Dino Campana
ricerca di Claudio Mercatali
Emilio Cecchi, critico
letterario, conosceva Dino Campana e lo aiutò in diverse occasioni. Lui e sua
moglie Leonetta Pieraccini furono due punti di riferimento del nostro poeta nei
momenti di maggiore sbandamento. Lo sappiamo perché ci sono diverse lettere di
Dino a Emilio Cecchi e a sua moglie, e altrettante risposte. Cecchi era un sincero ammiratore
di Campana e non mancò mai di parlarne nei suoi libri. Questo che segue è un
suo giudizio tratto dal saggio di critica letteraria Di giorno in giorno:
"... Se uno torna col
pensiero agli anni della formazione, in Italia, d'un nuovo senso della poesia,
è colpito al vederli, così brevi anni, ingombri di tanti morti; e tutti morti
giovani, o assai giovani: Corazzini, Michelstaedter, Gozzano, Tozzi, Onofri,
Bastianelli, Boine, Serra, Slataper. Dino Campana non fu tra i più giovani,
relativamente alla morte materiale; ma gli anni da lui passati, fra il 1918 e
il decesso nel 1932, in un ospedale psichiatrico, furono anni di morte. Quanto
sorprendente e quasi mitologica era stata l'apparizione, fra le scomparse più
tragiche fu quella di Dino Campana".
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Emilio Cecchi nota che un folto gruppo di
poeti coetanei di Campana morirono giovani, in condizioni drammatiche, come per
maledizione ...
Serra e Slataper in guerra, Boine per tisi,
Gozzano e Corazzini per tubercolosi, Tozzi per l'epidemia della Spagnola, Bastianelli
e Michelstaedter suicidi.
" ... Ho conosciuto alcuni
poeti, nostrani e forestieri. Non pretenderò che fossero poeti immensi; ma
erano di certo fra i massimi che l'epoca poteva mettere a mia disposizione.
Accanto a loro provavo ammirazione, riverenza. Accanto a Campana, che non aveva
affatto l'aria di un poeta, e tanto meno d'un letterato, ma di un barrocciaio:
accanto a Campana si sentiva la poesia come se fosse una scossa elettrica, un
alto esplosivo.
Non so di che specie egli fosse;
se superiore o inferiore alla comune nostra; certo è che era d'altra specie. Un
fauno insaccato in quei miseri panni di fustagno, o un altro essere così, tra
divino e ferino, non avrebbe fatto diversa impressione. Genio poetico egli ebbe
forse più d'ogni altro della nostra generazione, se avesse potuto maturarlo e
svilupparlo a fondo. Italiano dello stipite di Giotto, di Masaccio e d'Andrea
del Castagno.
L'atto del poetare proveniva in lui da un incanto di realtà schiettissimo. C'era un contrassegno direi fatale e carnale, suggello autentico della sua genialità. Quelle che egli chiamò "le supreme commozioni della sua vita", gli conducevano il ritmo in andature corali, popolari. E segnatamente nel paesaggio, egli si esaltò in una bellezza italiana, specificamente toscana, di autorità antica e veneranda. La sua sensibilità spasmodica, di errante e perseguitato, non gli preludeva l'ispirazione ed in parte il cammino verso una forma classica della vita e dell'arte; verso l'idea di una felicità, come egli diceva: "mediterranea"; l'idea che sembrava respirata nelle città tirrene del nostro Trecento.
... Campana non aveva affatto l'aria di un
poeta, e tanto meno d'un letterato, ma di un
barrocciaio ...
Nessuno ha più saputo, come
Campana, nel rapido e largo stacco dei suoi versi e delle liriche in prosa,
riuscire modernissimo e, al tempo stesso, naturale, popolaresco. Egli passò
come una cometa; ed anche oltre le strette ragioni formali, in una sfera più
vasta e calorosa, la sua influenza sui giovani fu incalcolabile, e s'è
tutt'altro che spenta. Egli dette un esempio di eroica fedeltà alla poesia: un
esempio di poesia testimoniata davvero col sangue. Da lui e dal coetaneo
Ungaretti, s'inaugura un tono intimo e grave nella nostra ultima lirica".