Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

giovedì 27 febbraio 2020

La birra di Giovanni Fabroni

Un metodo di fermentazione 
insolito
ricerca di Claudio Mercatali

La birra Spruce (abete)


Giovanni Fabroni era l’ennesimo discendente di questa famiglia trasferita a Marradi nell’Alto Medioevo proveniente da Pistoia e da qui poi diffusa in tutta la provincia di Firenze e altrove. Il Nostro era figlio di Orazio, che si stabilì a Firenze nella metà del Settecento. Giovanni sposò Teresa Ciamagnini, adottata dall’ultimo erede della antichissima famiglia Pelli, da cui il cognome Pelli Fabroni distintivo di questo ramo.




Era un fisico di fama, scienziato molto noto in città e Direttore del Museo della Specola, dove c’è un suo ritratto. Uomo di mille interessi adesso ci interessa per questa Memoria, da lui scritta sull’arte di preparare la Spruce, la birra dai germogli dell’abete bianco. Sarà vero? Leggiamo:





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... Ciò che comunemente ricercasi nelle bevande vinose si è che siano esse gustose, salubri e discretamente durevoli. Il gusto è sempre relativo, soggetto a vicissitudini, dipendenti in gran parte dalla accettazione dei più.







... Posso intanto permettermi qualche innocente e leggero sentimento di compiacenza per aver mostrato di poter ottenere questo genere di bevanda dai nostri abeti …



 

Dunque non vi rimane che provare. Aspettate la primavera, tagliuzzate le nuove messe di un abete bianco senza rovinarlo e fatene un decotto: a 100 parti in peso del decotto vanno aggiunte 25 parti di zucchero e 2 parti di lievito di birra. Il mio tentativo andò a vuoto … ma forse sarete più bravi di me.



sabato 22 febbraio 2020

1809 Un matrimonio all'estero

Una disputa fra il maire di Marradi
e il vescovo di Faenza
di Claudio Mercatali


 
Fino alla fine del Settecento in tutti gli Stati il matrimonio era considerato soprattutto un sacramento e quindi spettava al prete celebrarlo. Nei primi anni dell' Ottocento il Codice Napoleonico introdusse nell' Impero Francese il matrimonio civile celebrato dal Maire, cioè dal Sindaco e anche il divorzio. Fu uno scandalo e il Vaticano protestò. Marradi e S.Martino in Gattara distano solo 5 km, ma nel 1809 erano in due stati, perché la Toscana era stata annessa alla Francia e i Marradesi erano diventati cittadini dell' Impero francese, mentre l'odierna Emilia Romagna, il Veneto e altri territori avevano formato il Regno d'Italia e perciò nel documento qui di seguito i sanmartinesi sono chiamati "italiani".





L'Italia al tempo di Napoleone

Il 16 luglio 1808 il marradese Benericetti (cittadino francese) sposò la signorina Tondini di S.Martino in Gattara (italiana) in Municipio, a Marradi, secondo il nuovo Codice in vigore nell' Impero. Il prete di S.Martino ritenne nullo il matrimonio civile e per lui gli sposi sarebbero stati concubini e peccatori se fossero andati a vivere assieme. I due, un po' spaventati da questa minaccia, tornarono ognuno a casa propria in attesa di chiarire la questione. Il parroco di San Martino insisteva e chiamò in causa il vescovo di Faenza, che gli diede ragione.

Allora Remigio Fabroni, Maire di Marradi,  rispose al vescovo di Faenza


Il Maire di Marradi al Veneratissimo monsignore
Vescovo di Faenza

"Veneratissimo Monsignore, ho rilevato dalla pregiatissima Sua quanto ha allegato il parroco di S.Martino in Gattara in giustificazione del suo operato nell'affare matrimoniale Benericetti e Tondini, che a me però non sembra giusto. In prova di questo mio sentimento io parto dal principio che l'art.170 del Codice di Napoleone per il suddetto regno riconosce come valido il matrimonio contratto in paese estero fra due italiani e tra un italiano e un estero".





Che cosa dice l'art. 170 del Codice Napoleonico? E' qui accanto, chi lo vuole leggere può ingrandire la figura cliccando con il mouse.

Il Maire continua:

"Il codice suddetto dunque autorizza un' italiana a contrarre matrimonio in un paese estero: la Tondini dunque ha validamente e lecitamente contratto il suo matrimonio qui, giacché vi ha fatto precedere tutte le pubblicazioni nel Comune di S.Martino, suo domicilio, e tutte le altre formalità volute dal citato art.170. Noi pertanto qui siamo nel caso di una italiana che contrae matrimonio in un paese estero  e non di un forestiero che voglia contrarlo nel Regno d'Italia (leggi la norma qui accanto).



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Non vedo pertanto per quale ragione un parroco Italiano debba avere difficoltà ad amministrare il sacramento ai due contraenti. Sottopongo questi rilievi all' illuminato suo discernimento, Veneratissimo Monsignore, e aggiungo inoltre che questa qualifica di estero non è forse interamente giusta tra Italiani e Francesi, che tali sono ora i Toscani.

Uno è il Sovrano, uno il Codice Civile da cui appunto si regolano atti simili, in ambedue gli stati; io bramerei per quanto possibile di non dover render conto al mio governo di questo affare e dell' incaglio che ho trovato giacché troppo sarei dolente se questo accelerasse lo smembramento di quella Diocesi e parrocchia, che avendo i Vescovi e i Parroci residenti fuori dall' Impero hanno poi dei sottoposti fra i sudditi dell' Impero medesimo.
Il meglio accomodamento di questo affare sarebbe quello di autorizzare questo sig. Arciprete di Marradi, parroco dello sposo, ad amministrare egli il sacramento ai due sposi, nel qual caso io li assicuro che l'interesse del parroco di S.Martino non resterà per niente pregiudicato. La supplico alfine di accelerare la risoluzione di questo negozio giacché il ritardo disastra moltissimo quel povero contadino, che è lo sposo, e a cui fa bisogno di avere la moglie a casa, per le imminenti faccende della seta e altre.
E nella lusinga di tal grazia con il più distinto ossequio le bacio le sacre vesti nell' atto che ho l'onore di confermarvi.
fatto a Marradi, 30 aprile 1809       Le maire Remigio Fabroni


Fonte: documenti dell'archivio storico di Marradi, filza 659 miscellanea

lunedì 17 febbraio 2020

Il giovedì grasso

La zuba louva, un antico nome dialettale
ricerca di Claudio Mercatali



Pieter Bruegel il Vecchio
(1525c.a. - 1569)
Lotta fra il Carnevale 
e la Quaresima, dettaglio.


Il Mercoledì delle ceneri per la Chiesa cattolica è l'inizio della Quaresima. In questo giorno il celebrante spargeva un po’ di cenere sulla fronte del fedele, ricavata bruciando i rami d'ulivo benedetti nella Domenica delle palme dell'anno prima,  e ricordava che: Memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris  (Genesi, 3,19) ossia «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai».

A tutto questo è collegato il significato di “Martedì grasso” che è il giorno prima delle Ceneri e dunque l’ultimo in cui si poteva mangiare quel che si voleva. Anche la parola Carnevale c’entra perché è la forma sincopata del latino carnem vale, ossia carne addio. 





Invece l’ultimo giovedì prima della Quaresima è il “Giovedì grasso”, giorno in cui a Venezia un acrobata scendeva dal campanile di San Marco lungo una fune, vestito da angelo. Il Giovedì Grasso e il Martedì Grasso si chiamano appunto “grassi” perché in questi giorni si mangiava in abbondanza. In Toscana il Giovedì Grasso si chiama  Berlingaccio, una parola di origine remota, forse addirittura longobarda.

Qui da noi a Marradi si chiama Zuba Louva, un termine che richiede qualche spiegazione: Zuba significa giovedì, ed è femminile e louv nel nostro dialetto è il lupo. Dunque sarebbe come dire il giovedì in cui ci si può allupare, rimpinzare, vivere da leoni.

 


Secondo il Codice di Diritto canonico (can.1249-1253) i cattolici sono tenuti al digiuno ecclesiastico e all'astinenza dalle carni due volte l'anno: il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo. L'obbligo del digiuno va dai 18 anni compiuti ai 60 anni incominciati. 

 La Regola permette un solo pasto e un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate. I parroci possono, per giusta causa, dispensare i singoli fedeli o le famiglie o commutarlo in altre opere pie.

Tuttavia "per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo" (can. 1249 del Codice di Diritto Canonico), specialmente nella Quaresima.


martedì 11 febbraio 2020

Come eravamo

La propaganda del PCI
a Marradi negli anni Cinquanta




Il rullino dal quale sono tratte queste diapositive fa parte di una serie di pellicole conservate alla Biblioteca Comunale di Marradi, preparate dal PCI (Partito Comunista Italiano) per la propaganda elettorale del 1953. Non si sa perché siano a Marradi, probabilmente un anonimo propagandista le dimenticò qui da noi dopo averle proiettate in paese e nelle frazioni. Sono fotogrammi su pellicola di celluloide, in bianco e nero, da proiettare su un muro con una apposita macchinetta. Un proiettore di questo tipo non si trova più, però la tecnologia giapponese ha permesso di trasformare le diapositive in files jpg che poi, raggruppate, hanno dato il risultato che potete vedere.





Si tratta di propaganda schiettamente PCI, antigovernativa, che immancabilmente sconfina nella critica anti DC (la Democrazia Cristiana) che era il partito antagonista, a capo di una coalizione di diversi partiti minori che ha governato in Italia dal 1946 ai primi anni Novanta.



Siccome il PCI e la DC in quegli anni non si facevano mancare nulla, probabilmente anche i propagandisti cattolici giravano il comune di Marradi con dei filmati analoghi, di tenore opposto, però non se li dimenticarono qui da noi e quindi non possiamo vederli.

Il tempo passa e le regole in vigore al tempo di Carletto Bianchi, il simpatico personaggio di queste slides sono decadute da tempo. Dunque sarà meglio rammentarle, per facilitare la comprensione delle sue preoccupazioni:


L’IGE era l’Imposta Generale sulle Entrate, soppressa nel 1973 perché nacque sua sorella, L’IVA, Imposta sul Valore Aggiunto.

Nel 1951 non c’erano emittenti locali e la radio aveva solo tre programmi nazionali: il Programma Nazionale di informazione, il Secondo Programma, di intrattenimento e il Terzo Programma, culturale. 





Nel 1952 il Governo firmò la convenzione esclusiva con la RAI per le trasmissioni radio e poi televisive, che rimase in vigore fino al 1972. Questa convenzione prevedeva che l’IRI (Istituto Ricostruzione Industriale), un Ente dello Stato, avesse tutte le azioni RAI. Ragionando con la nostra odierna mentalità sarebbe a dire che lo Stato concesse a sé stesso l’esclusiva delle trasmissioni radio televisive.


Il 3 gennaio 1954 l'annunciatrice Fulvia Colombo, qui ccanto, diede avvio alle trasmissioni televisive regolari del Programma Nazionale (l'attuale RAI 1). La televisione era nata anche il Italia.
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se le vuoi ingrandire
 



























































NOTA  Questo e altri rullini sono stati trovati da Luisa Calderoni.

martedì 4 febbraio 2020

L'origine dei nostri cognomi

L’onomastica di tutti noi
Ricerca di Claudio Mercatali


L'onomastica è lo studio dei nomi delle persone. Partiamo da lontano: come facevano gli antichi Romani? Loro identificavano le persone con tre nomi (tria nomina):
·         Il praenomen cioè il nome proprio, così come il nostro.

·         Il  nomen  che corrispondeva un po' al nostro cognome, ma comprendeva tutta la gens, ossia il parentado, il clan, ed era tipicamernte gentilizio. Però le gentes romane gentilizie antiche erano poche: Iulia, Cornelia, Cassia, Sempronia, Domitia, Valeria, Fabia, Sidonia, Flavia e qualche altra. Quindi con l'andar del tempo, quando la cittadinanza fu concessa a famiglie di tradizioni celtiche, italiche, di schiavi liberati e altro, che non avevano una gens nobiliare venne in uso il nomen del padrone che aveva liberato lo schiavo, o una parola latinizzata  o un’ invenzione di sana pianta.

·         Il cognomen indicava la famiglia in senso stretto e spesso era un soprannome. Per esempio il famoso oratore a noi noto come Cicerone si chiamava Marco Tullio Cicerone, cioè “Marco della gens Tullia con le cisti (cicer) in faccia”.


Ci è giunto il nome di qualche antico romano vissuto qui da noi, nella zona dove dopo mille anni sorse Marradi? Si, ce ne sono due, scolpiti nelle uniche lapidi tombali ritrovate. La prima è in una casa in via Fabbrini, a Marradi e dice:


C (Caia) C.F. Patri (figlia di Caio) Calesternae (dal bel petto). Però qui ci sono due possibilità: dal greco kalòs = bel e stèrnon = petto) o “di Calesterna”, sito forse prossimo a Biforco, ma esistente anche a Borgo Rivola.




La seconda lapide è affissa nella chiesa di San Martino in Gattara e dice:
C (Caio) Libertus (liberato, cioè era uno schiavo) Vocusius (vox usi, discorsivo, socievole)

Chi vuole saperne di più può consultare gli articoli degli archeologi Gori, Gamurrini e della dr.ssa Francesca Cenerini, che sono in bibliografia. Noi ora andiamo avanti con un salto di mille anni, perché nel Medioevo l’onomastica latina cadde in disuso e sorsero altre regole. Una persona veniva indicata in genere con due parole, un nome (suo proprio) accompagnato dal patronimico (il nome di suo padre). Per esempio se io fossi nato allora sarei stato “Claudio di Adelmo” e basta. Il nome della madre non compariva mai, perché le donne con le regole dell’ onomastica classica non contavano e non contano niente. Siete contente?




Per chiarire ecco i nomi degli abitanti di Trebbana nel 1298, che compaiono in un documento notarile conservato nell’Archivio delle Riformagioni come firmatari di un giuramento di fedeltà a Firenze.

Qui da noi il cognome così come lo intendiamo oggi compare pian piano nel Trecento, attribuito solo alle famiglie più ricche, come i Fabroni, i Torriani, i Ceroni, i Bandini, i Razzi, i Tamburini, gli Agnolozzi e qualche altra. Nei secoli successivi l’uso del nome e del cognome prese piede sempre di più e diventò regola al Concilio di Trento (1545 - 1563), cosicché i parroci furono obbligati a registrare i nati e i morti nei Registri delle Anime in questo modo. La prima anagrafe civile venne molto dopo, nel periodo napoleonico (1799 – 1815), poi con i censimenti granducali (1816 – 1860) e dal 1866 con L'anagrafe dei Comuni.



Ecco qui accanto i nomi dei consiglieri comunali di Marradi in carica nel 1556. Quasi tutti hanno già un cognome…

Dunque i nostri cognomi sono quasi tutti di origine tardo medioevale, divenuti ufficiali nel Cinquecento e sono classificabili in questo modo:

Derivati dal nome di un capostipite
Angioli, Baldassari, Baldi, Baldini, Baldocci, Baldoni, Balducci, Bernabei, Biagi, Ciani, Filipponi, Maurizi, Pierantoni, Renzi, Valentini, Vanni.

Derivati da una caratteristica fisica o da un atteggiamento:
Baggiani, Baracani, Bassetti, Bellini, Benedetti, Benericetti, Billi, Biondi, Cappelli, Chiari, Chiarini, Gentilini.


Derivati da una provenienza:

Alpi, Badiali, Frassineti, Mercatali, Montanari, Montaguti, Montevecchi, Quadalti, Ronchini, Fiorentini, Lombardi, Romagnoli, Milani, Rimini.


Attribuiti a trovatelli:

 Casadei, Casadio, Innocenti, Donati, Donatini.

Attribuiti a persone soggette a bando o ex carcerati spediti a Marradi:
Bandini, Galeotti, Malevolti.

Dovuti al mestiere:
Fabbri, Fabbrini, Fabbroni, Ferrini, Maretti, Sartoni, Tagliaferri.


Oggi noi, volenti o nolenti, siamo tutti registrati nei computer delle compagnie telefoniche, delle banche, delle assicurazioni, delle società di servizi (Enel, Hera, Eni, Rai, ACI …)  e quindi per gli studiosi di onomastica è facile ricavare quante notizie vogliono sui cognomi e la loro distribuzione. 
Cercate il vostro che non è elencato qui ? Digitate su internet www. Cognomix e navigate.



Chi vuole approfondire può cercare nel tematico del blog
  •  Nella rubrica Archeologia:   22.04.2014 La stele di Calesterna     31.01.2016   La famiglia di Vocusia.
  • Nelle rubriche di Trekking  e di Storia del ‘500:  08.03.2018  Un trekking lungo il sentiero dei Fiorentini    07.01.2012 I consigli comunali di Marradi.