Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

martedì 31 maggio 2022

I castellari rasi al suolo e persi per sempre

Cinque trekking nei siti
dove sorgevano
ricerca di Claudio Mercatali

Il castello di famiglia di Maghinardo era nel poggio sopra al podere Le Ari (Badia di Susinana, Palazzuolo)


Quando un edificio è simbolo di potere può essere raso al suolo se sopraggiunge un nuovo padrone che vuole cancellare la memoria del vecchio. Per esempio Maghinardo Pagani spianò il castello di Baccagnano, che era del faentino Francesco Manfredi in modo così accurato che oggi nemmeno gli archeologi riescono a trovarne le tracce. Il vescovo Giovanni Andrea Calegari (1527 – 1613) nella sua Cronaca di Brisighella e Val d'Amone dice che:


I campi di Baccagnano (sullo sfondo) visti dalla Signora del Tempo (la Torre dell'Orologio di Brisighella).

"Questo Maghinardo l'anno 1290 andò a campo a un castello di Francesco Manfredi da Faenza, chiamato Baccagnano, posto in Val di Amone, di là dal fiume a man manca, per andare da Faenza a Firenze, di riscontro appunto dove è hoggi Brassichella, e l'assediò per molti giorni continui, combattendo giorno et notte; et perché l'assedio fosse più stretto ed aspro, fondò un altro castello dirimpetto a Baccagnano, di qua dal fiume Amone, a man dritta per andare in Toscana, che è hoggi la torre vecchia di Brisighella, e la fondò sopra un sasso di gesso alto e spiccato a torno a torno, come uno scoglio; e lo fabbricò di quadroni del medesimo gesso, tagliati a scarpello, e vi mise suoi soldati e guardie con una grossa campana per dare i segni che bisognavano; et con tal modo strinse sì Baccagnano, che lo prese et distrusse; e dalla distruzione di questo crebbe poi Brassichella, che avanti era piccola contrada, e non haveva né torre, né rocca, come hoggi; perché Maghinardo edificò la torre vecchia".


I discendenti di Maghinardo subirono la stessa sorte nel 1378 quando i Fiorentini rasero al suolo il castello di famiglia alla Badia di Susinana, assieme ad altri tredici sparsi nel comune di Palazzuolo. Come erano i "castelli" dei Signori medioevali sgominati dalle milizie della Città? Il nome può ingannare noi moderni, se immaginiamo il castello come un maniero con merli, ponte levatoio, cinta e quant' altro. Abbandoniamo questa immagine perché i castellari delle alte valli del Lamone e del Senio erano in realtà solo delle torri di difesa, efficaci contro i rivali, i banditi e i servi della gleba in rivolta ma insufficienti per resistere alle milizie mercenarie di Firenze. Dai documenti degli storici antichi e dai pochissimi resti che a volte spuntano dal suolo sembra di capire che nel complesso la loro struttura rispettava una tipologia ripetuta in modo simile in vari posti:



L'unica torre misurava in media 8 x 7m alla base, con un muro di 80 - 120cm di spessore e quindi poteva essere alta una quindicina di metri (tre piani più un seminterrato di imposta). Era su un cocuzzolo con almeno due balze a strapiombo ai lati e una salita ripidissima, senza mulattiera d'accesso né sorgenti per ampio tratto. 
La mancanza d'acqua metteva in difficoltà l'assediante più dell' assediato, che fino ad un certo punto provvedeva raccogliendo l'acqua piovana dal tetto. Nella pendice sottostante alla rocchetta c'era spesso una casa poderale per il consueto domicilio, meno difendibile ma più comoda. Questa organizzazione si coglie bene a Sant' Adriano dove Casa Cappello era abbinata alla rocchetta di Benclaro e anche alla Rocca di San Michele a Palazzuolo, abbinata al podere Caramelli o Calamelli. Sembra così anche ai castellari: 1) del Frassino più la rocchetta sopra Santa Lucia, 2) di Lozzole più Casté, 3) di Gamberaldi più il castello delle Lastre e così via.

In questa ricerca il nostro scopo è individuare il sito preciso dove sorgevano i castellari rasi al suolo senza la speranza di trovare i loro resti, ormai persi per sempre. Ci serve qualche buona fonte antica scritta che li citi e un paziente sopralluogo. Nemmeno il Catasto Leopoldino del 1822 è di grande aiuto, perché i più non sono cartografati o lo sono con un semplice quadrettino, come se si volesse farli passare inosservati.

Il castello 
sul Monte del Tesoro

Il Monte del Tesoro è un cocuzzolo a punta di fronte a Badia della Valle. Siamo nella valle Acerreta, nell' estremo lembo del Comune di Marradi verso Tredozio in un sito nel territorio dei Conti Guidi di Modigliana. Che cosa c'era di prezioso qui? Non si sa, il nome del monte non ha spiegazione. In cima le tracce di un piano indicano la presenza di una torretta, forse ultimo rifugio di un signorotto locale che di regola abitava in qualche podere del fondovalle. 
Se le cose stavano così questo è l'ennesimo esempio della tipologia "residenza guarnita più rocca soprastante", di cui abbiamo detto all'inizio. Se saliamo da Lutirano lungo il crinale iniziamo un krekking di crinale bello e duro, lungo il sentiero CAI 587. Si parte dal ponte per Tredozio fino al podere Il Violino, che come è stato detto in un'altra ricerca era sede di un castellare oggi raso al suolo. 
La nostra prima tappa è il crinale soprastante raggiungibile dall'orlo dei campi del podere Coltriciano imboccando un sentiero che sale ripido. Comincia qui la prima delle tante sudatine che si fanno in questo aspro percorso. La visuale dal crinale ripaga la fatica: Pruneta, Badia della valle, Bovignana, Vossemole, Rio Faggeto, scorrono nel fondovalle e infine si giunge alla quota 703m che è la sommità del Monte del Tesoro. In cima la mano dell' Uomo ha lavorato diverse volte: quattro piccole buche ricordano una postazione della Linea Gotica e il piano sembra ricavato in qualche secolo antico.


Castro Pellegrino

Ora siamo in un sito più agevole, nella valle del Lamone di fronte a Sant' Adriano, a metà strada fra San Martino in Gattara e Popolano. Il podere che ci interessa si chiama Bastìa e il nome è già un primo indizio. La casa è abitata anche oggi ma non ha più niente di medioevale. Una torretta per l'estrema resistenza forse si può individuare nella casa del podere Canovina, in cima al monte. La sua difesa nulla potè contro il solito Maghinardo Pagani, che nel 1291 conquistò Bastìa, la Canovina e quant'altro e poi demolì tutto. Non sappiamo i motivi di questa decisione drastica anche perché Maghinardo non dava molte spiegazioni, però forse semplicemente queste costruzioni non gli servivano e le spianò perché non fossero utile per gente ostile. Per arrivare qui conviene salire dal casello ferroviario di San Martino, poi si può percorrere il crinale fino al Castello di San Martino e scendere in paese.

Castelvecchio o Montevecchio?

Ecco due siti quasi dimenticati. Castel vecchio è circa 1 km oltre la chiesa di Boesimo, in un cocuzzolo con una certa visuale. 









Forse è il posto citato in un documento del Duecento conservato all'Archivio di Stato di Firenze, copia notarile di un originale del 28 settembre 1164, che elenca i beni concessi da Federico Barbarossa al conte Guido Guerra III di Modigliana detto Guidone, alleato fidato e ghibellino di provata fede.





Però c'è un dubbio perché il nome nella pergamena è Monteveclu, (Montevetus) che somiglia di più a Montevecchio, una casa torre alla Croce Daniele di Monte Romano. La sorte di Castelvecchio (o Montevecchio) è legata a quella di Benclaro di S.Adriano, perché tutti e tre i siti toccarono in eredità a Francesca, figlia di Maghinardo Pagani, che ad un certo punto si indebitò e perse tutto quello che il suo potente padre le aveva lasciato.

Il Castello 
di Cierigiuolo

Ora siamo a Palazzuolo sul Senio, a Piedimonte, un sito bello e remoto nella valletta dell' Aghezzola affluente del Senio. Il castellotto era uno dei quattordici presi nel 1373 dai Fiorentini impegnati nella conquista di Palazzuolo contro gli Ubaldini ormai in decadenza. Nello scritto di un anomimo dell'epoca, La Cronichetta d'Incerto, si dice che ... ebbe un castello chiamato Cierigiuolo ... dove ebbe si riferisce al capitano di ventura Obizo da Monte Carulli che sgombera una famiglia di Ubaldini arroccata lì. La parola Cierigiuolo viene dal romagnolo zrìsa, ciliegia, o da Aceragiuolum, acerello, come a Coriano (Rimini), dove c'è un sito antico con lo stesso nome. I Fiorentini rasero al suolo Ciliegino (o Acerello), perché fosse chiaro che il loro potere si sostituiva per sempre a quello dei feudatari. Lavorarono bene, tanto che le rovine del castellotto si trovano a fatica però è giunto a noi solo il ricordo chiaro e documentato della sua esistenza.


Era uno dei siti di Gaspare Ubaldini, capitano di una piccola compagnia di ventura, iniziatore della rivolta del 1373. Costui aveva già avuto uno scontro con Obizzo in occasione di una guerra a Fano (Pesaro). Forse proprio per questo i Fiorentini mandarono Obizzo a Palazzuolo e forse per questo lui cominciò la conquista dalle proprietà di Gaspare. La rocchetta fu spianata e la famiglia rimase a Cigliegiolo come proprietaria del sito ma senza alcuna signoria sul luogo. Almeno così era la Regola dei Fiorentini, che venivano per governare e avevano il senso dello Stato e della misura.





Ci sono diversi modi per arrivare qui ma per fare un trekking ad anello conviene partire dalla chiesa di Piedimonte, salire al podere Vignola e passare oltre, fino al crinale. Poi c'è un sentiero di crinale dove si vede la valletta dell'Aghezzola e la valletta di Campanara.


Dopo un paio di chilometri lungo il crinale, lungo un sentiero ben segnato dal CAI si vede un cocuzzolo rotondo con la casa di Cigliegiolo proprio sotto. E' il sito che cerchiamo.
Proprio in cima ci sono pochi resti ma significativi: si vedono diverse bozze di pietre squadrate sparse in un pianetto sul quale ci sono i resti della cisterna del castelletto.



Il castello 
di Fontana Moneta


Forse il nome viene dal romagnolo munìda, munita, difesa, perché pare che qui non si potesse attingere senza pagare una tassa ai signorotti del castellare soprastante, oppure significa tappata, otturata. Una Bolla del 1143 di papa Celestino II cita una cappella di S.Andrea apostolo in Fontana Moneta e nel 1291 la Ratio Decimarum la registra come chiesa. Nel poggio Castello, vicino al podere Torre c'era un fortilizio che nel Duecento fu acquistato dai Pagani di Susinana e nel 1302 Maghinardo Pagani lo lasciò in eredità al nipote Bandino, priore di Popolano. Alla sua morte i beni tornarono alla diocesi di Faenza che nel 1339 li concesse in enfiteusi a Riccardo Manfredi.


L'enfiteusi era un affitto che di regola durava 29 anni e in questo caso non fu rinnovato perché la Diocesi preferì radere al suolo il castellare. Fu una distruzione completa, tanto che la Descriptio Romandiole del cardinale Anglic del 1371 non ne parla.


L'alta valle del Sintria è un Parco Regionale dell'Emilia Romagna e si presta bene ai trekking. Per compiere un tragitto ad anello si potrebbe partire da Gamberaldi, salire a Orticaia e scendere in fondo alla valletta del Sintria per poi risalire nel versante opposto e riscendere a Fontana Moneta. Da qui comincia un sentiero che sale a Val Cadinera e poi al Crinale delle Salde, dal quale si può tornare all'Orticaia con poca fatica.




Il Castello sorgeva in cima a un cocuzzolo che si incontra quando la strada forestale dal Monte Toncone comincia a scendere verso la chiesa. Si arriva in cima con poche battute ma non si trova niente. Una lapide dice che i resti sono attorno ma in realtà sono stati rimossi circa una ventina di anni orsono, forse per vendere le bozze d'arenaria squadrate. La lapide venne posta per ricordare il ritrovamento inaspettato di una croce, ma non c'è più nemmeno quella.   



Sotto al poggio del Castello, in corrispondenza della casa poderale La Torre ci sono i resti di quella che era la dimora fortificata abbinata al castello ma anche qui ci sono segni evidenti di demolizione con escavatore e il perimetro della costruzione è perso del tutto. Si vede solo nella cartografia.




Dopo queste brutte sorprese non rimane che scendere alla chiesa, dove una chiara indicazione mostra la via per arrivare alla fontana che dà il nome al sito.






Per ampliare sul blog
11.02 2022   Dal Viglio alla Collina
06.10.2021   Il castello di San Martino in Gattara
21.01.2020   Da Rugginara a Modigliana per una via antica
21.06.2016   Di notte a Fontana Moneta


Bibliografia
Rocche e castelli di Romagna vol.1 Bologna 1970 Nuova alfa, Biblioteca@comune.modigliana.fc.it con prenotazione dalla gentile bibliotecaria Erika Nannini.

Agostino Tolosano (XII sec.) Chronicon faventinum
Matteo Villani (XIV sec.) Nuova Cronica
Scipione Ammirato (XVI sec.) Dell'istorie fiorentine, libro XIX, 144
B. Azzurrini (XVI sec.) Ad Scriptores rerum Italicarum historiae Faventinae
Giulio Cesare Tonduzzi (XVII sec.) Historie di Faenza pg 385
Gian Benedetto Mittarelli (XVIII sec.) Annales Camaldulenses, anno 1297
Ludovico Antonio Muratori (XVIII sec.) in Scriptores rerum Italicarum, CI
Emanuele Repetti (XX sec.) Dizionario libro III, 89



martedì 24 maggio 2022

La diaspora degli Ubaldini

La sorte 
dopo la sconfitta del 1373
ricerca di Claudio Mercatali





Dopo un centinaio di anni di guerriglia finalmente i Fiorentini riuscirono a sgominare gli Ubaldini del Mugello e di Palazzuolo. Questo clan di autocrati forse di origine longobarda aveva formato una grande famiglia comitale su ambedue i versanti dell' appennino, composta da centinaia di membri imparentati o legati da interessi comuni molto forti. Firenze li contrastò sempre perché aveva bisogno di controllare il Mugello e i passi dell' Appennino e per questo voleva la sovranità sui siti. Ora lasciamo stare i vari episodi di questo secolare conflitto, descritti più volte qui sul blog e partiamo dal 1372 - 1373, anni della loro definitiva sconfitta.



In quel tempo il Comune di Firenze intraprese una vera e propria campagna militare nel Podere degli Ubaldini (oggi Palazzuolo sul Senio) e il capitano di ventura Obizzo da Montecarulli conquistò uno a uno i quattordici castellari sull'appennino e li demolì. Il Comune di Firenze il 12 dicembre 1372 pose una taglia di mille fiorini sui principali esponenti del clan: Gaspare Ubaldini, Atto, Pietro e Taddeo figli di Vanni da Susinana, Giovanni e Baldinaccio figli di Azzone, Maghinardo e Antonio di Ugolino di Tano, Andrea di Ghisello, Gottifredo detto il Conte figlio di Azzone, Piero figlio del predetto Maghinardo. Venne catturato solo Maghinardo di Tano, dopo un assedio al castello del Frassino, a metà strada fra Palazzuolo e Marradi, che fu decapitato a Firenze ed esposto al Bargello per diversi giorni. 
Gli altri dopo una serie di duri scontri furono sconfitti e fecero perdere le tracce. Non erano fuggiti e nel 1387 scatenarono una furibonda rivolta alla Badia di Susinana, repressa a fatica dal vicario fiorentino Domenico di Guido del Pecora, che per punizione portò la campana della Badia a Figline Valdarno, dove tuttora si trova nel museo civico.




Il Comune di Firenze sarebbe stato disposto a lasciare la proprietà dei vari poderi alle tante famiglie di Ubaldini ma voleva per sé la sovranità dei siti, tanto che il nome antico Podere degli Ubaldini divenne per decreto Podere Fiorentino. Tutto questo non era nella cultura del clan, che confondeva il concetto di proprietà con quello di sovranità e il contrasto divenne insanabile. 






Dopo un'altra rivolta nel 1402 il Capitano di Palazzuolo emise un bando di espulsione per tutti gli Ubaldini vietando per sempre la loro residenza nel Comune. Fu quasi una pulizia etnica, forzata ma senza vittime e così il clan piano piano scomparve dalle cronache di Palazzuolo.


Era cominciata la diaspora. Dove andarono tutti costoro? Le sorti furono diverse: chi accettò la sottomissione venne lasciato nella sua dimora, purché non fosse a Palazzuolo. Poteva mantenere anche lo stemma di famiglia sulla facciata di casa, con il teschio del cervo, come successe agli Ubaldini di Galliano (nel Mugello) e di Marradi. Molte famiglie vendettero le proprietà al Comune di Firenze e in cambio ottennero denaro e la cittadinanza fiorentina, con il diritto di aggiungere uno scudo crociato allo stemma. Invece i tanti irriducibili e quelli sottoposti a bando dovettero andare via e non tornarono più. Erano diventati banditi nel primo significato del termine, che non è sinonimo di delinquente, anche se la storiografia fiorentina li descrive spesso come dei ladroni.


GLI UBALDINI DI MARRADI


Il paese era stato coinvolto poco nelle vicende degli Ubaldini, perché la valle del Lamone era soprattutto sotto il controllo dei conti Guidi di Modigliana e dei Manfredi, però alcune famiglie c'erano anche qui e altre se ne aggiunsero con la diaspora da Palazzuolo e da Firenzuola.


Il più aggressivo fu senza dubbio Bartolomeo Ubaldini detto Il Tronca o Gamba tronca perché zoppo a seguito di una rissa. Marradi era il posto giusto per lui perché è a soli 5 Km dal confine con Palazzuolo e certi contatti li poteva ancora mantenere. Ai primi del '400 fu autore di un complotto ordito ai danni di Firenze in accordo con il condottiero Jacopo Dal Verme, che aveva conquistato Bologna e aveva mire ampie. Ci voleva ben altro contro Firenze e infatti i due non combinarono niente. 


I discendenti del Tronca continuarono a risiedere a Marradi, come risulta da alcuni antichi contratti di compra vendita, però furono dei tranquilli cittadini.




La famiglia di Domenico Ubaldini detto Pulìgo nei primi anni del Quattrocento si trasferì a Firenze e lui, nato nel 1492, divenne un abile pittore.











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Le cronache del 1428 parlano anche di Bernardino Ubaldini della Carda che non era marradese ma fu il capitano al servizio di Averardo de' Medici che conquistò il Castellone di Marradi. Ottenne la resa del maniero anche perché promise la liberazione di Ludovico Manfredi, signore del paese. 






I Fiorentini non mantennero le promesse e questo fu uno dei motivi del suo passaggio al servizio della Repubblica di Siena. Di certo Bernardino conosceva le vicende dei suoi parenti qui da noi perché diversi Ubaldini di Palazzuolo sottoposti a bando dopo la sconfitta del 1373 si erano rifugiati proprio al castello di Belvedere della Carda, al confine fra Marche e Umbria, dando vita a una progenie, come sarà più chiaro fra un po' continuando a leggere.





Nel 1564 Lorenzo di Ottaviano di Michele Ubaldini fu Capitano di Marradi con nomina del Comune di Firenze e i poteri descritti qui accanto. Forse i suoi antenati si saranno rivoltati nella tomba nel sentire che uno di loro aveva accettato un tale incarico per conto dell'odiato nemico, ma tant'è.



GLI UBALDINI 
DI APECCHIO

Però gli irriducibili furono tanti. Giovanni d'Azzo, l'ultimo degli Ubaldini della Pila (nel Mugello) si rifugiò presso gli Ubaldini della Carda, conti di Apecchio, e al suo seguito o dietro al suo esempio gli irriducibili della famiglia, quelli che proprio non ne volevano sapere della sottomissione a Firenze, fecero altrettanto.

Fino al XII secolo Apecchio era stato un dominio del vescovo di Città di Castello, ma nel XIII secolo dopo una lunga lotta aveva prevalso la famiglia Ubaldini della Carda, proveniente dal vicino castello di Carda, imparentati con gli Ubaldini di Montaccianico, signori del Mugello. Città di Castello non aveva certo la forza di Firenze e qui i tenaci Ubaldini ebbero la meglio e conquistarono la sovranità del sito.


Gli Ubaldini posero Apecchio sotto protezione del Ducato di Urbino al tempo di Guido da Montefeltro, che era figlio naturale di Bernardino della Carda. Nel 1514 Apecchio divenne una contea indipendente e tale rimase fino al 1752, quando morì senza eredi Federico II (1745-52). La Santa Sede profittò del fatto e prese il controllo diretto della contea occupandola senza indugio, prima che spuntasse qualche pretendente. All'Unità d'Italia Apecchio divenne un comune della provincia di Pesaro Urbino.


Dunque il nocciolo della consorteria degli Ubaldini del Mugello e di Palazzuolo ai primi del Quattrocento trovò rifugio presso i più fortunati parenti marchigiani. Con la secolare cultura di famiglia i nuovi arrivati contribuirono a governare per 350 anni un paese che anche oggi ha più o meno le dimensioni di Palazzuolo. Questo è un buon segno, perché i dittatori non durano così a lungo.

Nel 1778 lo storico fiorentino Marchionne di Coppo Stefani come se si dovesse scusare per le tante note denigratorie ricevute dalla famiglia nei secoli precedenti, scrisse ai nobili Giuseppe Maria e Pietro Ubaldini questo elogio:












Per ampliare sul blog

Archivio tematico alle voci "I castelli della valle" e "Comune di Palazzuolo".



mercoledì 18 maggio 2022

Clà voia d'andé a Maré

Un giro in bicicletta 
e un acquazzone

Articolo di Bruno Fabbri




La strada del Passo della Colla, come del resto le strade sorelle del Muraglione, del Giogo e della Futa sono le quattro possibilità di entrata nel Mugello dalla Romagna. Queste vie sono amatissime dai motociclisti e dai ciclisti delle due regioni che in ogni stagione si accaniscono lungo i tornanti fino ai valichi .
Questo qui sotto è un articolo in dialetto faentino scritto da un ciclista che con un gruppo di amici parte con destinazione Marradi. Però a mezza strada succede che ...





















Clicca sull'immagine per avere una comoda lettura

La Ludla, la favilla, è il periodico dell' Associazione Friedrich Schurr, per valorizzre il patrimonio culturale romagnolo. Questo professore austriaco nel primo Novecento studiò a fondo il nostro dialetto, venne in Romagna e andò in molti paesi, di certo a Palazzuolo e forse anche a Marradi. A lui si devono tante regole per la scrittura del dialetto, che essendo una lingua solo orale non aveva nessuna regola codificata per lo scritto. 
Lui stesso raccontò che durante la Prima Guerra Mondiale aveva ottenuto il permesso di girare nei campi di concentramento austriaci per intervistare i prigionieri romagnoli, e registrava con uno dei primi magnetofoni la loro voce per avere la pronuncia esatta di ogni parola.


Per approfondire
Apri la cartella Il Dialetto nel tematico del blog. 

giovedì 12 maggio 2022

L'arcobaleno

La bellezza dell’effimero
Fotografie di Claudio Mercatali


Secondo il mito gli gnomi nascondono una pentola d’oro alla base dell’arcobaleno e dunque arrivando al momento giusto si diventa ricchi. La scienza è meno fantasiosa e spiega che questo è un fenomeno ottico dovuto alla dispersione della luce solare in un cielo ancora fradicio a causa di una recente pioggia.



In pratica la luce solare entra nella goccia, la percorre, viene riflessa all’indietro ed esce. In questo percorso le varie lunghezze d’onda che la compongono si separano (si dice che vengono rifratte) e quando escono formano una banda di colori. In ogni arcobaleno il colore blu – violetto è interno e il rosso è all’esterno. Però se c’è un arco doppio nel secondo i colori sono invertiti.



Un arcobaleno sopra San Martino
 visto da Popolano








Da Sant'Adriano verso Marignano


Sotto: l'imbocco della strada per Modigliana






Non ci sono regole precise per fotografare un arcobaleno ma è meglio se il sole è basso così i raggi percorrono un tratto più lungo nell’aria umida.

 


Il vento favorisce il fenomeno perché nebulizza le gocce d’acqua. Le valli del Lamone e dell’Acerreta e anche le altre accanto offrono tanti scorci di visuale e sono adatte per fotografare gli arcobaleni.



Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire





Sopra: Zana, 2 Km verso Modigliana


Il valico del Monte Beccugiano è una delle entrate nella valle Acerreta. Da qui si vede un bel panorama verso la valle del Lamone.









Sessana è la prima fattoria che si incontra scendendo il cosiddetto Torretto.






Questo arcobaleno doppio parte dal podere Il Poggiolo, sopra ad Abeto. Andrò a vedere se gli gnomi hanno lasciato qualcosa.






Gerbaròla (acerbina) che si vede là in fondo è una delle più belle fattorie di Lutirano.







Badia della Valle è un ex convento millenario. L’arcobaleno si vede appena sulla destra, proprio sopra al Passo della Collina, dal quale si va a Tredozio.


27.11.2021
L'arcobaleno visto dalla zona della stazione ferroviaria di Marradi.





Il podere Funtana Quéra è alla Badia del Borgo. A volerlo proprio tradurre il nome sarebbe Fontana chiara (o Fonte bona com'è nel Catasto Leopoldino) però il cartografo dell'IGM a fine Ottocento non conosceva il romagnolo e lo trascrisse come Fontana Tevere, che non significa niente.


Al Passo dell'Eremo c'è una visuale ampia verso ovest.



La chiesa di Cardeto










Monte Colombo, Marradi











Abeto









La valle Acerreta vista da Lutirano verso il Molino di Veriolo


La valle Acerreta al confine con Modigliana. Al centro in basso la chiesa di Santa Reparata, in alto nell'
arcobaleno, il podere Casalino.



Marradi: il campanile della chiesa di San Lorenzo e il Ponte Grande sul Lamone.


Biforco visto dai campi dietro al Monastero dell'Annunziata.


Marradi, via Dino Campana.


Trebbo di Val della mèda. A sinistra, lontanissimo, si vede Ronchi di Berna (La Sambuca) dove piega l'arcobaleno, a circa 20 km in linea d'aria.




Galliana dal Passo del Beccugiano
(Il Torretto)