Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

sabato 27 luglio 2019

La burrasca di Sant'Anna

L'estate al colmo secondo Raffaele Bendandi 
ricerca di Claudio Mercatali
 


E’ stato caldo anche qui a Marradi in queste giornate di fine luglio. Una vampata di calore ha mantenuto la temperatura oltre i 30° e ha reso afose anche le notti, almeno fino all’una o alle due, quando ha preso il sopravvento la brezza fresca che scende dai monti. Poca cosa rispetto ai 40°C della pianura e alle temperature della Francia, che sono state ancora più alte delle nostre. I meteorologi dicono che questa afa finirà il 27 e il 28 luglio, quando ci saranno due giorni di pioggia, ma poi tornerà.

 
L'Europa fotografata il 25 luglio dal satellite meteorologico Sentinel 3. Nelle zone rosse la temperatura raggiunge i 40°C.
 

 

 

 

Il fatto è normale e può generare un evento forte che un tempo era noto come “la burrasca di sant’Anna”. Nella pianura Padana comincia spesso il 26 luglio, giorno dedicato a questa santa e da noi arriva dopo, quando ormai è scarica e si manifesta con una pioggerella insistente, ma a volte anche con qualche grandinata. La meteorologia moderna intesa come scienza nega in modo netto che ci sia una relazione fra un evento meteo e una data del calendario e quindi questa ricorrenza è solo una tradizione popolare. Tuttavia gli antenati non erano poi così ingenui e avevano fissato questa data perché era evidente che all’incirca alla fine di luglio, dopo tanto caldo ci doveva pur essere un punto di rottura e di refrigerio.

Il punto di rottura è la bassa pressione che si genera su un continente quando il calore del sole agisce per lungo tempo: l’aria calda sale, la pressione atmosferica scende e quindi si aprono le vie per l’aria circostante che arriva per pareggiare il dislivello barometrico.

Una volta pareggiato il dislivello le cose torneranno come prima e l’estate si manifesterà di nuovo come al solito: dunque non illudiamoci, il caldo estivo non è finito.

 

Tutto questo era già noto cento anni fa al tempo di Raffeale Bendandi il geologo, meteorologo, astronomo autodidatta faentino che nelle colonne dell’ Idea Popolare (il settimanale di Faenza che oggi si chiama Il Piccolo) commentava così una calura estiva dei primi anni Venti simile a quella di oggi, Verrebbe da dire: nulla di nuovo sotto il Sole!
 
Raffaele Bendandi
  
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 


 

 
 
 
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  … ma questo stato di cose non può durare a lungo, perché l'elevata temperatura determina quasi sempre brusche reazioni temporalesche che lasciano però il caldo che trovano …











Qui da noi le brusche reazioni temporalesche non ci sono state ma il calo di temperatura è stato netto.





venerdì 26 luglio 2019

Il ponte della Lontria

La spettacolare sostituzione
del ponte di ferro
resoconto di Claudio Mercatali

Questo ponte è uno dei più noti della Faentina, ad arco fino a metà e poi in ferro poggiato da una parte su un pilone di cemento e mattoni e al capo opposto direttamente su roccia. Fu costruito negli anni 1887 – 1892 assieme al viadotto di Villanceto, al Ponte delle Fossa (Camurano) al Ponte delle Frèra (Fantino) e ai ponti vicino alle stazioni di Fantino e Crespino, che oggi sono di cemento perché rifatti dopo che i Tedeschi nel 1944 fecero saltare in aria quelli originari di ferro.

Il Ponte della Lontria in costruzione
(1887 - 1892)
Alla fine dell’Ottocento le costruzioni in tralicci di ferro erano la grande novità, come dimostrò l’ingegnere Auguste Eiffel nel 1889 realizzando in due o tre anni la sua famosa torre. Poi cominciò l’epoca del cemento armato e le costruzioni in ferro vennero realizzate di meno. Oggi sappiamo che il cemento armato dura circa quarant’anni e poi richiede degli interventi strutturali importanti e quindi come materiale da costruzione è molto meno alternativo di quanto si credeva.

Senza voler entrare nel merito dell’ingegneria possiamo notare che il ponte di Valbura (Crespino) ricostruito in cemento nel 1956, alla fine degli anni Novanta è stato completamente ristrutturato mentre il Ponte della Lontria è andato avanti fino al 21 luglio 2019 con una manutenzione minore.

Sopra i suoi tralicci ormai arrugginiti passarono i primi treni in transito sulla Faentina, e poi sessanta treni al giorno negli anni 1915 – 1918 quando era indispensabile portare al fronte i soldati della Prima Guerra Mondiale e i relativi rifornimenti.
Nella Seconda Guerra Mondiale la linea venne intensamente usata dai Tedeschi per spedire a sud armi e soldati e per questo gli Americani nel 1944 cercarono di interromperla con dei tragici bombardamenti su Marradi, anche sul Ponte della Lontria, che non venne colpito.

Nel 2019 questo pezzo di storia marradese ha finito il suo servizio ed è stato sostituito con un nuovo ponte in ferro. Le Ferrovie dello Stato hanno scelto la tecnica della sostituzione per intero, cioè rimuovendo il ponte vecchio senza smontarlo e mettendo al suo posto quello nuovo già assemblato nel piazzale della stazione di Marradi.



Operazione facile a dirsi ma difficile da fare: i lavori sono durati quasi un anno, per preparare il cantiere dove piazzare la gru adatta allo scopo. 



Una gru gigantesca ha sollevato il ponte lentamente.















Poi l'ha girato e appoggiato nel piazzale della stazione.


domenica 21 luglio 2019

Alla ricerca della stazione spaziale ISS

Osserviamo il maggiore
satellite in orbita
ricerca di Claudio Mercatali
 

In orbita attorno alla Terra ci sono centinaia di satelliti artificiali, lanciati lassù per i più svariati motivi: telecomunicazioni, meteorologia, fotografia e scopi scientifici. C’è anche un numero imprecisato di satelliti militari, soprattutto americani e russi. Sono quasi tutti di piccole dimensioni, con diametri di un metro o poco più se si considerano anche i loro pannelli solari, che sono distesi attorno al corpo del satellite propriamente detto.

Come tutti i meccanismi hanno un certo numero di ore di funzionamento dopo di che si guastano, vengono abbandonati e sostituiti con un apparecchio nuovo. Così, senza guida, girano attorno alla Terra per un tempo imprecisato, anche per anni e poi vanno fuori orbita e in genere ricadono. Gli esperti ci rassicurano e spiegano che non arrivano quasi mai al suolo ma si incendiano per attrito quando entrano nell’atmosfera e lasciano una scia tipo stella cadente.
In orbita c’è anche una quantità di altre cose: pezzi di missile, serbatoi vuoti di razzi a più stadi, rottami di satelliti militari distrutti dai nemici negli anni della Guerra Fredda (ma alla zitta anche oggi). Molti di questi oggetti sono visibili come puntini bianchi, non intermittenti, perché il loro rivestimento riflette bene la luce del Sole e li fa brillare. Non è una osservazione difficile, però richiede una certa pazienza: bisogna stare a naso in su, in una notte con poca luna, finché non si vede un puntino che si muove in linea retta …

 
 
 
 
 
 
Adesso ci interessa il satellite artificiale più importante, che è la Stazione Spaziale Internazionale ISS (International Space Station), nata dalla collaborazione fra cinque agenzie spaziali, la canadese (CSA), l'europea (ESA), la giapponese (JAXA - già NASDA), l'agenzia russa (RKA) e quella statunitense (NASA).

Venne messa in orbita un pezzo alla volta, a partire da 1998 ed è sempre abitata da un equipaggio di astronauti, che si danno il cambio. Grande come un campo da calcio la ISS ha quasi sempre una visibilità simile a quella di un pianeta o di una stella molto luminosa. Gira a 27.600 Km/h, velocità normale lassù e compie 15 – 16 orbite al giorno, il che significa che passa circa ogni 90 minuti.

 
Eccoci al punto che interessa: come si fa ad osservare la ISS? L’orbita varia ad ogni giro e non è circolare ma sinusoidale, come si vede qui accanto. Quindi non si può scrutare una precisa parte del cielo ma occorre un tabulato con gli orari e le coordinate, come questo qui sopra. Poi non rimane che puntare la sveglia …
 
 
 
 
 
Nel caso più fortunato si vede la ISS passare e scemare di luminosità prima di arrivare ai monti di fronte: questo avviene perché in quell’orbita il satellite incontra il cono d’ombra della Terra e il Sole non la illumina più. Il cielo di Marradi si presta bene per osservare la ISS: se il tabulato con gli orari riporta una direzione SE o SW vi serve il cielo libero verso sud e quindi dovete uscire dal paese dalla parte di Faenza: la zona di Casa Carloni va già bene. Se invece c’è l’indicazione NE o NW potete salire alla Colombaia. Serve un’orbita con un’altezza di almeno 20° sull’orizzonte, sennò il profilo dei monti copre il passaggio.

Il 22 luglio potrebbe essere una notte ottima: c'è un passaggio alle 21.25 con un margine di errore di qualche minuto, l 'altezza al culmine è di 49°  nel cielo a NNW e una luminosità di - 2.7 che è quella di un pianeta ben visibile.


In Italia le notizie che riguardano lo Spazio hanno uno scarso rilievo, anche quando siamo direttamente coinvolti. Quasi nessuno sa che sull’ ISS hanno soggiornato anche cinque astronauti italiani: Umberto Guidoni, Paolo Nespoli, Roberto Vittori, Luca Parmitano e nel 2014 Samantha Cristoforetti , che si vede qui accanto. Il 20 luglio scorso, per ricordare il cinquantesimo anno dalla Conquista della luna è partito dal cosmodromo russo di Baikonur l'ennesimo equipaggio, del quale fa parte di nuovo Luca Parmitano.

Per altre informazioni:
1) Digita su internet “Come osservare la Stazione Spaziale”.
2) sito: www Denebofficial.com

mercoledì 17 luglio 2019

Il reduce della battaglia di Adua

20 luglio 1897   Torna a Palazzuolo
dalla prigionia il soldato
Damiano Barzagli
ricerca di Claudio Mercatali

Il negus Menelik

Nel marzo 1896 l'Italia fu sconfitta ad Adua dagli etiopi del negus Menelik. Fu la conclusione di una sconsiderata guerra coloniale, condotta fuori tempo e fuori luogo. Morirono circa 7000 italiani e 2000 furono fatti prigionieri dal capo etiope Ras Makonnen, che li liberò un po' alla volta nei mesi successivi.

Damiano Barzagli di Palazzuolo alla metà di luglio del 1897 tornò a casa. Era stato soldato nella brigata Da Bormida, una delle unità dell' Esercito Italiano sterminate nell' infausta giornata. I compaesani, felici del suo ritorno e curiosi di sapere della "guerra d'Affrica" gli chiesero di raccontare com'era andata ....
 

 
 
Ras Makonnen (al centro) con i suoi
 
Al concerto della banda fu messo al posto d'onore e la serata riuscì allegra. Il corrispondente del Messaggero del Mugello si lascia andare un po' e scrive:
 
 " ... non è una milizia la vita dell'uomo sulla Terra specialmente nell' era presente? Allora il cuore si apre e l'energia dell'animo arriva a manifestarsi ...".




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Tutto bene? Si, però ad un certo punto arrivò una lettera dal Comando d'Africa indirizzata alla famiglia, in cui c'era scritto che ... leggiamo:








 

mercoledì 10 luglio 2019

1576 Come evitare il contagio della peste

Dieci consigli
del monaco Silvano Razzi 
Ricerca di Claudio Mercatali


In questo studio il monaco Silvano Razzi, marradese, che fu abate di Camaldoli, si occupa di prevenzione della peste. Com' era d’uso ai suoi tempi Silvano Razzi dedica lo studio a una persona importante, che in questo caso è il suo superiore:

Al Reverendissimo padre don Piero Bagnacavallo,
Generale dell’Ordine di Camaldoli
da parte del suo devotissimo Silvano Razzi, monaco

Avendo io à questi giorni letto molti libri, che in questi, et altri tempi sono stati fatti da huomini eccellenti, d’intorno al modo di preservarsi dalla peste, e venendo, di curarla, nel venire ultimamente in considerazione che quasi la maggior parte de gl’ huomini amano meglio di sapere come preservarsi col reggimento della vita: e con alcuni rimedii di fuori, e alcune diligenze più facili tenere per quanto si può, da sé lontano il male: che di pensare al modo di curarlo quando venga: come quelli che ò che ci penseranno allora, ò si rimetteranno a chi havrà di essi cura e massimamente in Dio.  
Ho cavato da gli scritti di dotti Medici, e ho messo insieme tutto, che appartiene al modo di vivere, e governarsi né tempi di peste. Et appresso ancora alcuni facili rimedii, i quali da quasi fare si possono agevolmente et usare. Il che come fatto mi sia venuto, e di quanto giovamento vi possa essere in ogni tempo, potrà vedere vostra P. Reverendissima. Alla quale indirizzo questa piccola, non dico né opera né componimento (essendoci poco di mio) ma fatica, e diligenza di havere cavato dai detti Autori tutto, che ho giudicato à proposito di questa mia intenzione, e postolo insieme. Aggiungendovi alcuni avvertimenti, secondo che mi ha ispirato Dio benedetto. E con questo, senza più oltre dirle, humilmente mi raccomando nella sua grazia, e con ogni riverenza le bacio le mani, che nostro Signore Dio la confermi felicissima.

Di Firenze, il dì di Sant’Ambrosio, 1576

Il coltissimo Silvano già nella premessa ci fa sapere che la peste è un castigo di Dio, come è detto nel Primo e Secondo Libro dei Paralipòmeni. Ma che cosa sono questi libri? Ho dovuto chiedere a un prete, perché non sono chiari nemmeno i siti internet e ho avuto questa risposta: si tratta di due libri aggiuntivi della Bibbia dove si narrano le cose tralasciate nel testo principale, due appendici interessanti ma secondarie che oggi non sono oggetto di dogma.
 





Però Silvano Razzi ragiona come un frate del Cinquecento ed è di diverso avviso. Secondo lui questa malattia è un castigo di Dio per i nostri eccessivi peccati e quindi in sostanza deve essere accettato e le cose da considerare sono due:
… L’una che la peste sia un male che lo manda Dio benedetto, come, dove, quando e per quanto gli piace …
… L’altra è che è possibile, con la sua grazia, che le province le quali infino ad hora non sono infette per questa volta, ne rimangano libere …




Secondo Razzi Dio non si offende se gli uomini mettono in atto tanti accorgimenti per evitare il contagio, specialmente se fanno opera caritatevole per curare gli appestati:
 … così credo io sarebbe no piccolo errore se uno, ancor che per altro avveduto pastore, e santo, il quale andasse, verbigrazia, à visitare infermi né tempi di peste, senza essersi prima armato contra si fatta contagione …
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In caso di epidemia bisogna stare attenti a mangiare il pesce, specialmente quello che non vive nell'acqua corrente.










mercoledì 3 luglio 2019

Un trekking da Crespino a Biforco


Da una stazione ferroviaria
all'altra
resoconto di Claudio Mercatali


Di solito i trekking in montagna si fanno percorrendo un anello, ma questa volta non è così. O per meglio dire qui l'anello c'è, ma si completa in ferrovia.

Si parte in treno dalla stazione di Biforco, si scende a Crespino e si sale verso il podere di Pigàra. Il versante è un pascolo con poca macchia e quindi la visuale è ampia fin dall' inizio. La stazione di Crespino, vista dalla strada per Pigàra fa un bell'effetto, come del resto Crespino, che si vede laggiù in basso.



Pigàra è un podere antico, molto noto per il suo castagneto secolare, che ha tante piante monumentali. Il luogo è particolare e meta di visite e campeggi, perché questo castagneto, a differenza di molti altri, ha una morfologia dolce e si gira volentieri.


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Da documenti antichi si sa che il primo impianto risale al Seicento e venne fatto in modo razionale, con gli alberi disposte in file. Ne abbiamo già parlato su questo blog il 29 ottobre 2011 e l'articolo è nell' archivio tematico alla voce Comunità di Crespino. 

Subito dopo il castagneto comincia il Galestro di Garminana, una lunga pendice di pietra lungo la quale la strada sale diritta, senza pietà. Il versante è monoclino, con gli strati di roccia inclinati di 30°, come tutte le montagne qui attorno. Questo significa che la pendenza è del 58% (la strada della Colla di Casaglia tocca il massimo qua sotto, al Molino di Valbura, con il 10%). Lo sanno bene gli appassionati di muntain bike e infatti questo è uno dei loro percorsi preferiti.

Dopo un certo numero di stenti si arriva al crinale e ci fa ancora compagnia la vista di Crespino. Per capire quanto siamo saliti basta un confronto fra le foto qui accanto.

La casa poderale di Garminana ormai è un mucchio di sassi e si vede male. Conviene prendere a riferimento l'antenna dei telefonini Omnitel e fermarsi proprio lì, perché c'è un bivio da imboccare.

Il punto giusto è un bel sito panoramico in cui si vedono i due versanti, quello di Crespino e quello della valle di Campigno, che è questo qui accanto.

Per Biforco si prende a sinistra, abbandonando la strada fatta finora, che prosegue fino alla bocchetta di Val di Rovino e oltre, verso siti campaniani che saranno oggetto di un prossimo trekking, quando gli alberi avranno perso la foglia. Per arrivare fin qui si impiega un po' più di un'ora e la fatica si fa sentire. Una sosta si impone, per bere e mangiare qualcosa, invogliati anche dal panorama notevole. Ora comincia la discesa, lungo un sentiero di crinale che gira e rigira percorrendo sempre dei siti panoramici. Il motivo per cui vale la pena di venire qui, per un marradese, è questo panorama insolito del paese.


Marradi visto dal crinale
sopra a Garminana







Muschieta è un poderetto in rovina in cima al monte di Poggiol di Termini. Lì vicino Marradi si vede per intero.







Dopo un'ora e venti di discesa si vede Ponte di Camurano, nel fondovalle. Da qui si capisce anche perché questo gruppo di case si chiama così. Ci sono due ponti, uno lungo la odierna strada maestra per Borgo S.Lorenzo e uno più piccolo e interno, che è quello da cui passava la strada prima che il granduca Leopoldo II facesse la attuale, nei primi decenni dell' Ottocento. 





Nell' ultimo chilometro ci sono tanti punti da cui si vede Marradi e alla fine si arriva alla stazione ....


 


In sintesi tutta la camminata è durata tre ore: un'ora per salire e due per scendere lungo il crinale. La maggior parte della fatica evidentemente è nel primo tratto, ma non facciamoci troppe illusioni, perché i crinali hanno sempre un andamento vario e anche se sono in discesa non è detto che siano tutte rose e fiori. Il trekking è lungo circa 10km.