Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 16 maggio 2011

UN COMPLEANNO A TUTTO TONDO (ricordi di un popolanese adottivo)

(Questo brano è inserito nell'opuscolo redatto dalla C.O.M.E.S. per festeggiare l'ottantesimo compleanno di don Nilo)

In occasione del 2° compleanno a tutto tondo (80°) di don Nilo, anche per me ricorre una data importante: lo conosco da 50 anni.

I SUOI PRIMI 40 ANNI (gli anni ’60 in particolare).

Non posso portare testimonianze anteriori agli anni ’60, poiché ho conosciuto don Nilo all’inizio di quel decennio.
Ero uscito dal seminario da pochi mesi e mi sentivo spaesato. In quattro anni di studi e formazione religiosa, interrotta per mancanza di vocazione, avevo visto il mondo esterno solo dal recinto dell’orto e dalle finestre del collegio.
A febbraio del 1961 andai nella biblioteca di Marradi, che era sistemata in piazza Scalelle, e chiesi in prestito il “Conte di Montecristo” perché mi piacevano i libri d’avventura. Mi fu risposto che quel romanzo non era adatto alla mia età (avevo 15 anni). La bibliotecaria aggiunse: - parlerò comunque con don Nilo della tua richiesta -. Quando lo incontrai, capii dal suo sorriso che la mia scelta era comprensibile e la bibliotecaria era stata un po’ eccessiva nello zelo da indice inquisitorio.
Non tornai in biblioteca per molto tempo, anche perché una copia del capolavoro di Dumas era fra i libri di mio nonno.
Negli anni successivi don Nilo, dopo aver inquadrato i miei fervori giovanili, mi rifilò dalla sua biblioteca personale mattoni che avrebbero abbattuto un toro, come “Il concetto dell’angoscia” e “La malattia mortale” di Kierkegaard, “Esistenzialismo o marxismo?” di Lukács ed alcuni lavori di Maritain e Merton. Grazie a quelle letture conobbi l’esistenzialismo in generale e quello cristiano in particolare. Quei “mattoni” mi servirono anche come alternativa all’aridità degli studi economico-statistici e come riparo dalla deformazione professionale della mia futura attività lavorativa. Nel nostro ambiente si diceva: - per lavorare in banca non bisogna essere cretini, però aiuta molto! –
Lungo tutti gli anni ’60 la frequentazione con don Nilo fu assidua, fruttuosa e ricca di confronti culturali, politici e operativi. Intorno al 1965 egli coinvolse buona parte di ragazzi marradesi nel movimento “Gioventù studentesca”. Ogni sabato ci ritrovavamo nella vecchia sede dell’Acli, Cinto introduceva le riunioni suonando “Al chiaro di luna” o “Per Elisa”, poi ci mettevamo a discutere di tutto, dai “massimi sistemi”, troppo grandi per la nostra cultura provinciale, alla liceità dello strip-tease, dal cineforum alla programmazione dei campeggi estivi: quelli di Vallombrosa e dell’Abetone sono rimasti scolpiti nella nostra memoria come eventi mitici. La penuria di soldi, di tende e mezzi di locomozione ci faceva affrontare con incoscienza e fantasia gli imprevisti e i pericoli. È andata sempre bene, anche se a Pratesi una volta rubarono la miglior tenda che avevamo in dotazione.
Quelli furono anche gli anni delle opere. Don Nilo avviò i lavori di ampliamento della sede Acli, la costruzione del campo da tennis su terreno di sua proprietà, organizzò e guidò le spedizioni di volontari a Firenze dopo l’alluvione del 4 novembre 1966, stimolò molte iniziative che divennero in seguito lavori pubblici.
A metà decennio il Mondo cominciò ad accelerare: gli effetti del concilio vaticano II, il pacifismo di Giorgio La Pira, il crescente peso del Comunismo, il Movimento Studentesco, le elezioni del ’68, i preti operai, i fermenti nelle Acli, don Milani, padre Balducci ed una nuova etica laica causarono fratture e lotte di idee e di prospettiva nelle tradizionali associazioni giovanili. Ne soffrimmo tutti.
Nel ‘67 don Nilo mi spedì da solo al convegno estivo delle Acli a Vallombrosa e potei assistere ai primi segnali di frattura fra l’ala religiosa e quella politica dell’associazione, che sarebbe avvenuta nel 1970.
Nel ’68 a Marradi eravamo una decina di universitari e volevamo creare una nostra associazione con l’obiettivo (e la presunzione) di interpretare i tempi nuovi e sprovincializzare l’ambiente culturale del paese. Non se ne fece nulla perché don Nilo non era d’accordo: mi è rimasta ancora la voglia di chiedergli, dopo quasi mezzo secolo, i motivi reali di quell’opposizione.
Intanto io stavo completando gli studi a Firenze. A fine settimana tornavo a Marradi, il sabato e la domenica pomeriggio andavo da don Nilo a Cardeto, nella sua sede parrocchiale. Egli trovava sempre il modo di intrattenermi per discutere dei fermenti studenteschi metropolitani e il dialogo si accendeva quasi sempre sugli eventi più recenti.
All’inizio degli anni ’70 i miei ritorni a Marradi diventarono sempre più radi ma potei rendermi conto che il prete dei giovani, l’ispiratore delle idee marradesi più stimolanti, il padre spirituale di una certa generazione politica locale era sempre più impegnato nella sua mansione e missione di parroco.
I primi quaranta anni non manifestano soluzione di continuità con quelli successivi. Penso che proprio negli anni ’70 don Nilo, attraverso la sua missione pastorale e parrocchiale permanente, scoprisse la vocazione della sua maturità. A mio avviso, per il carattere evangelicamente irrequieto e per l’animo generoso di carità paolina, la vita tradizionale di parroco gli stava stretta e proprio in quel decennio iniziò a seminare nuovi granelli di senape, uno dei quali diventerà una pianta su cui si sono posati tanti giovani che avevano perso il senso della vita.




I SUOI SECONDI 40 ANNI (con postilla non conclusiva)

Quanti granelli di senape ha seminato don Nilo nella sua vita che ci auguriamo tutti lunga ed ancora operosa? Tanti: alcuni hanno prodotto arbusti, altri piante grandicelle, qualcuno non è nato o ha generato un bonsai, ma uno è divenuto un grande albero, che sta crescendo ancora, e l’ultimo è spuntato nell’autunno del 2007, anno in cui don Nilo è divenuto “amministratore parrocchiale” di Popolano, in sostanza il nostro parroco.
Sul grande albero di Sasso tante persone possono parlare e scrivere meglio di me per cui mi limito a raccontare solo qualche episodio.
Per 3 anni consecutivi (1985 e ss.) i sassaioli della prima ora aiutarono il rione di Povlo’ ad allestire i carri per la sfilata della graticola d’oro.
Negli anni successivi la comunità di Sasso s’ingrandì vertiginosamente e alcune volte don Nilo, a casa mia per cena, parlava dei problemi di gestione e di nuovi locali.
Il conflitto fra società marradese e popolanese e la comunità di Sasso, vissuto a metà degli anni ’90 a seguito di episodi criticati da molti concittadini, fu sanato dal buon senso, dallo spirito di verifica reciproca e dal riordino delle attività di recupero e reinserimento dei ragazzi.
Forse quelli furono gli anni più duri e sofferti della vita di don Nilo. Il tempo ha calmato gli animi e lo spirito di pace e di concordia, che ha sempre animato il fondatore di Sasso, alla fine ha vinto ma, soprattutto, hanno vinto le virtù cristiane che più distinguono il nostro attuale parroco.
Anche la decisione di accettare l’incarico a Popolano è stata sofferta, perché la nostra comunità non era coesa su questa scelta diocesana, mentre il primo dovere del parroco è quello di riunire le coscienze e superare le divisioni.
Don Nilo è arrivato a Popolano durante una fase di propria rigenerazione giovanile. Appariva a tutti noi pieno di nuove energie, di buone idee per la parrocchia ed in ottimo stato di salute; tutto ciò spiega come egli possa sostenere tours de force quotidiani e soprattutto festivi sempre sorridente e disponibile.
La parrocchia ha ripreso le proprie funzioni organizzative ed operative, la chiesa è di nuovo aperta per tutta la giornata, grazie anche all’impegno di suor Roberta, il cui arrivo a Popolano è stato per noi e per don Nilo un dono inatteso.
Dal 2007 molti popolanesi hanno ripreso la strada della loro chiesa per la S. Messa festiva e la messa di don Nilo non è una “missa brevis”. Però quell’oretta di sacra celebrazione serve per riprenderci dalle distrazioni e divagazioni della settimana passata e ci prepara ad affrontare con rinnovato spirito cristiano quella che ci attende. Spesso la chiesa è piena perché arrivano fedeli da Marradi e gruppi di giovani da altre località.
A Popolano don Nilo ha riaperto anche la sua stagione delle opere, varando un programma di recupero edilizio dei locali adiacenti alla chiesa (canonica e abitazioni) che fa tremare i polsi per l’impegno finanziario, ma c’è una spiegazione a tutto. Al termine dei lavori in corso, i locali potranno essere utilizzati da associazioni e gruppi di altre parrocchie per trascorrere periodi di ritiro spirituale e di vacanza estiva. L’associazione consacrata laicale “Piccola Fraternità” garantirà la presenza continua nella rinnovata struttura e l’assistenza agli ospiti. Anche i popolanesi riavranno una stanza tutta loro per riunirsi e trascorrere qualche ora in allegria. Nel frattempo il “lòm a merz” di quest’anno ha sfidato intemperie, fortuna ed altri rischi. Grazie al cielo il fuoco ha resistito sotto la pioggia, la lotteria ha portato qualche goccia di denaro per i lavori in corso e 200 polente sono state distribuite dai popolanesi sotto i tendoni dello stand.

Nel ripensare alla vita cristiana di don Nilo, al suo impegno verso gli ultimi, alla sua attività pratica ed alla sua missione pastorale, vengono in mente due passi della liturgia ed un episodio del poverello di Assisi: la parabola della pecora smarrita del Vangelo di Luca, una frase della lettera di s. Giacomo (la fede senza le opere è morta) e il sogno di s. Francesco (Francesco va’ a riparare la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina). Tanti altri passi liturgici della Parola si attagliano bene alla vita di don Nilo, ma non è opportuno fare dell’agiografia, se non altro, per non precorrere i tempi… Comunque, fu proprio don Nilo a dirmi tanti anni fa: - i santi sono le persone più equilibrate -.
Una considerazione finale è “doverosa”: nelle parole di don Nilo mancano di solito gli imperativi dogmatici, le formalità giuridiche ed i richiami disciplinari rivolti ai singoli. A questa francescana carenza sopperisce una formella incastonata nel muro fuori dall’ingresso della chiesa di Popolano che riporta una frase in latino tardo medievale: “BANNA DECRETA MONITA”, il cui significato intuitivo potrebbe essere: “il bando stabilisce gli ammonimenti” ma che, probabilmente, riguardava un albo pretorio in cui venivano riportati dalle autorità “bandi, decreti, ammonimenti”. Noi popolanesi sapevamo che prima o poi don Nilo sarebbe arrivato nella nostra comunità, perché i doveri sono titolati su quella pietra serena, per tutto il resto possiamo ascoltare con attenzione e beneficio il nostro parroco.
Grazie caro don Nilo e i nostri auguri valgono anche per il tuo prossimo compleanno a “tutto tondo” (l’88°), ma vogliamo contare fino a 100.

Antonio Moffa

venerdì 13 maggio 2011

25 aprile 1944

Una Fortezza Volante USA viene abbattuta
e cade a Pian delle Fagge
di Rodolfo Ridolfi


I resti della fusoliera


I fatti hanno origine dalla battaglia aerea di martedì 25 aprile 1944, la fortezza volante è il B-24 H numero 42-29272 del 15° AIR FORCE 450^ BRG 721 BS Squadrone Bombardieri decollato da Manduria (Taranto) in missione verso Varese con l'obiettivo di bombardare la fabbrica di aerei Macchi. “
"Quel giorno c'erano nuvole, piuttosto basse attorno alla zona, ma i ragazzi decollarono.” Le condizione del tempo ruppero la Formazione. come raccontano i cinque sopravvissuti e come si legge nella scheda-rapporto n.4631 del Quartier Generale Air-Force di Whasington. Il bombardiere con undici uomini di equipaggio a bordo, pilotato dal primo tenente Abner Harwy decolla alle 11,20.










Il B 24 Liberator era detto Fortezza Volante
Pian delle Fagge oggi

Nei pressi di Marradi-Crespino alle ore 12,55 furono attaccati da caccia tedeschi Messerschmitt (ME) Il primo luogotenente 1st Lt. Chester F. Kingsman, da civile professore di scuola superiore e allenatore riferisce: Il mitragliere fu ucciso immediatamente sganciò il carico di bombe. I nemici continuarono il loro attacco ed il motore dell’aereo si incendiò. Il pilota ordinò di lanciarsi. Kimgsman e altri quattro membri dell’equipaggio si paracadutarono e subito l’aereo esplose sull’area di Marradi. Kingsman atterrò sulle braccia ferendosi alla coscia e rompendosi due costole.
Nell’area di Marradi viene rintracciato da Domenico Vanni che lo ricongiunge con due membri del suo equipaggio sergente Shergold e tenente Paul. Tutti nascosti da una famiglia italiana in quest’area fino a quando non guarisce; “…Mario Mancorti Valdimora 23 Cardeto, fornì cibo e alloggio per due ufficiali ed un sergente, un ufficiale un mese, un ufficiale ed un sergente due mesi. Quattro mesi in tutto. Dal primo maggio 1944 al 23 settembre del 1944 . Sfamò curò e ricoverò Kingsman lo avvisò e lo nascose ogni qualvolta i tedeschi erano nell’area. La moglie medicò Kingsman. Un uomo molto povero ha fatto tutto quello che poteva anche a rischio della propria vita. Gino Lippi (padrone) Villa Valdimora fornì il cibo a Mario senza chiedergli soldi Agosto Settembre 1944 Leonia la nipote di Mancorti fornì a Kingsman i vestiti del marito e procurò 8 lire maggio settembre 1944. Nella caccia all'uomo che seguì dopo che gli americani si furono lanciati con il paracadute, fu catturato solamente il navigatore Raymond Barthelmy che fu internato nel campo Stalag Luft in Germania dal quale fu liberato e ritornò negli Stati Uniti come racconta Chester Kingsman nella lettera a Domenico Vanni del 12 febbraio 1946;: “..Raymond mi ha scritto una lettera anche lui sta bene ed è congedato. E’ stato prigioniero in Germania :..”.
Il comandante della 6^ Brigata d’Assalto “L.Lavacchini” Donatello Donatini Presidente del CTLN di Borgo San Lorenzo che in un documento del 10 settembre 1945 scrive che “ il Vanni ha partecipato all’azione del 25 aprile 1944 in località Pian delle Fagge in Comune di Palazzuolo di Romagna, azione che portò alla liberazione di un gruppo di aviatori americani caduti col proprio apparecchio in detta località. In detta azione furono uccisi due militi fascisti, uno ferito e gli altri disarmati. Il Vanni arrestato dalle SS il 25 maggio venne sottoposto a sevizie onde rivelasse la località ove accampavano i partigiani ed il nome dei componenti del CLN di Borgo San Lorenzo. Egli manteneva un contegno ed una fermezza esemplari riuscendo così a frustrare tutti i tentativi dei nazisti.

Il documento del 10 settembre 1945

Internato poco dopo in Germania nel campo di Mathausen rientrava in Italia dopo 12 mesi di prigionia) Il Sergente Shergold William. canadese riferisce: “Persone che mi hanno aiutato Mengone ex amministratore di Marradi amico di Paul fu preso prigioniero dai tedeschi e consegnato ai fascisti ed ora è di nuovo coi partigiani. Gino Lippi capitalista di Marradi che aiutò alcuni come meglio poteva” Nella Lettera del 12 febbraio 1946 Chester Kingsman scrive Mio Caro Domenico Vanni, ..io so che tu hai sofferto molto in mano ai nazisti ma il tuo eroico coraggio il tuo fermo credo nei diritti e nel bene comune insieme alla tua resistenza ti hanno aiutato a vincere la battaglia. Tu ed i tuoi eroici compatrioti che salvarono me e gli altri amici americani non sarete mai ripagati appieno. Avete salvato le nostre vite e ci avete protetto dal nemico e dalla cattura. Ricorderò sempre l’aiuto che tu e la tua gente ci avete dato in disprezzo delle vostre vite. Noi quattro siamo riusciti a tornare salvi in Patria. Tutti noi quattro siamo stati capaci di tornare sani e salvi dai nostri americani che pensavano fossimo morti. Ho visto Paul recentemente sta bene ed è di nuovo civile. Abbiamo parlato delle nostre esperienze in Italia. Raymond mi ha scritto una lettera anche lui sta bene ed è congedato. E’ stato prigioniero in Germania. Guglielmo anche è a casa e sta bene. Si è operato al piede e sta meglio ora. Anche Raymond che ci ha raggiunti da Mancorti dopo che sei stato portato via, è a casa. Quindi tutti noi quattro, o piuttosto cinque, siamo rientrati. Sono stato piuttosto malato dopo il mio ritorno in America ma ora sto bene. Sono ancora nell’arma ma finirò entro la fine di questo anno. Dal mio ritorno dagli USA sono stato molto occupato nel lavoro militare. Mi spiace non averti scritto prima. Ho molta voglia di rimanere in contatto con te e i tuoi amici italiani e aiutare là dove posso. Per favore sii libero di chiedermi tutto l’aiuto che vuoi. Io e i miei amici aiutati a scappare dal nemico stiamo organizzando un club con il fine di aiutare le persone che ci hanno aiutato durante la guerra. Ci vorrà molto tempo ma alla fine riusciremo a ripagare il debito ai buoni patrioti, a te e agli altri amici vi farò sapere le notizie del club più in là. Posso parlare ancora un poco italiano ma lo sto scordando poiché qui non lo parlo molto. Mengone, vorrei l’esatta posizione di dove sono sepolti i corpi degli altri miei compagni americani, i numeri dei corpi e tutte le informazioni che puoi avere per dare notizie alle famiglie. Grazie ancora per quello che avete fatto per me e dimmi se posso esserti di aiuto. Spero che tu stia bene e che tu abbia una vita felice e calma. Vorrei conoscere l’esatto luogo dove i corpi dei miei amici sono sepolti i corpi dei sei deceduti. ( Furono recuperati e seppelliti nel cimitero di Lozzole (Chiesa Scuola) da Arturo Scalini e Carlo Zacchini.

La chiesa di Lozzole
La lettera del 12 febbraio 1946

I resti di cinque di loro furono poi traslati negli Stati Uniti. al Zachary Taylor National Cemetery, nel Kentuky). E conclude “..dai i miei migliori auguri ai miei cari amici Mario, (Mancorti Mario), Maria ( Coiro Maria moglie di Mario),Leonia (Leonia Ferrini nipote di Mario), Lippi (Lippi Gino nato a Bibbiena a Marradi dal 26 agosto 1942 al 1956 agente di beni Cardeto Villa di Valdimora 23), Scalini (Scalini Arturo agricoltore in proprio, proprietario di Pian delle Fagge) , Lorenzo (Lorenzo Mancorti) e gli altri.”Cordiali saluti e buona fortuna Tuo amico per sempre Il 25 marzo 1946 Leslie J.Paul scrive “Caro Mengone …Questo per certificare che il sottoscrtitto LESLIE J PAUL dell’aviazione militare Americana ha ricevuto aiuto e rifugio da Domenico Vanni, la sua famiglia e i suoi amici da aprile fino al 28 maggio 1944, durante questo frangente ero considerato disperso. Il signor Vanni fu fatto prigioniero e torturato perché non volle dire dove io ed i miei ragazzi eravamo nascosti. Il signor Vanni era conosciuto come Mengone.” Queste persone sono oneste e sincere e mi hanno dato la migliore considerazione ed il miglior trattamento possibile. Il mio sentimento è quello che debbano ricevere qualsiasi tipo di aiuto o lavoro possibile…”


Domenico Vanni, detto Mengone,
è il secondo da sinistra

Testimonianza di Beppino Ridolfi
Beppino Ridolfi, se lo ricorda molto bene quel 25 aprile del '44 quando quell'aereo americano precipitò a Lozzole. Si trovava proprio presso il podere Pian delle Fagge e stava lavorando i campi assieme al padrone del podere, Arturo Scalini. Quando videro avvicinarsi l'aereo così basso pensò che volesse atterrare lì ma all'improvviso ci fu lo schianto. Quelli che erano con lui scapparono, lui, invece, rimase pietrificato. Immediatamente l'aereo prese fuoco (mio nonno ricorda che le fiamme erano talmente alte da sembrare che toccassero il cielo). Appena si accorsero dell'accaduto, lui e gli altri, corsero su per vedere se ci fossero superstiti. Naturalmente avvicinarsi all'aereo non era facile per via dell'incendio e del metallo che colava. Trovarono tre corpi di militari ancora legati al loro seggiolino che stavano bruciando dalla vita in su e si avvicinarono nella speranza di riuscire ad estrarli anche solo tirandoli per le gambe. Chiaramente non c'era più nulla da fare.

Testimonianza di Franca Zacchini
Franca Zacchini, nipote di Arturo Scalini, sorella di Carlo, ricorda molto bene che i tedeschi si fermarono a Pian delle Fagge minacciosi e fu solo grazie all’abilità ed al buon francese che Arturo Scalini ostentò nei confronti dell’ufficiale tedesco che le famiglie di Pian delle Fagge Franca e suo marito Beppe Baschetti evitarono guai seri pur dovendo per molti giorni nascondersi nelle grotte circostanti. Franca ricorda anche di essersi recata, incuriosita a vedere i resti del bombardiere abbattuto nei giorni successivi al 25 aprile del 1944.

Testo della motivazione dell’onorificenza conferita a Domenico Vanni Questo certificato è rilasciato per i meriti di Vanni Domenico come onorificenza per l’apprezzamento e la gratitudine per l’aiuto dato ai soldati e marinai degli Stati Uniti per impedire che fossero catturati dai nemici Il Generale Comandante in capo delle Forze Armate degli Stati Uniti nel Teatro delle Operazioni del Mediterraneo Ltd. Gen. Joseph Taggart McNarney.


mercoledì 11 maggio 2011

QUATTRO PIANTE DA CUCINARE

Alla riscoperta di alcune vecchie ricette
di Claudio Mercatali



Il nostro appennino è ricco di erbe spontanee e commestibili. Un tempo chi abitava in campagna le conosceva bene, perché facevano parte della sua dieta e avevano il gran pregio di non costare quasi niente. Qui di seguito sono descritte quattro ricette a base di erbe spontanee, facili da preparare, apprezzate anche oggi da alcuni marradesi (altre quattro ricette sono nell'archivio del blog, nel mese di giugno 2011).

Sopra: Fiori d'acacia, sotto gli stessi fiori fritti.

I FIORI D'ACACIA FRITTI
Una ricetta naturale da riscoprire

Una volta tutti sapevano che cos'erano i fiori d'acacia fritti. Il sapere popolare, ma anche la fame e il poco denaro avevano creato questa ricetta. I fiori d'acacia maturano in primavera e la fioritura dura un paio di settimane. Dunque chi intende assaggiare questo piatto deve fare un giro in campagna, armato di forbici, in maggio, e tagliare le infiorescenze quando ancora sono in pieno sviluppo. Qui da noi l'acacia fiorisce anche a 900 metri di quota, con una settimana di ritardo rispetto al fondovalle e quindi andando sul passo dell'Eremo o sul Carnevale si possono trovare i fiori anche quando vicino al paese non ci sono più. Si prepara una pastella di acqua e farina, si impastano i fiori e si friggono per pochi minuti. C'è chi li preferisce dolci e li cucina mettendo un po' di zucchero nella pastella e poi dello zucchero a velo sopra i fiori fritti. Buon appetito ...

QUALCHE NOTIZIA SULLA PIANTA

Il genere Acacia robinia è di origine americana e comprende circa venti specie che si trovano tutte nell'America del Nord e centrale. In Italia c'è solo la "falsa acacia", cioè la Robinia pseudoacacia. Pare che questa pianta sia stata portata in Europa nel Seicento da Jean Robin, erborista del re Enrico IV di Francia e per questo Linneo le diede il nome di Robinia. In Italia si diffuse nel Settecento con incredibile rapidità, tanto che oggi si trova dappertutto lungo l'appennino. Arbustiva da giovane e poi arborea di medio fusto, spinosa, invasiva al massimo, non si estirpa nemmeno se si taglia alla base. I suoi fiori candidi appaiono alla fine della primavera (qui da noi) ed emanano un odore soave. Sono graditissimi alle api che da essi ricavano il nettare per un miele chiaro che appunto si chiama miele d'acacia.

SIMBOLOGIA
La Massoneria ha scelto il fiore d'acacia come simbolo, perché è una pianta vigorosa, che si rinnova sempre ed è difficile da estirpare. L'acacia bianca è anche simbolo di amore platonico.

ILTARASSACO
Una famosa erba officinale

Il tarassaco è un'erba
facile da riconoscere. Il suo fiore giallo ha un aspetto particolare, come si vede nelle fotografie qui accanto e le sue foglie sono roncinate, ossia hanno una serie di rientranze rivolte all'indietro, come un arpione. Questa piantina fiorisce per tutta l'estate, con un massimo in primavera e nell' appennino si trova un po' dappertutto. Il nome ufficiale è Tarassacum officinalis, ma ha anche nomi d'uso popolari. Qui nella nostra zona è nota come Bocca di leone o Piscialetto. Ci sono tante ricette a base di tarassaco e tanti preparati di erboristeria, perché questa erba ha delle proprietà curative e alimentari notevoli, note da millenni. L'uso più semplice è quello delle foglie in insalata, da sole o assieme ad altre verdure, secondo i gusti, ma tenendo conto che esse per loro natura sono amarognole. L'amaro si sente poco quando la foglia è giovane e diventa via via più intenso con la crescita. Ricordiamoci anche che le foglie specialmente se condite con i fiori tritati sono un po' lassative. Una ricetta più interessante e complicata è quella del risotto al tarassaco: si lava il tarassaco, si trita, si lessa in poca acqua per 5 minuti. Poi si rosola in poco olio con due spicchi di scalogno e una foglia di salvia. In una casseruola si rosola con un po' d'olio della cipolla tritata, e vi si tosta il riso; con un po' di vino bianco si guadagna molto sapore. Si unisce con il tarassaco, si sala e si cuoce. A fuoco spento mantecare con la ricotta, amalgamando. Ingredienti e dosi per 4 persone: 300 g di riso per risotti non brillato, 400 g di foglie di tarassaco, 150 g di ricotta, uno scalogno, mezza cipolla, olio d'oliva extra vergine, vino bianco, brodo.

IL SILENE VULGARIS O STRIDOLO

L'erba che scricchiola

Pianta erbacea perenne, senza peli, con fusti corti e foglie minute. Le foglie sono opposte, lanceolate, di colore verde pallido, come si vede nelle foto qui accanto. Se qualcuno ha dei dubbi può rimuovere un po' di terra attorno alla pianta e apparirà la sommità della sua lunga radice a fittone. Le foglie, stropicciate tra le mani, emettono un crepitìo o stridolìo, e da questo viene il nome popolare. La pianta qui da noi nasce e cresce in primavera. Con le foglie si prepara un condimento della pasta molto apprezzato. Se per voi nell’arte culinaria la semplicità è importante, soffriggete per dieci minuti un battuto di mezza cipolla con uno spicchio d'aglio, poi aggiungete gli stridoli tritati, tanti quanti ne può contenere un piatto da minestra ben colmo. Rosolate per qualche minuto. Se volete complicare la ricetta aggiungete al soffritto un po’ di scalogno e anche del prosciutto cotto. C’è chi aggiunge panna prima di condire.

Sopra: Le tagliatelle condite con gli stridoli sono pronte.

L' ORTICA

Una insospettabile pianta mangereccia


L'ortica, pianta perenne, è dioica, cioè ci sono piante che hanno solo l'organo femminile (pistillo) e piante che hanno solo fiori maschili (stami). Molti pensano che la pianta femminile faccia dei fiori violetti, ma in realtà questo è il Lamium, o falsa ortica, che curiosamente vive in mezzo alle ortiche vere ed ha una foglia simile ad esse.
Le fo
glie e fusti dell'Ortica urens sono ricoperti da tricomi (peli) contenenti una sostanza urticante. Quando si sfiora la pianta, l'apice dei peli si rompe e fuoriesce un liquido irritante formato da acetilcolina, istamina, serotonina e probabilmente acido formico. Per fare una frittata con le ortiche serve un mazzo di foglie, colte alla sommità della pianta, uova, olio, sale, pepe. Lavate bene le ortiche, lessatele in acqua bollente, salata, per qualche minuto. Scolatele, strizzatele e passatele in padella con olio; quando sono rosolate, versateci sopra le uova sbattute, sale, pepe e, se credete, anche della forma. Cuocete per qualche minuto e otterrete una frittata amarognola, che non piace a tutti. 





Sopra: Le foglie migliori sono quelle apicali. Il Lamium, o falsa ortica, ha un elegante fiore violetto.

Qui a fianco: La frittata con l'ortica è pronta.



mercoledì 4 maggio 2011

LE FILANDE

La trattura della seta a Marradi
di Luisa Calderoni


Interno di una filanda dell'800




“Il paese del filugello - un secolo di demografia e storia marradese” è il titolo di un saggio del dottor Mas­simo Montuschi scritto negli anni ’90 e presentato nella Sala Mokambo del Teatro degli Ani­mosi di Marradi negli anni in cui ero Assessore alla Cultura. Il titolo del corposo e interessante lavoro di ricerca voleva indicare che nell’Ottocento, nel nostro paese era molto diffuso l’allevamento del baco da seta tanto da poter associare il filugello al nome di Marradi.
Nei ricordi di mia madre, che viveva nel podere detto “
La Casa” vicino a Sant’Adriano, affio­ravano spesso accenni a tutta l’attività legata all’allevamento del baco da seta che era di perti­nenza di mia nonna Maria e un bel giorno cercai di rimettere insieme questi frammenti per rico­struire tutti gli aspetti di un’ attività andata scomparendo insieme alla civiltà contadina a partire da­gli anni dell’immediato dopo guerra.
Da successive ricerche d’archivio e d
alle testimonianze di anziani marradesi nell’ambito di un la­voro di ricerca realizzato in collaborazione tra la Biblioteca Comunale di Marradi e l’AUSER di Borgo San Lorenzo, è emerso un quadro molto vario e interessante del mondo dell’allevamento del baco da seta e della trattura del pregiato filo. Marradi quindi non solo paese produttore di grandi quantitativi di seta di alta qualità, ma anche territorio caratterizzato dalla presenza di numerose fi­lande per la trattura della seta, cioè opifici in cui dai bozzoli essiccati veniva “ tratta” la seta per poi, sotto forma di matasse, essere inviata alle seterie del nord d’Italia. Attualmente ho notizie di 4 fi­lande operanti nel territorio di Marradi:

  • La Filanda di Cesare Torriani.
Questa filanda era collocata in un opificio a lato del Palazzo Torriani nel pieno centro abitato di Mar­radi che è andato distrutto durante la seconda guerra mondiale. Dai documenti conservati nell’Archivio Comunale risulta che questa filanda non era più attiva quando fu inaugurata la Filanda Gua­dagni nel 1908. Il vecchio opificio della filanda Torriani non esiste più, perché venne distrutto nel 1944 da un bombardamento aereo e, la parte rimanente fu demolita dopo un incendio, negli anni Sessanta. La localizzazione però si vede chiaramente nella carta del Regio Catasto del 1891.

Carta del Regio catasto 1891

  • La filanda di Renzo Bandini
Questa filanda operava in un opificio ancora esistente e ben conservato che si trova in Via Razzi, la cosiddetta “Strada Nuova”. Questa via conserva nel toponimo popolare indicazioni temporali sull’epoca della sua costruzione e quindi ci può aiutare a datare la filanda stessa e cioè questa strada era nuova in quanto successiva alla antica via Fulignana che, partendo dal Ponte Grande, percorreva il paese correndo lungo il Fosso detto Rio Salto. La strada deve essere stata aperta solo dopo la copertura del Rio Salto risalente al 1860 circa quando fu creata la piazza detta “di sotto”, l’odierna via Fabbroni, e furono distrutti i ponti che collegavano le varie parti del paese: il ponte del Magazzino, il Ponte del Suffragio, il Ponte delle Domeni­cane che sorgeva all’imbocco dell’ odierna Via Razzi in prossimità della facciata della chiesa delle Domenicane. Detto ciò non si hanno al momento altre notizie su questa Filanda.

Nella carta
del Catasto Leopoldino (1833) la "stréda nova" non c'è, perché fu costruita qualche anno dopo. Quindi le case attuali lungo questa via, e anche l'edificio della filanda (quello al centro nella foto qui accanto) sono della metà dell'Ottocento.

  • La filanda Guadagni - Nati - Vespignani
Questo opificio era nell’odierna via Fabbri, di fronte alla Stazione ferroviaria, ed è stato distrutto dai bombarda­menti del 1944 mentre restano ancora in piedi e ben conservati il magazzino per l’essiccazione dei bozzoli e la foresteria con l’abitazione della famiglia Guadagni. L'opificio Guadagni-Nati-Vespignani era la filanda per antonomasia, tanto che ha dato il nome alla parte del paese in cui sorgeva. Fu aperta nel 1909 e impiegava 200 donne, con turni di lavoro massacranti.

  • La filanda Ravagli - Piani - Fabbroni
Di questo opificio ci è giunto l'Atto costitutivo della So­cietà, di cui un estratto è qui di seguito, e l'originale è conservato nell’Archivio Storico del Comune di Marradi. Il contratto accenna al luogo detto “ Le Volte” in cui, a fianco dell’abitazione del Socio Don Urbano Ravagli, si trovavano i locali destinati al conferimento ed essiccazione dei bozzoli e successiva trattura della seta. In un atto successivo, rela­tivo all’ ipoteca sugli immobili di Bartolomeo Ravagli, erede legittimo beneficiato del fu Sig. Luigi Ravagli ed erede del fu Paolo Ravagli, suo padre, si hanno indica­zioni più precise sull’abitazione dei Ravagli presso cui sorgeva la Filanda. Infatti tra i beni ipotecati risulta es­serci anche “ una casa con orto, resedio gelsato, e Filanda, posta in Marradi, a cui confinano Via Pubblica, di capo Marradi, Jacopo Mughini, Antonio Casanti, Strada che scende al Rio di Colecchio….”

La filanda era nella strettoia di via Pescetti, in uno dei due edifici più ampi che si vedono qui accanto (Catasto Leopoldino del 1833) probabilmente quello lungo il fosso di Collecchio, attualmente di proprietà Cassigoli.


IL CONTRATTO PER LA FONDAZIONE
DELLA FILANDA RAVAGLI - PIANI - FABBRONI

Oggi Diciotto giugno 18cinquantasette in Marradi

1 Per il presente atto privato fatto in triplice origi­nale da valere e tenere come pubblico apparisca e sia noto, che gli Ill.mi Signori Evaristo del fu Francesco Piani, sacerdote Urbano del fu Lorenzo Ravagli e Carlo Antonio del fu Alessandro Maria Fabbroni, tutti possidenti domiciliati in Marradi, di loro certa scienza e libera volontà, per sé e loro eredi e successori, hanno creata e costituita con forme creano e costituiscono infra di loro una Società di Filatura e Trattura di seta da esercitarsi in questa Terra di Mar­radi con i capitali e condizioni e per il tempo di che in appresso.
2 I Signori Soci in primo luogo convennero e convengono che codesta Società deve cantare sotto la ditta Piani Ravagli Fabbroni, a che fatto tal nome devono impostarsi tutte le scritture, libri, registri e ogni altro recapito riguardante la Società med.ma.
3 La Società s’intenderà cominciata fino dal primo Dicembre del decorso anno 18cinquantasei e durerà per il corso di otto anni da detta epoca, cioè fino al primo dicembre 18sessantaquattro , col patto che non venendo disdetta da alcuno dei Signori Soci al più tardi del giorno Trenta Novembre di detto anno 18sessantaquattro s’intenderà confermata per altri tre anni e così successivamente di triennio in triennio finché non sarà fatta la disdetta che sopra.

Frontespizio del contratto del 18 giugno 1857 con il quale Evaristo Piani (che poi fu il primo sindaco di Marradi) il sacerdote Urbano Ravagli e Carlo Antonio Fabbroni fondarono una società per la filatura della seta.


4 La Filatura della seta si farà nella Fabbrica destinata a tal uso, di proprietà del Socio Signor Don Urbano Ravagli posta in Marradi a contatto della di lui casa in luogo detto le Volte; al quale oggetto il Signor Don Urbano Ravagli sarà tenuto e obbli­gato di concedere alla Società l’uso e comodo di servirsi non solamente della d.a Filanda a dodici caldaie, come si trova attualmente ridotta e costituita e con gli aumenti fat­tivi nell’anno presente, ma ancora di tutti i relativi macchini­smi, attrezzi, e mobili di ogni specie necessari a codesta lavorazione della stessa per seccare i bozzoli, e di numero sedici stanze della sua casa contigua, che hanno servito anche per lo passato pel deposito dei bozzoli, per la piegatura del filo e per ogni altra occorrenza..
5 In correspettività di tal prestazione la Società pa­gherà al sudd.to signor Don Urbano Ravagli scudi romani sessantadue all’anno per titolo di pigione della Filanda e delle sedici stanze; scudi venti simili all’anno per noleggio e lacero dei macchinismi, attrezzi, mobili, e baiocchi cin­quanta per ogni mille libbre di bozzoli seccati come retribu­zione dell’uso della stufa.
6 Quindi le riparazioni e manutenzioni della detta Fi­landa, macchinismi, attrezzi, mobili e stufa saranno carico al Sig.r Don Urbano Ravagli in proprio.
7 La Società sarà in obbligo di filare ogni anno non meno di quattordicimila libbre, né più di libbre ventiquattromila di bozzoli.
8 Il denaro necessario per l’acquisto di tal genere dovrà anticiparsi dal signor Don Urbano Rava­gli per la valuta di libbra mille bozzoli e dai Signori Evaristo Piani e Carlo Antonio Fabbroni, per la valuta rimanente a perfetta metà fra loro.
9 Tutti i signori Soci in diminuzione o a saldo di loro contingente di anticipazione di denaro per la compra dei bozzoli somministreranno alla società tutti quei bozzoli che raccoglieranno nei fondi di loro particolare proprietà, da valutarsi ed apprezzarsi sul ragguaglio dei prezzi ai quali si venderanno in quell’anno i bozzoli raccolti nei loro poderi dai Signori Jacopo e Carlo fratelli Tor­riani di Marradi, del Sig.r Carlo Scalini di detta Terra, e dalla Signora Isabella Baldi Vedova Fabbri di Popolano, e loro eredi.
10 Il contratto da questo punto in poi elenca accuratamente le funzioni dei singoli soci specifi­cando che nel caso la quantità di bozzoli conferita alla filanda risultasse insufficiente, i boz­zoli stessi saranno acquistati a Marradi o in altra Piazza.
11 Il Signor Don Urbano Ravagli si assume l’incarico di dirigere, sopraintendere e sorvegliare la filatura su dichiarata affinché sia esperita in perfetta conformità delle buone regole dell’Arte e col mag­gior profitto della Società…. v Lo stesso Signor Urbano Ravagli si impegna di fissare tutte le operaie ed operai necessari per la predetta lavorazione, di pagare ad essi le rispettive mercedi, di provvedere tutta la legna da ardere e quant’altro possa abbisognare ….
12 Se i bozzoli per la filatura dovranno comprarsi in altra Piazza fuori di Marradi, il Socio Si­gnor Carlo Antonio Fabbroni sarà obbligato d’incaricarsi di codesta compra trasferendosi dove oc­corra per tale oggetto. Per tale incomodo…avrà diritto ad una diaria in ragione di baiocchi sessanta per ogni giorno di assenza da Marradi a titolo di indennità di spesa di vitto ed alloggio non meno che alla refusione delle altre spese vive di viaggio nella qualità in cui si saranno verificate.
13 La stessa diaria e refusione di spesa di viaggio comporteranno ad ogni socio ognora che per le bisogne della Società, come per la vendita del filo ed altre occorrenze, sarà costretto di assentarsi dalla propria dimora di Marradi. v Il Socio Signor Evaristo Piani si obbliga di pagare tutti i bozzoli contribuiti dai Soci, o com­prati nella Terra di Marradi, e di tenere il registro generale di quelli e degli altri che si acquisteranno in diverse località ( …..)
14 Il Socio Signor Evaristo Piani è autorizzato a con­segnare e depositare nelle mani del Sensale Signor Emanuel Bolaffi di Firenze la partita di seta in filo della Società. Ma se in progresso di tempo la Società dovesse per qualsivoglia combinazione valersi dell’opera di altro sensale, la scelta di questo nuovo sensale dovrà farsi coll’intelligenza ed approvazione ancora dei Signori Carlo Antonio Fabbroni e Don Urbano Ravagli. v E’ pure autorizzato il Socio Signor Evaristo Piani ed incaricato di tutte le trattative relative alla ven­dita della detta partita di seta in filo (….) La trattativa della vendita dei cosiddetti cascami viene affidata al So­cio Signor Don Urbano Ravagli.
15 Subito che le predette vendite avranno avuto ef­fetto o saranno stati riscossi i prezzi relativi, si proce­derà alla liquidazione generale della Trattura dell’annata. E gli utili e gli scapiti si divideranno a parti uguali cioè in ragione di un terzo per ciascun Socio. v Il Registro delle liquidazioni, bilanci e saldi della Società si terrà dal Socio Sig.r Evaristo Piani ed i conteggi tanto parziali che annuali si firmeranno dai singoli interessati affinché servano di prova in favore o contro chi occorra".

Il contratto si conclude con una lunga serie di scritture che prendono in considerazione il da farsi in caso di morte o di impedimento di uno o più dei Soci per poter proseguire l’attività nel caso in cui la trattura della seta sia in corso. Il contratto prevede anche che, in caso di cessazione dell’attività, alle donne già fissate per la lavorazione venga corrisposto un indennizzo interamente a carico della società. Seguono le firme dei tre soci. Degno di nota è il fatto che Carlo Antonio Fab­broni si firma con una "b" sola mentre in tutto il contratto il cognome ha la "b" doppia.

Fonti: Documenti dell'Archivio storico del Comune e della Biblioteca di Marradi