce a riconoscerti una speciale grazia e favore. E per questo con la presente disposizione ti concediamo che, non essendoci nessuna nostra contrarietà, tu possa liberamente tenere per te i detti benefici. Li presentiamo alle persone presenti apponendo su questo documento il sigillo testimonio nostro. Fatto in Faenza nel Vescovado alla presenza di frà Vita abate del monastero di Santa Maria Fuori Porta e Ventura rettore della chiesa di San Simone di Faenza, e altri. Anno 1289, 23 gennaio, seconda seduta.

NOTA   Il Canonico fa parte del collegio che celebra le messe più solenni nella cattedrale della diocesi. A quel tempo era un incarico di prestigio dato a sacerdoti di chiese abbastanza importanti (San Cassiano è una chiesa Arcipretale e Popolano una Priorìa).



Atto 38   Canonica di Popolano, fatto e consegnato 
26 marzo 1289

Redatto sopra l’aula del vescovado faentino alla presenza degli anziani Monaldo e Guidone di Luestano ed altri. 

Don Alberico, priore e canonico di Popolano della diocesi di Faenza, di fronte al venerabile padre don Lottieri, per grazia di Dio vescovo di Faenza, chiese di persona umilmente e in maniera devota il rinnovo per 28 anni di una licenza di affitto del fratello Aspectato di Popolano per il figlio Farolfino, per un casamento di detta canonica, posto vicino a detta canonica il quale confina con : II la via, III la fontana, IIII la parte riservata di questa canonica, dietro la promessa di dare ogni anno allo stesso priore e canonico un paio di capponi (unius paris caponis) per Natale. Udita questa richiesta, vista e letta, il venerabile padre predetto concesse la licenza secondo la forma della domanda predetta.

NOTE   Negli atti notarili di questo tipo i confinanti sui quattro lati della proprietà erano elencati con la numerazione I, II, III, IIII. Secondo il diritto Romano in uso nel Medioevo la durata tipica dei contratti era di una generazione, cioè di circa 29 anni.

Atto 56   Fatto in chiesa. Scomunica contro il sacerdote Albertino di Monte Romano 
13 giugno 1289
   
NOTA L’Atto è scolorito e in certi punti si legge male.

In nome di Dio amen
Noi Lottieri vescovo faentino per grazia di Dio Ad 1289 … legittimamente facesse citare, e anche ammonisse e requisisse don Albertino rettore della chiesa di Santo Stefano di Monte Romano pieve d’Ottavo … perché tornasse residente proprio lì a detta chiesa di Santo Stefano e … era tenuto a celebrare gli offizi e per questo come da noi asserito, con animo irato … si rifiutò e ancora rifiuta e si vanta contento della sua disobbedienza … ammoniamo lui per la malizia, l’assenza ingiustificata e la disobbedienza che mi è stata comunicata … affinché questo sacerdote Albertino entro quindici giorni ritorni alla sua chiesa di Santo Stefano e dimori lì e celebri i divini offici ai quali è tenuto. Altrimenti se continuerà ad eludere la nostra ammonizione in questo modo, che pubblicamente gli abbiamo fatto, procederemo contro di lui con la rimozione dalla sua chiesa … multa ed altri provvedimenti di legge, come è invitato per giustizia …

Questa ammonizione fu detta e fatta in queste note su disposizione del venerabile padre nel vescovado, sede del tribunale alla presenza dei testimoni don Domenico … di Bagnacavallo, Lottario Benincasa, Cenni e Neri, con i famigliari del detto venerabile e altri. Nell’ anno 1289, 13 giugno.

NOTA   Don Albertino obbedì al vescovo? Non lo sappiamo, però in altri contratti notarili successivi a questo compare il nome di don Buono come rettore di Monte Romano.




Atto 74    6 luglio 1290 Assoluzione di don Ubaldino, priore di Popolano

Nel nome di Dio, amen.
Redatto sulle gradinate del vescovado di Faenza, alla presenza del chierico Pasquino, di Lotario Benincasa e Cenni di Bartolo, con i sottoscritti famigliari del venerabile padre (il vescovo) il notaio Mastonese e altri sottoscriventi.

NOTA   Quella che segue è una lettera di Pietro Saraceno vescovo e legato pontificio in Romagna, che scrive a Lottieri e lo autorizza a sciogliere l’interdetto ai danni di Ubaldino, priore di Popolano, che non aveva inviato l’elenco dei fumantes (i contribuenti) nei termini prescritti. Pietro Saraceno precisa che la concessione è per fare un piacere al vescovo Lottieri e soprattutto a Maghinardo Pagani, zio di Ubaldino.

Tutti gli ispettori elencati in questa pagina prendono atto che davanti a me, Giovanni Manetti notaio, con i testimoni sopradetti e il venerabile Lottieri vescovo di Faenza è stata recapitata la lettera qui di seguito scritta: 
“Venerabile in Cristo, padre e amico carissimo Lotterio, per grazia di Dio vescovo di Faenza, Pietro per permesso divino vescovo di Vicenza, vicario pontificio nella Provincia di Romagna, vi auguro la salute e la sincera carità di Dio; abbiamo ricevuto le lettere che ci hai mandato, e volendo per richiesta vostra annuire e compiacere il nobile uomo Maghinardo di Susinana in queste, consegnamo la presente alla vostra autorità, poiché il priore canonico di Popolano sia assolto dalla sentenza alla quale era incorso perché non presentò a noi nel termine stabilito i fumantes della sua Priorìa …     Dato a Rimini, il giorno XXIIII giugno”.

Per l’autorità che gli è stata conferita dal predetto Pietro vescovo di Vicenza, don Ubaldino priore canonico sopra detto è assolto dalla predetta sentenza, imponendogli una penitenza salutare.




Atto 80   Procura e vicariato per don Buono, consegnata all’ interessato il 26 luglio 1290

NOTA Abbiamo già incontrato don Buono, parroco di Monte Romano, nominato al posto di don Albertino, il prete che non voleva risiedere nella sua chiesa. Ora don Buono è nominato rettore della chiesa di San Cassiano al posto di don Ugolino, che parte “ultra mare per guerram Iesu Christi” (per la Crociata). Nel 1290 i Mussulmani assediarono San Giovanni d’Acri, la capitale del Regno cristiano di Gerusalemme, che cadde nel 1291.

In detto giorno e luogo e in presenza di detti testimoni, don Ugolino rettore della chiesa di San Cassiano Pieve di Ottavo, Diocesi di Faenza, con il consenso e la parola di don Bencivenni, vicario del venerabile padre don Lottieri vescovo di Faenza per grazia di Dio, che intende avviarsi oltre il mare per la guerra di Gesù Cristo, fece vice della sua chiesa, costituì e ordinò suo procuratore, vicario ed economo in detta chiesa, don Buono rettore della chiesa di Monte Romano, presente e consenziente, per le cose spirituali e temporali finché egli non tornerà o Dio farà di lui altro …

e il vescovo accettò con il mandato più ampio. Ugolino, che era anche canonico di Popolano, tornò dalla Crociata? No, perché nel 1302 don Buono era ancora rettore in sua vece.




Atto 113   Monastero di Gamogna, fatto e consegnato 
18 ottobre 1290

Nel nome di Dio, amen.
Atto scritto nel vescovado di Faenza alla presenza dei testimoni don Lorenzo priore di San Prospero e Guglielmo Benincasa sottoscriventi.

A tutti quelli che hanno visionato questo scritto è risultato ben chiaro che davanti a me Giovanni Manetti notaio e con i testimoni sopra detti il discreto uomo don Bencivenni canonico della Pieve di Calenzano, vicario di Lottieri vescovo di Faenza ha ricevuto questa richiesta:“Don Benigno, priore del Monastero di Gamogna spiega che per mancanza d’acqua non può macinare con il molino di detto monastero se non viene concesso dall’ abate di Badia della valle di portare acqua al suo molino attraverso i terreni del suo monastero. Il detto priore di Gamogna chiede in modo umile e devoto di concedere il permesso nel modo che a voi piacerà affinché possa cedere all’abate del monastero di Acereta un terzo del molino di Gamogna se l’abate del monastero di Acereta concederà la sua acqua e il passaggio per il terreno e questo a vantaggio di ambedue i monasteri. Viene dato e concesso al detto don Benigno il permesso richiesto, secondo la forma e il tenore della richiesta sopra detta.


NOTA   Questo è un tipico contratto di livello, per concedere terre e diritti alle condizioni scritte in “duo libelli pari tenore conscripti” (da qui il nome del contratto): due cartelle uguali e ogni contraente firmava quella che rimaneva in mano all' altro. Perciò abbinato a questo appena letto c’è l'Atto 114 dell’abate di Acereta, cioè la sua risposta.



Atto 114   Monastero di Acereta, fatto e consegnato 
18 ottobre 1290

Agli ispettori che hanno visionato questo scritto è risultato ben chiaro che davanti a me Giovanni Manetti notaio e con i testimoni sopra detti, il discreto uomo don Bencivenni canonico della Pieve di Calenzano, vicario di Lottieri vescovo di Faenza ha ricevuto questa richiesta: “Il notaio Dracone, procuratore di don Matteo abate di Acereta in modo umile e devoto chiede il permesso di dare la loro acqua e il passaggio per i loro terreni ai priore di Gamogna per il suo molino se il detto priore concederà la terza parte del molino a compenso dell’acque e del terreno predetto ...

NOTA   Il molino di cui si parla è quello di Rio di Mèsola o forse quello di Ponte della Valle, non più attivi ma ancora esistenti.



Atto 203   Chiesa di Abeto, licenza consegnata 
27 ottobre 1291

In nome di Dio, amen
Fatto nella sala del vescovado di Faenza alla presenza dei testimoni Peppo di Susciana (Sessana?) plebato di Modigliana e Spunta figlio di Azzolino di Lutirano, sottoscriventi. Don Ugolino, rettore della chiesa di San Michele di Abeto, presentatosi a Lottieri, vescovo di Faenza per grazia di Dio, chiese in nome della sua chiesa e in suo favore, di dargli licenza per rinnovare a livello una locazione di ventotto anni, di un certo molino della sua chiesa posto nel Rio di Stagnana, alle migliori condizioni che potrà. Per questa ragione il venerabile padre predetto udita la richiesta fatta, concesse e diede a don Ugolino la licenza secondo quanto dichiarato.

NOTA    Dov' è Susciana? Siccome il notaio Giovanni Manetti era fiorentino è probabile che abbia trascritto il nome Sessana con la "sc" data la nostra tendenza e pronunciare la "s" in modo pesante.


Per ampliare
Lottieri della Tosa, di Massimo Tarassi Dizionario Bio. degli Italiani vol. 37 (1989)


venerdì 19 giugno 2020

La toponomastica e il lavoro dell'uomo

Quando l’attività umana lascia una traccia nei luoghi
Ricerca di Claudio Mercatali


Il coltro è una specie di aratro.
Da questo viene il nome di Coltreciano.
un podere vicino a Marradi.

Nei nostri monti spesso i siti prendono nome da qualche caratteristica collegata alla loro natura. Li chiamarono così gli antenati, che con il duro lavoro nelle campagne avevano avuto modo di constatare i fatti. Si potrebbe fare una ricerca abbinando i posti con una certa caratteristica con il contrario, come:

Campo lasso (a Santa Reparata) e il crinale delle Salde (oltre Gamberaldi)
Campo al buio (Badia di Susinana) e Mirasole (Marradi)
Valérta (Badia del Borgo) e Valpiana (Popolano)

Oppure cercare i poderi con il nome collegato alla loro resa agraria, come:
Zebarόla (acerbina, Lutirano) e Val Zerbàra (Fantino).
Schéta (seccata, Albero), Lischéta (Val della Mèda) e L’Ischeta (Palazzuolo), poderi con il seccatoio per i marroni. 
Zana e Zanella, i poderi adatti per la frutta (la zana è un tipo di paniere).

Però lo scopo di oggi è la ricerca dei nomi derivati dal tipo di attività che veniva svolta in certe zone, senza curarsi tanto della natura del luogo e della sua resa agraria.



La coltivazione con la marra 
e il coltro

Attorno al capoluogo la terra si lavorava con la marra, la zappa, nei campetti terrazzati e da questo viene il nome Marato o Marradi. Il fatto è stato descritto tante volte e quindi non importa soffermarsi ancora. 



I campi di Coltriciano (sullo sfondo)
negli anni Sessanta

Però nelle vicinanze di Marradi ci sono anche terre coltivabili in modo un po’ più agevole. Per esempio Coltriciano di Sopra e di Sotto sono due poderi sulla destra del Lamone, pianeggianti e con una buona resa, nonostante il terreno duro e a tratti sassoso. Il nome deriva infatti da coltro, un tipo di aratro che permetteva di non incidere troppo il terreno. 

Da quanto risulta dai Registri dei Censi del Seicento, che è nell’ Archivio storico del Comune, qui c’erano molti lotti piccoli e indipendenti, non del tutto compresi nei poderi, proprio come se il sito fosse una specie di orto dei marradesi.
C'è un Coltreciano anche a Lutirano, vicino al Paese dalla parte di Badia della Valle.




I castagneti
Siamo nel paese del Marron buono e sulle colture castanicole è già stato scritto tanto. Basterà ora ricordare che secondo l’uso locale un castagneto si impiantava nei versanti a nord, a basȇn, a bacìno, a bacìo, perché così si limitava il rischio della siccità estiva. C’è anche un detto per questo: L’è l’aqua ed luj clà fa maturé i marǒ






Prendiamo i poderi vicini al capoluogo: i casi più tipici sono i Castagneti di Sasso e di Coltriciano, rivolti nettamente a nord. Invece i poderi a solame avevano i castagneti staccati dal resto della proprietà, in luoghi anche abbastanza lontani, purché rivolti a nord ovest. 

Se ci allontaniamo dal capoluogo la situazione non cambia: tutti i castagneti di Crespino sono orientati così, compreso il famoso castagneto di Pigàra. A Casaglia si raggiunge il massimo: il paese è nettamente a solame e non c’è nemmeno un castagno. Eppure i casagliesi campavano di castagne e di poco grano, e i loro castagneti erano nella vallata accanto, quella di Fornello.



Il grano e il corno

Qui da noi un certo numero di località e poderi prendono nome dalla parola “corno”.  Ci sono Corneta e Corneto (Palazzuolo). Il Corneto, Il Corno (Marradi), Le Corniete (Crespino) il Passo del Corno o Corna (Modigliana). Non è possibile che nella nostra zona ci siano "corna" da tutte le parti e quindi serve una alternativa: i nomi potrebbero derivare dal tedesco korn, grano, visto che l’appennino romagnolo fu abitato per due secoli dai Longobardi, nei secoli più remoti del Medioevo. Infatti in ognuno di questi siti c'è qualche campo pianeggiante e lavorabile, forse ottenuto per disboscamento al tempo dei tempi, mentre tutto attorno i monti sono molto ripidi e coperti dalla macchia.






I molini

Dal grano e dalle castagne si ricavavano delle farine, per cui nel territorio c’erano tanti molini. Le castagne e il grano si trasportavano a sacchi, con un peso standard di una soma (135 Kg) da caricare sul somaro, che perciò si chiama così. Tenute in conto anche la viabilità e le pendenze nella Valle Acerreta era opportuno che ci fosse un molino ogni miglio (1600 m) perché tanti se ne trovano nel fondovalle, se si cerca bene. Qui sotto c’è l’elenco, dal confine con Modigliana all’Eremo di Gamogna. 


Vicino ai paesi i molini erano più fitti. Attorno al capoluogo in due miglia c'erano i molini di: 1) Ponte di Camurano 2) della Piazzetta di Biforco 3) di Casa Bernabei 4) della Concia, della Polvere, della Portaccia, con un unico canale 
5) il Molino della Guadagnina, alla Badia e poi il Molinone, che era a cilindri. La ricerca completa in tutto il Comune fu fatta nel 2003 da Franco Billi e ad essa conviene fare riferimento. 

I laghi

Laguna, Pian di Laguna, Fosso del Lago, I Laghi (al confine con Vicchio), strada di Lago (Modigliana) … ecco che la storia si ripete: com’è possibile che nelle nostre montagne, specialmente in alto, ci siano tanti toponimi che parlano di laghi e lagune?



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In realtà il toponimo lacus è da intendere come lacuna, mancanza, difetto di qualcosa e non come laguna. Che cosa venne a mancare in questi siti? Molto probabilmente i poderi furono ricavati per disboscamento e quindi la mancanza si riferisce all’ assenza di alberi. 



Nel medioevo e anche dopo il disboscamento per ricavare terreni di coltura era una pratica comune nell’ insediamento, un po’ come in una piccola Amazzonia.






I Pastori

La pastorizia transumante per tanti secoli è stata una attività svolta nelle alte valli del Lamone, dell’ Acereta e soprattutto a Campigno. Il clima costringeva i pastori a trasmigrare in inverno verso la Maremma, specie a Roccastrada, dove si stabilirono tanti di noi lasciando una traccia ancor oggi riconoscibile nei cognomi e in qualche lontana parentela. 



Ecco che cosa dice Jacopo Fabroni, un notaio marradese di metà Ottocento, appassionato cultore di agricoltura delle nostre montagne.

Qualche nome? Val Pecora (Campigno),  Vallagnello (Palazzuolo), Il Becco (Oltre il valico di Coloreto), Vello e Vallamento (Lutirano). Lamm in tedesco significa agnello.






I contratti livellàri di Crespino

Il contratto agrario di livello era già in uso nell’ Antica Roma, per dare in affitto delle terre secondo le condizioni scritte in “duo libelli pari tenòre conscripti” (da qui il nome del contratto): due libretti uguali e ciascun contraente firmava quello che rimaneva in mano all' altro. Questi contratti furono usati molto nel Medioevo anche dalle Badie come quella di Crespino, che davano in concessione le loro terre a vario titolo. Il giurista Silvio Pivano agli inizi del Novecento, li studiò e li definì così:




“Le Precàrie e i Livelli erano contratti fra persone della più varia condizione sociale, che cadevano su beni di qualunque entità e natura, erano di qualunque durata, con canone di qualsivoglia valore e specie, con o senza obbligo di miglioramento dei fondi. Per contro, nella grande varietà degli esempi, un elemento appariva costante e sicuro, quello della forma con cui dovevano essere conclusi”.






La “forma” conclusiva nel nostro caso era la definizione scritta o orale di un canone in natura o in prestazione d’opera.  Spesso il crespinese livellario (= affittuario) della Badia era tenuto e prestare un certo numero di ore lavorative in favore del monastero a seconda del suo mestiere. Nella seconda metà del Novecento, il contratto di livello cadde in disuso e così gli assegnatari livellari non pagarono più alcun canone.  Però la maestra Giovanna Pieri, di Crespino, racconta che suo nonno pagava ancora il livello ai signori Mazza, che consisteva in un certo numero di presse ogni volta che tagliava il fieno. Il Contratto di Livello a Crespino era sine die (perpetuo) e passava di padre in figlio anche se la proprietà del terreno cambiava. I Mazza erano diventati titolari del diritto livellario in virtù del seguente antico acquisto.


Carlo Mazza, agli inizi dell’ Ottocento sposò Rosa Bandini ed ebbe in dote una parte della Bandìta di Crespino che la famiglia della moglie aveva comprato dai monaci nel Settecento, quando la Badia chiuse per scarsità di vocazioni e divenne una semplice parrocchia.




Il signor Remo Scalini, che diversi anni fa comprò i Prati della Logre dai Mazza, estinse tutte queste servitù e ora è proprietario a pieno titolo delle terre.

I Prati della Logre sono di fronte a Crespino dove c’erano delle partizioni livellarie. Il nome è probabilmente una deformazione del romagnolo Pré degl’Ovre ossia i prati dove era dovuto un canone di prestazione d’opera a favore dei monaci della Badia. Un altro caso è il sito degli Ortacci, in quota vicino al confine con il Comune di Vicchio, chiaro per il nome ma soprattutto per la suddivisione delle terre in porzioni piccole e fitte, che si vedono bene nel Catasto Leopoldino del 1822 qui sopra. La stessa cosa si nota nel sito detto E forné, lungo la Faentina Vecchia, prossimo alla Font de Rè (fonte del rio) che si vede bene nella moderna Carta della Agenzia delle Entrate, assieme alla partizione della Crocetta, sopra al paese.



Anche il Comune di Marradi aveva dei beni da concedere a livello, perché a seguito di un complicato contratto nel Cinquecento aveva ottenuto dai monaci di San Benedetto in Alpe dei diritti livellarii sui poderi del Becco e Valdimora del Becco. L'esazione del diritto passava da un proprietario all' altro in caso di vendita, come si può leggere in questo atto del notaio ser Giuseppe Cavina Pratesi. Dunque il signor Angelo Ferrini acquirente di queste terre nel 1833 dovette farsi carico della tassa.




Per approfondire: 
Vincenzo Roppo, Il contratto, Giuffrè, 2001, pp. 217-255
Franco Billi, I mulini del territorio di Marradi, nel Blog al tematico Scienze della Terra, 18.12.2013 (prima parte), 12.02.2014 (seconda parte), 15.03.2014 (terza parte).