Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 27 settembre 2019

Di giorno in giorno

Emilio Cecchi ricorda
Dino Campana
ricerca di Claudio Mercatali


Emilio Cecchi, critico letterario, conosceva Dino Campana e lo aiutò in diverse occasioni. Lui e sua moglie Leonetta Pieraccini furono due punti di riferimento del nostro poeta nei momenti di maggiore sbandamento. Lo sappiamo perché ci sono diverse lettere di Dino a Emilio Cecchi e a sua moglie, e altrettante risposte. Cecchi era un sincero ammiratore di Campana e non mancò mai di parlarne nei suoi libri. Questo che segue è un suo giudizio tratto dal saggio di critica letteraria Di giorno in giorno:

"... Se uno torna col pensiero agli anni della formazione, in Italia, d'un nuovo senso della poesia, è colpito al vederli, così brevi anni, ingombri di tanti morti; e tutti morti giovani, o assai giovani: Corazzini, Michelstaedter, Gozzano, Tozzi, Onofri, Bastianelli, Boine, Serra, Slataper. Dino Campana non fu tra i più giovani, relativamente alla morte materiale; ma gli anni da lui passati, fra il 1918 e il decesso nel 1932, in un ospedale psichiatrico, furono anni di morte. Quanto sorprendente e quasi mitologica era stata l'apparizione, fra le scomparse più tragiche fu quella di Dino Campana".



Emilio Cecchi nota che un folto gruppo di poeti coetanei di Campana morirono giovani, in condizioni drammatiche, come per maledizione ...
Serra e Slataper in guerra, Boine per tisi, Gozzano e Corazzini per tubercolosi, Tozzi per l'epidemia della Spagnola, Bastianelli e Michelstaedter suicidi.
" ... Ho conosciuto alcuni poeti, nostrani e forestieri. Non pretenderò che fossero poeti immensi; ma erano di certo fra i massimi che l'epoca poteva mettere a mia disposizione. Accanto a loro provavo ammirazione, riverenza. Accanto a Campana, che non aveva affatto l'aria di un poeta, e tanto meno d'un letterato, ma di un barrocciaio: accanto a Campana si sentiva la poesia come se fosse una scossa elettrica, un alto esplosivo.

Non so di che specie egli fosse; se superiore o inferiore alla comune nostra; certo è che era d'altra specie. Un fauno insaccato in quei miseri panni di fustagno, o un altro essere così, tra divino e ferino, non avrebbe fatto diversa impressione. Genio poetico egli ebbe forse più d'ogni altro della nostra generazione, se avesse potuto maturarlo e svilupparlo a fondo. Italiano dello stipite di Giotto, di Masaccio e d'Andrea del Castagno.

L'atto del poetare proveniva in lui da un incanto di realtà schiettissimo. C'era un contrassegno direi fatale e carnale, suggello autentico della sua genialità. Quelle che egli chiamò "le supreme commozioni della sua vita", gli conducevano il ritmo in andature corali, popolari. E segnatamente nel paesaggio, egli si esaltò in una bellezza italiana, specificamente toscana, di autorità antica e veneranda. La sua sensibilità spasmodica, di errante e perseguitato, non gli preludeva l'ispirazione ed in parte il cammino verso una forma classica della vita e dell'arte; verso l'idea di una felicità, come egli diceva: "mediterranea"; l'idea che sembrava respirata nelle città tirrene del nostro Trecento.



 

... Campana non aveva affatto l'aria di un poeta, e tanto meno d'un letterato, ma di un barrocciaio ...

Nessuno ha più saputo, come Campana, nel rapido e largo stacco dei suoi versi e delle liriche in prosa, riuscire modernissimo e, al tempo stesso, naturale, popolaresco. Egli passò come una cometa; ed anche oltre le strette ragioni formali, in una sfera più vasta e calorosa, la sua influenza sui giovani fu incalcolabile, e s'è tutt'altro che spenta. Egli dette un esempio di eroica fedeltà alla poesia: un esempio di poesia testimoniata davvero col sangue. Da lui e dal coetaneo Ungaretti, s'inaugura un tono intimo e grave nella nostra ultima lirica".



venerdì 20 settembre 2019

1690 La frana di Boesimo

La più grande
nella valle del Lamone
in epoca storica.
Ricerca di Claudio Mercatali
 

 
La media valle del Lamone ha una fragilità geologica dovuta ai forti spessori di terra che coprono lo zoccolo roccioso del versante destro. Per questo nel corso dei secoli nella zona di S.Cassiano ci sono state due frane di milioni di metri cubi di terra e pietrame ogni volta. Una avvenne nel 1939, fra S.Cassiano e S.Eufemia e l’altra nel 1690, a Boesimo, con effetti fino al comune di Marradi, a Marignano.

 
 
Ecco come lo storico Antonio Metelli descrive la frana di Boesimo:

“… Stava per finire l’ inverno del 1690 orrido per la copia delle acque cadute dal cielo e per le nevi, che al sopraggiunger de’ nuovi tepori di primavera si liquefacevano. Per questo la superficie del suolo divenne fradicia, e i più reconditi seni della terra immollati ne furono. Alla destra del Lamone si stende il monte Budrialto. Aspro e biforcuto su un fianco forma una pendice detta di monte Caruso e volge le sue acque al Lamone mediante il torrente Boesimo, che vi mette foce a dieci miglia da Brisighella e sei da Marradi.
  
 
Correvano i primi giorni di aprile, e coloro che su quei gioghi e su quella pendice abitavano, attendevano alle campestri faccende, quando si udì d’un tratto muggire Budrialto e con così alto fragore che gli animi ne rimasero incerti e attòniti. Allo strano e inopinato caso fu da ognuno creduto che di nuovo la terra tremasse (= che fosse un terremoto) ma avendo taluno veduti scorrere i dossi del monte e viste larghe e profonde fessure nel terreno, di ciò che era prestamente si accorse, talché molti ripararono in fretta nei luoghi vicini con gli armenti e le cose loro.
 
 
Budrialto appariva avvolto da una rada nebbia e c’era chi affermava di avervi visto notte tempo dei fuochi. Gli occulti fremiti e i cupi fragori non erano ancora cessati e anzi dopo otto giorni essi erano venuti crescendo, finché all’alba dell’ undicesimo giorno, non reggendosi più il Caruso, diveltosi da Budrialto con orrendo fracasso si scoscese e si rovesciò nel torrente Boesimo e corso oltre il fiume Amone e trovato a riscontro il monte delle Volpare (= in fondo al versante di Monte Romano) la terra ammonticchiatasi e ripegatasi sopra se stessa si arrestò.
 
 
All’enorme peso tremò la valle e fu udito il rimbombo fino a Faenza. Poi venuto il giorno grande stupore mostrò la gente. Il letto del Boesimo e del torrentello della Pliserìa era chiuso, ed era chiuso anche il Lamone e qua e là si vedevano sparse grandi querce che poco prima erano in cima al monte. Di là avallando lo sguardo si vedeva l’immensa ruina, di macigni orrida e mista, cenerognola di colore e putendo di zolfo giaceva secondo la forma che il caso o il proprio peso le aveva dato.
 
Di quattro case travolte e sprofondate non rimase traccia e in una di questa, chiamata Torricella morirono dieci persone e altri sei poderi rimasero sconquassati e sconvolti. Il fianco del Budrialto, dal quale si era staccato il Caruso appariva nudo e deforme per uno spazio di due miglia. Grosso era allora l’Amone per le nevi, e anche il Boesimo, sicché vennero a formarsi due grandi laghi e quello dell’Amone si distese per due miglia e mezzo di modo che le acque cresciute in altezza per quattro cubiti sommersero altri quattro poderi. Il letto del Boesimo si alzò fino a lambire la chiesa.

A Ravenna s’ebbe avviso di questa catastrofe perché le acque del Lamone sparirono con grande sorpresa di tutti e lasciarono l’alveo asciutto mettendo sospetto che fosse successo qualcosa di grave sugli appennini. Per la qual cosa il Legato Pontifico mandò a Brisighella un incaricato, che si mise d’accordo con un ingegnere mandato dal Granduca di Toscana, visto che quei luoghi erano di confine, e deliberò di aprire un sollecito varco all’Amone. Però i laghi vi durarono lungamente e poi, colmatisi e rosi di nuovo dalle acque, il fiume venne a ripristinarsi.

Le robuste braccia degli agricoltori, quell’ inselvatichito suolo dissodando lo vennero addomesticando di modo che sorsero prati pingui e colti là dove c’era una squallida e deserta ruina”.
 
 

sabato 14 settembre 2019

25 marzo 1892 Un grave fatto di sangue a Marradi

Degenera una rissa fra paesani
e operai della ferrovia
ricerca di Claudio Mercatali


Negli anni dal 1885 al 1892 i lavori per la costruzione della ferrovia faentina fecero arrivare a Marradi un gran numero di operai. Il paese era in pieno fervore per la presenza di tutta questa gente e naturalmente non mancavano i problemi, perché queste presenze sconvolsero le tranquille abitudini e provocarono molte tensioni.


Si toccò il culmine nel 1892, quando i lavori del tratto Marradi - Crespino erano ormai al termine. Lungo i dieci chilometri che separano questi due paesi erano alloggiati duemila o tremila operai, nelle baracche dei cantieri e soprattutto presso le case coloniche.



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Ogni tanto gli operai scendevano in paese e nel gran via vai non è difficile immaginare le tensioni e le liti che scoppiavano. I duri turni di lavoro e la certezza che i lavori ormai erano alla fine e si avvicinava il momento del licenziamento contribuivano a innervosire le persone.


Alla fine avvenne il fatto grave. In un primo momento le autorità chiesero alla stampa di riportare la notizia senza darle rilievo, per evitare altre tensioni. Però la voce si era diffusa in tutto il Mugello e, come capita in questi casi, la mancanza di notizie certe aveva contribuito ad ingigantire il fatto, che già di per sé era gravissimo. 

 
Allora le autorità, constatato che l'intento aveva sortito l'effetto contrario, invitarono i periodici locali a fornire il racconto dettagliato di quanto era successo.  Il Messagero del Mugello inviò un corrispondente a Marradi, che scrisse l'articolo qui sopra. Leggiamolo. 
 






I Carabinieri arrestarono Giuseppe Pazzi e Giuseppe Bandini, due biforchesi che si ritenevano implicati nel fatto, ma apparve subito evidente che le persone coinvolte erano molte di più e in pratica era successo un mezzo tumulto. Uno dei tre uccisi era Ernesto Chiarini di Biforco, che fu sepolto a Cardeto con qualche apprensione delle autorità, come si legge nell' articolo della Nazione che è qui sopra. Gli animi dopo il funerale non si placarono e la notizia dei fatti di Marradi ebbe un'eco anche nella stampa nazionale.
 






Il deputato del nostro collegio, l'on. Brunicardi fece addirittura un' interrogazione al Ministro dell' Interno, per sapere quali misure si intendevano prendere per garantire l'ordine pubblico a Marradi. Ecco qui sopra come riporta la notizia un giornale piemontese. Poi piano piano si tornò alla normalità. Nell'aprile 1893 la ferrovia fu ultimata e inaugurata. Tutti gli operai se ne andarono e si perse la memoria di questo fatto.

domenica 8 settembre 2019

Successe a Marradi nel 1891


Rassegna stampa
dal Messaggero del Mugello
ricerca di Claudio Mercatali



Nel 1891 a Marradi c'erano delle forti tensioni e successe un po' di tutto. Nel giornale Il Messaggero del Mugello compaiono tanti articoli di cronaca più o meno nera relativi a fatti successi qui in paese. Eccone una selezione:

 
 

22 gennaio L’anno comincia male, con questa disgrazia avvenuta il al Becco, al confine con S.Benedetto in Alpe.

 


1 marzo A Camurano una lite per una piccola questione di interesse degenera e si dà mano ai coltelli.

 
 
 

 
12 marzo A Poggiol di Termini un operaio della Ditta Lori, che costruisce la ferrovia, alloggiato da uno del posto,  ruba un mantello e “prende il volo per ignoti lidi”.
 

 

14 aprile Un operaio della stessa ditta viene derubato di 35 centesimi da uno sconosciuto, a Lozzole (era una cifra irrisoria).
18 aprile Baruffa agli Archiroli fra giovinastri con uso del coltello era quasi la norma.
 

2 maggio Nei cantieri della Faentina gli incidenti sono frequenti. L’incidente descritto qui accanto non è irreparabile, e l’operaio che lo provoca viene arrestato per lesioni.

 




7 maggio rissa e bastonate a Marradi.

12 maggio un arresto a Marradi per porto di coltello a serramanico di tipo vietato

 

24 maggio nell’osteria di Assunta Pratesi un marradese ruba un coltello e minaccia un passante. E’ una giornata storta: altri due del paese si azzuffano e spunta di nuovo il coltello.
 

29 giugno Rissa e coltello per una questione di gelosia, a Marradi. Montuschi Ercole cerca di pacificare i litiganti ma …

 

 
25 luglio Pietro Cavina viene ucciso a colpi di scure in piazza a Marradi, per una questione di donne. I colpevoli invece di scappare vanno all’ ospedale a farsi medicare alcune lievi ferite, come se niente fosse. Così i Carabinieri li arrestano, e succede che …

 
 

15 agosto Una donna viene travolta da un carro (le automobili non c’erano) e muore.

 

 
 
29 agosto Un altro scoppio accidentale di mina nella galleria di Fantino. Due feriti. Gli operai se la prendono con il tecnico che ha dato il via alla carica esplosiva, comincia una rissa e spunta l’immancabile coltello.

 

13 settembre Pasquale Spada, un forestiero, viene sorpreso dal contadino mentre coglie un grappolo della sua uva, e succede che …

 

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28 novembre Una discussione per motivi di interesse degenera e finisce a frustate.

lunedì 2 settembre 2019

I posti con il nome degli uccelli nel Comune di Marradi


Tanti siti e altrettanti
detti dialettali
ricerca di Claudio Mercatali


Quando le campagne erano abitate, le persone avevano una sensibilità diversa dalla nostra e conoscevano bene gli animali selvatici e le loro abitudini.
Per questo qui da noi diversi posti hanno preso il nome dagli uccelli che li hanno eletti a loro gradito domicilio, cioè come loro habitat. E per questo nel nostro dialetto ci sono diversi modi di dire derivati dalle abitudini degli uccelli, e anche dall’idea che noi ci siamo fatti di loro, vera o falsa che sia.
 

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Il cuculo è noto per l'abitudine di deporre le sue uova nei nidi altrui in modo che siano altri a covarle.
Il Cardello è il nome
della villa di Alfredo Oriani, 
a Casola Valsenio.

  




La cornacchia qui da noi è considerata un uccello brutto, con il verso sgradevole (… kraak …).
In realtà però è un animale molto intelligente, predatore opportunista, attratto dagli oggetti che luccicano, come la gazza, parente sua.



I falconidi sono i padroni dei nostri cieli, temuti da tutti i volatili, che ammutoliscono e si nascondono non appena li vedono comparire in cielo.





Nei nostri monti c'è una ricca varietà di rapaci notturni.







Il nibbio è il "re" dei falconidi, per l'efficacia nella predazione e il volo elegante.
 




Il colombo, o piccione, è l'uccello che ha dato il nome a molti siti.









Il merlo e il passero sono dei tipici uccelli granivori, ma ora svolazzano fra le case perché è più facile trovare da mangiare e non ci sono i cacciatori.













L'usignolo è della famiglia dei passeri ed è ben noto per il suo canto. Nel nostro dialetto non c'è un detto che
parli di lui.