Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

mercoledì 25 febbraio 2015

Memorie di Vitaliano Mercatali: parte terza

Vitaliano Mercatali, l’inventore dei prefabbricati e del calcestruzzo nero.

Vitaliano, nel primo dopo guerra, come molti ragazzi del paese, andò  a bottega a imparare un mestiere e siccome era molto curioso e desideroso di imparare, ha girato tante botteghe apprendendo molti segreti del mondo dell’artigianato.

“ Impara l’arte e mettila da parte”, recita un antico proverbio e così ha fatto Vitaliano che nel corso della sua vita ha imparato  tante cose e poi le ha messe in pratica, conseguendo risultati apprezzabili specie nel campo edile, dove ha conseguito anche due brevetti e una concessione governativa, e dedicandosi in età di pensione a varie attività creative, artistiche e artigianali.

Inizialmente, finita la guerra, Vitaliano andò a lavorare col fratello Mauro nell’officina in via Razzi che era stata del padre Fortunato. Qui accomodavano biciclette e moto che davano anche a noleggio avendone ben tre di proprietà.


Vitaliano, il primo a sinistra, con  il cuginetto Enzo Mercatali e il padre di Enzo, Amedeo.
 L'adulto sul retro è Fortunato, padre di Mauro e Vitaliano, davanti alla sua officina in via Razzi

Successivamente Vitaliano andò “ a bottega” presso Armando Parrini,  uno dei migliori falegnami di Marradi, specializzato in infissi e porte, che esercitava in via Razzi, da sempre la strada degli artigiani locali. Qui, sebbene il laboratorio fosse fornito di luce elettrica, tutti gli attrezzi erano manuali ma il lavoro non mancava perché bisognava ricostruire il paese e fornire le nuove case di porte e finestre.

A 14 anni, dopo un anno di apprendistato presso Parrini, Vitaliano andò a lavorare alla segheria di Biforco che produceva cassette per la frutta per gli ortocoltori della Romagna. La segheria si trovava su per la strada di Campigno dove ora c’è il laboratorio di Ilario Scalini: più avanti, lungo la strada, era attiva  la fornace di Renzo Bellini che faceva laterizi. Quando c’erano gli ordinativi le maestranze, circa 30 persone tra donne e uomini, lavoravano giorno e notte. Le macchine erano alimentate con  la corrente elettrica fornita dalla centrale Fabbri che, in estate, causa la scarsità d’acqua nel fiume, ne erogava in quantità limitata.  Qui Vitaliano guadagnava ben di più essendo passato da 50 lire a settimana, a  500 lire al giorno. Presso la segheria lavoravano anche 3 o 4 operai addetti esclusivamente alla ripulitura dei tronchi dalle schegge delle granate o delle bombe per evitare di danneggiare i nastri dei macchinari.

Un’altra  centralina  idroelettrica era stata impiantata sul Lamone a poca distanza dal centro abitato di Biforco, e forniva energia ad un mulino a cilindri poco distante, che macinava il grano.

Nel frattempo lo Stato italiano, per favorire la rinascita del paese devastato dalla guerra e afflitto da una forte disoccupazione, aveva dato vita ai cosiddetti  “ Cantieri Fanfani” con attività di sterri per aprire nuove strade, costruzione di massicciate, rimboschimenti e sbancamenti con l’uso di mine cui partecipò anche Vitaliano. La paga era di 500 lire al giorno per gli scapoli e di 600 lire al giorno per gli sposati.

Oltre a questa attività, il sabato e la domenica Vitaliano faceva due viaggi nei boschi circostanti per prendere un po’ di legna per il riscaldamento domestico, cosa proibita severamente ma indispensabile per cucinare e attenuare i rigori dell'inverno.

Vitaliano ricorda che in quegli anni c’era un’atmosfera tutta particolare : c’era una specie di febbricità nell’aria, c’era voglia di lavorare, di ricostruire, di ripartire. Si sentiva di essere alla vigilia di una rinascita e in effetti il cosiddetto “boom economico” si stava avvicinando a grandi passi…

Anche le condizioni economiche di Vitaliano erano migliorate: fornito di bicicletta e di un bell’orologio da polso, era deriso dai suoi compagni di lavoro che lo chiamavano “il Capitalista”.

In effetti ora Vitaliano poteva andare a lavorare in bicicletta. Questa era una vecchia bicicletta da bersagliere, residuato della prima guerra mondiale. Era pieghevole, fornita di lume a carburo e attacchi per il fucile e di color verde opaco.  Ma il vantaggio maggiore derivava dal fatto che questa bici aveva le ruote  piene, ideali  per le strade ghiaiate  di allora...


Un'antica bicicletta da bersagliere


 La Ferrovia Faentina
Un lavoro  che ha avuto un ruolo importante per la ripresa economica del nostro territorio, è stato quello inerente il ripristino della tratta ferroviaria Fognano-Marradi che aveva subito gravi danni durante la guerra. Vitaliano lavorò alla ferrovia con un gruppo di marradesi ed era addetto al carico dei materiali che arrivavano alla stazione di Marradi su camion. Questi materiali ( rotaie in campate  di dieci da 16 metri, traversine di legno incatramate, ghiaia per la massicciata, ecc...)  venivano caricati su dei carrelli ferroviari trainati da un camion americano residuato bellico, marca Chevrolet, cui erano stati tolti gli pneumatici, sostituiti con ruote da treno per poter scivolare  sui binari.




Una volta caricati i carrelli, questi  percorrevano il tratto ripristinato portando i binari e relativo materiale  fino al punto di interruzione, e così avanti verso Fognano. 




Il tempo in cui gli operai attendevano di giungere al punto dello scarico del materiale non faceva parte dell'orario di lavoro e doveva essere recuperato. Il lavoro era tutto manuale proprio per far lavorare gli operai essendo molto diffusa la disoccupazione tranne l'imbullonatrice che serviva ad avvitare le chiavarde alle traversine. La paga era molto interessante perchè consisteva in ben 24.000 £ al mese.
Successivamente, quando già era ripresa la circolazione dei treni nel tratto Fognano-Marradi,  Vitaliano  lavorò alla riverniciatura del ponte di ferro sulla Lontria e a quello di Villanceto. Pulendo e riverniciando, metro per metro, scoprì che il ponte non era assemblato con bulloni ma con " bullette a caldo",  cioè inserite ancora roventi e ribattute in sede, che molto gli facevano pensare alla Torre Eiffel di Parigi. Informatosi successivamente, Vitaliano scoprì che che i ponti della linea ferroviaria Faentina sono stati costruiti nello stesso periodo e con lo stesso sistema della Torre di Parigi.

Un libro di Tecnica Edilizia su cui ha studiato Vitaliano, fatto di dispense della Scuola Electra di Torino, che furono rilegate dalle suore Domenicane di Marradi

 L'attività edilizia

Dopo questa fase Vitaliano inizia a lavorare nell'edilizia. A Marradi era stata istituita una specie di scuola per apprendisti muratori che allo studio teorico, affiancava l'attività lavorativa vera e propria, che Vitaliano frequentò conseguendo il relativo diploma.
Vitaliano lavora all'allargamento della strada di fianco alla Chiesa di San Lorenzo e alla costruzione del Cinema Borsi nel giardino adiacente l'oratorio di Sant'Antonio, l'odierna "Sede".
 Durante lo sbancamento per allargare la strada emersero molte ossa umane, segno che il  cimitero che anticamente si trovava sul sagrato della chiesa, era molto ampio e si estendeva  anche nei campi di "Baluga" dove oggi 'è il chiosco. Queste ossa furono collocate nell'oratorio in attesa di una inumazione definitiva. Ancora oggi i più anziani del paese ricordano che prima della guerra lo spiazzo davanti alla chiesa in cui andavano a giocare i bambini era chiamato  " E' cemter", il cimitero, un toponimo che ne indicava chiaramente la passata funzione di spazio usato per le sepolture.




Al centro della foto, sulla destra, il villaggio UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) un gruppo di case fra Biforco e Marradi costruito a parziale compenso per i bombardamenti subiti dal paese) 


Un' opera molto importante per il paese fu la costruzione del Villaggio UNRA ( anni 1949-1950), costituito da case popolari all'avanguardia e dotate di servizi interni. Vitaliano che amava molto questo lavoro, rimaneva sul cantiere anche dopo che il suo turno era terminato ed affiancava il capo-cantiere della ditta edile, una cooperativa di Ozzano Emilia,  nel tracciare  i muri e le scale dei nascenti edifici.Così si fece ben volere dal suo capo e imparò molte cose. Il segno dell'operosità di Vitaliano resta nella piccola edicola con la Madonnina che ancor oggi fa bella mostra di sé nel vialetto d'accesso del villaggio.







sabato 21 febbraio 2015

Club Sportivo Culturale

Il Club Sportivo Culturale di Marradi: un pò di storia per immagini
Opuscolo celebrativo di 50 anni di attinità del C.S.C. - Proprietà di Francesco Cappelli





























lunedì 16 febbraio 2015

Dopo l'8 settembre 1943

 Memorie di Francesco Cappelli.



"Dopo l'8 Settembre 1943, data della disfatta e dello scioglimento del nostro esercito, i giovani marradesi, per vie diverse e molto disastrose, tornarono alle loro abitazioni. Qui governavano i tedeschi:. Essi incutevano un certo terrore che man mano sfociò in fiducia e in una certa sicurezza in quanto i tedeschi continuavano la guerra, la loro guerra, che a noi non apparteneva più:  ne scorrazzavano per il paese, ma in pochi ci facevano caso.
Il fronte era lontano da noi, la guerra si combatteva più in Abruzzo e in Campania, la Sicilia era già caduta in mano alleate, le notizie interessavano, forse attendevamo la resa della Germania....cosa che appariva la soluzione più logica visto che da tutte le parti l'esercito tedesco retrocedeva lasciando molte vite sui campi. Ma così non fu.
Prima ci fu l'annuncio della liberazione del Duce e la ricostituzione di un fantomatico governo, la Repubblica di Salò, che stabiliva di continuare la guerra contro gli Alleati inglesi ed americani. Poi la fuga del Re d'Italia rifugiatosi a Brindisi col suo Stato Maggiore, che invitava  dal suo posto sicuro a continuare la guerra contro i tedeschi,  considerati nemici e invasori.

La confusione più grande regnava nella testa dei giovani che non sapevano quali pesci prendere e a quali santi votarsi...Avvenne che molti ragazzi di Marradi fuggirono nelle campagne, altri obbedirono  al richiamo di Mussolini che " ordinava loro di arruolarsi" e riprendevano le armi.
Un giorno, dopo un coprifuoco, io e Dante Calderoni tornavamo verso il paese scendendo per via Palazzuolo. Dante aveva 5 anni più di me ma era ancora minorenne e avendo con sè i documenti, si sentiva al sicuro. Ma quando arrivammo in fondo a via Palazzuolo fummo fermati da alcuni militari che avvisarono Dante che poteva rischiare di essere rastrellato anche se aveva i documenti in regola...



Dante Calderoni nella foto per la carta d'identità

Ricordo che due padri discutendo assieme sul consiglio da dare ai propri figli non riuscivano a districare l'intrigata matassa: la guerra era ormai persa, questo era evidente agli occhi di chiunque volesse vedere.
Fuggendo nelle montagne si era considerati "Ribelli" mentre chi si arruolava nella Repubblica Sociale Italiana, oltre ad ottenere da mangiare, e questa non era cosa da poco, adempiva al un dovere: il giuramento di fedeltà al Duce.
Essi consigliarono in modo diverso i propri ragazzi. Sta di fatto che chi era fuggito in montagna, tal Pazzi che viveva nell'odierna Casa Randi, rientrò,  mentre un povero ragazzo che aveva aderito alla R.S.I rimase ucciso in campo di battaglia.
A volte ripenso al dolore di questo povero uomo che ho avuto come amico anche come consigliere dell'Azione Cattolica. Lui avrà sicuramente creduto di agire per il meglio e non pensava certo che così facendo avrebbe condannato il proprio figlio. Disastri inumani della guerra...ma cosa c'è di umano nella guerra?
Ora veniamo alla mattina del 26 maggio 1944, quando tutti erano tranquilli in paese: chi si dedicava al proprio lavoro, chi alla propria famiglia, quando i tedeschi, con alcuni militi marradesi, bloccarono l'entrata e l'uscita del paese e diedero inizio al rastrellamento. Non so il numero esatto dei catturati ma furono molti, 50 o 60, forse più e furono rinchiusi a Villa Ersilia per essere deportati successivamente in Germania.
Alla mia età- 13 anni- non capivo il motivo di questa retata e perché erano stati fatti prigionieri senza alcuna colpa. Sta di fatto che il giorno dopo, io e Beppe Zambelli ci recammo a trovare questi giovani, adagiati su paglia e fieno come poveri animali.
Il ricordo che mi è rimasto nella mente e che mi accompagnerà finché vivrò, fu la frase " Dio te ne renda merito" che Claudio Bandini, un giovane che aveva appena compiuto 18 anni, disse alla madre che gli aveva portato una ciotola di fragole di campo immerse nel vino rosso.
Io e Beppe lo salutammo con il sorriso di chi è incosciente come era logico per chi non sapeva cosa fosse la deportazione nei campi di concentramento.
Il nome Mathausen fu noto a noi quand'era già troppo tardi. Ogni volta che ricordo quell'episodio le lacrime mi scendono copiose e un nodo alla gola mi impedisce di finire la frase pensando che quello fu l'ultimo pranzo assaggiato con gusto, di Claudio e offerto con tanto amore dalla mamma che ostentava un sorriso forzato, dando l'addio al figlio. Claudio morirà in Austria a Ebensee nel 1945 sfinito dagli stenti per le troppe privazioni cui era stato sottoposto, come migliaia di altri deportati:"



Reperti della Seconda Guerra Mondiale - collezione privata di Francesco Cappelli


Bomba a mano inglese rinvenuta verso Dogara.

Bomba a mano alleata, detta a pigna o ananas...


Vaso ricavato con  un bossolo e alcune cartucce


pugnale indiano


Giberne per contenere i caraicatori dei mitra in dotazione all'esercito tedesco.

Cappello di panno tedesco con la svastica  e l'aquila



l'interno del cappello


Elmetto tedesco

l'interno dell'elmetto

elmetto inglese trovato a Popolano

elmetto americano


l'interno dell'elmetto

Elmetto inglese

interno dell'elmetto

decorazioni militari

paccheti di fasce dell'esercito italiano

sottotacco di stivale tedesco

decorazione militare tedesca



coltellino  inglese in dotazione a tutti i militari

giovedì 12 febbraio 2015

Dal Faldo di Campigno a Crespino sul Lamone

Un classico trekking 
di crinale
di Aldo Fregnani, 
Claudio Mercatali e Vttorio Pieli



A volte le idee buone vengono per caso. Qualche giorno fa Vittorio Pieli, un po' annoiato, mi ha detto: facciamo qualcosa, un giro per i monti visto che è nevicato ... andiamo al Faldo di Campigno e torniamo da Crespino. Ho detto si d'istinto e ho fatto proprio bene. A noi si è aggiunto Aldo Fregnani, appassionato di trekking e marito della proprietaria del Faldo.

Questo trekking non è un anello e quindi è un po' complicato da organizzare: bisogna portare un'auto a Crespino e poi girare nella valle accanto, quella di Campigno  e partire di là.
Insomma si tratta di salire il versante di un monte, da 500m a 900m e poi scendere nel versante opposto, con un dislivello circa uguale.

Le due foto qui sopra chiariscono il fatto meglio di una carta topografica. Sono state scattate in occasione di altri trekking in stagioni più miti.

Nei primi due chilometri c'è da patire, perché la strada del Faldo sale dentro una valletta stretta senza panorama. E' la solita storia, chi pratica trekking di crinale lo sa bene: prima di avere qualche soddisfazione si deve guadagnare quota. Lo facciamo convinti, parlando del più e del meno, perché sappiamo che poi saremo ripagati.



A metà strada il panorama si apre e si vedono Le Scalelle, proprio il sito dal quale i campignesi rotolarono i massi sulla Compagnia di ventura del Conte Lando, nel 1358.

Si vede bene anche la traccia dell'enorme frana del 1899, con il deposito di terra e massi sul quale venne piantata una pineta, per ridare una sistemazione a questi luoghi sconvolti. La zona è contrassegnata dal n°1 nella panoramica qui sopra. In alto, al n°2 si vede Prato Cavallo, a 1000m di quota, che una delle "porte" del monte Lavane.

Il disastro della frana del 1899 e la dura realtà che si viveva in questi luoghi 100 anni fa colpirono anche Dino Campana, scrisse così nei Canti Orfici:

"Campigno: paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del caos. Il tuo abitante porge la notte dell'antico animale umano nei suoi gesti. Nelle tue mosse montagne l'elemento grottesco profila: un gaglioffo, una goffa puttana fuggono sotto le nubi in corsa. E le tue rive bianche come le nubi, triangolari, curve come gonfie vele: paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del Caos."

Siamo partiti con il cielo che minacciava il peggio ma ora è spuntato il sole. Il gelo deve aver picchiato duro questa notte, perché la rosa canina e il ginepro sono stecchiti dal ghiaccio.









Anche il pruno ha i  rami piegati dal gelo. Siamo ormai alla quota della neve, ma il manto è compatto e si cammina bene.








Il Faldo è ormai un rudere, ma non è una casa disabitata. Nell'albero secco qui davanti a casa si vede bene che i picchi hanno scavato i loro nidi, uno più basso e uno più alto. Sono quei buchi tondi che si vedono nel tronco. Aldo ci dice che ogni anno Pio, il gheppio, porta qui la sua compagna, a covare le uova nella facciata, dentro l'ex rondinaia. 



Anche noi ora abbiamo bisogno di un riparo e proseguiamo un po' fino al bivacco della Pozza delle Lame.


Claudio Mercatali al bivacco








Aldo Fregnani (a sinistra) 
e Vittorio Pieli




Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire






Il tempo è cambiato di nuovo e il sole è sparito. Nevica. Riprendiamo il cammino per arrivare al crinale. Arriviamo e rispunta il sole.



La zona di Campigno vista 
dal Bivacco della Pozza delle Lame






La via del crinale è una campestre agevole. Le tracce sulla neve sono chiare: in questi giorni di qui siamo passati solo noi e il cinghiale.


Il panorama si apre e si riconosce tutta la corona dei monti:

1 La zona del Monte di Gamogna.
2 Monte Bruno e dintorni, al confine con Tredozio.
3 La traccia del Metanodotto, quasi al confine con S.Benedetto.
4 Prato Cavallo (Campigno, vedi la prima fotografia).




Ora si tratta di percorrere una sella, per abbandonare la vallata del Faldo di Campigno ed entrare nella valle di Crespino del Lamone.





I rami non sono scossi, la neve è intatta  e quindi di qui non è passato nessuno, nemmeno il cinghiale






Ecco, questi panorami sono il motivo per cui oggi siamo qua. Le foto parlano da sole e basteranno poche indicazioni:

1 Ronchi di Berna, una punta del Carzolano, Comune di Palazzuolo.

2 Lozzole.






1  Il Giogo di Villore, nel Comune di Vicchio.

2  La Colla di Casaglia, nel Comune di Borgo S.Lorenzo.



1 Ancora Ronchi di Berna.

2 Lozzole.

In primo piano comincia 
a vedersi il castagneto 
di Pigara, la prossima tappa.








Il fondovalle 
e l'abitato di Crespino.












Dentro i tronchi da sinistra: Claudio Mercatali, Aldo Fregnani, Vittorio Pieli.


Il castagneto di Pigàra è uno dei più famosi del Comune di Marradi, per il motivo che si può ben comprendere guardando questa foto. 

Siccome tutti e tre siamo nativi di Marradi forse una posa del genere non è del tutto impropria per noi.