Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

domenica 31 gennaio 2016

La famiglia di Vocusia


Una lapide Romana 
a S.Martino in Gattara
Da una ricerca della dr.ssa Francesca Cenerini



Chi era Vocusia Pacata?
E' semplice: lei e Caio Primo Vocusio, erano i genitori di Vocusio Mansueto. Tutti e tre abitavano nella zona che ora si chiama S.Martino in Gattara e vissero ai tempi dell' Impero Romano, una ventina di secoli orsono. Sappiamo di loro da una lapide, che Mansueto fece scolpire per la tomba dei suoi.





La lapide oggi è fissa al muro nella chiesa di quel paesino e il ricordo della gente dice che fu trovata all' inizio del Novecento, spezzata, nei pressi della chiesa. Meno male perché dai due pezzi separati non si leggono i nomi.

La chiesa di S.Martino




La storia ce la racconta per bene l'archeologa Francesca Cenerini, dell' Università di Bologna, che a suo tempo studiò la vicenda ...

Chi erano i Vocusi?
Per l’occhio dell’ archeologa la lapide è chiara:
C(caius) L(libertus) Vocusius e sua moglie erano schiavi liberti, cioè liberati. Per il diritto romano il loro figlio Mansueto, liberto anch’esso, era un libero cittadino.






Secondo la regola generale delle epigrafi, l’ultimo che compare nelle lapidi (Mansueto) è quello che la commissiona e la dedica.
Dunque il figlio fece scolpire la lapide a memoria dei genitori Caio Primo e Vocusia.
La fattura della lapide, la grafica e le modalità dell’ incisione fanno ritenere che sia di Età Augustèa, cioè del periodo in cui visse Cristo.



Clicca sulle immagini
per avere una comoda lettura








Dai ritrovamenti di altri reperti nell’ appennino romagnolo sappiamo che in questo periodo nelle valli della nostra zona furono assegnate tante terre, con l'estensione massima di circa 200 iugeri per famiglia (4 iugeri fanno un ettaro, ossia un quadrato di cento metri di lato).
Era una riforma di Augusto, che voleva inserire nella società romana gli schiavi meritevoli, affrancandoli e assegnando loro delle terre, secondo il motto Vir bonus colendi peritus (l’uomo buono è esperto di cose da coltivare).







Mettendo insieme tutte queste notizie si può supporre che i Vocusi, plebei liberti, ebbero assegnato un podere di 40 - 50 ettari a S.Martino in Gattara.
E' possibile che la forma estesa del loro "cognome" fosse vox usi, ossia socievoli, discorsivi.
Il figlio era soprannominato mansueto, sua madre pacata, e quindi pare che i loro compaesani li considerassero persone calme, con le quali si può discutere e ragionare.
Probabilmente se la passavano bene, altrimenti il figlio non avrebbe avuto i soldi per far scolpire una pietra tombale per i suoi.






 


Fonte: Da un articolo della archeologa
Francesca Cenerini, impaginato da Claudio Mercatali.



martedì 26 gennaio 2016

1916 - 1917 L'attività dell'Ospedale di Marradi

Gli anni della Prima Guerra Mondiale
ricerca di Claudio Mercatali


Marradi, Foro Boario (1917)
(da Tarabusi)



Negli anni 1815 - 1918 il paese di Marradi fu profondamente coinvolto nella Prima Guerra Mondiale. Più di mille marradesi furono chiamati alle armi in diverse riprese e più di trecento non fecero ritorno. Il territorio del Comune divenne sede di addestramento per le truppe da mandare al fronte e arrivavano e partivano continuamente delle lunghe colonne di soldati.



Il punto di raduno principale era al Foro Boario, cioè accanto all' Ospedale S.Francesco, dove nel 1926 venne costruito il Monumento ai Caduti.

Alla fine del 1916 l'afflusso dei militari raggiunse il massimo e rimase alto per tutto il 1917. Ne parla anche Dino Campana in alcune lettere scritte a Emilio Cecchi, un letterato di Firenze con il quale era in corrispondenza.
Il poeta era amareggiato perché non era stato arruolato e scrisse così:

" ...  Ci sono soldati qua, e sento suonare la tromba e sento che io non partirò mai. Inchiodato all' infamia io povero infelice che scrissi un anno fa, tutto è perduto fuorché l'onore ... Nulla mi resta ...".


Sopra: Una colonna di soldati marcia a Marradi 
di fronte alla casa di Dino Campana (1917)


L'Ospedale era in piena attività, e oltre agli usuali ricoveri dei marradesi provvedeva anche all' assistenza dei soldati. Nell' archivio storico ci sono diversi registri con le schede di ricovero e le diagnosi. Di che cosa avevano bisogno tutti questi soldati?
Di essere curati per le ferite no, perché dovevano ancora andare al fronte. Le cartelle parlano di malaria, artrite, difterite, sifilide, tutte malattie che avevano già prima di essere richiamati e sono tipiche della gente che ha fatto lavori pesanti o ha vissuto in povertà in zone malsane.


Un elenco di soldati ricoverati nell'ospedale di Marradi (1916)

  


Come si vede dal Mandato di Entrata qui accanto, una parte di loro veniva dagli ospedali di Firenze, che pagavano una retta all' Ospedale di Marradi perché provvedesse. 

Provvedesse a che?
Il ricovero medio era di una o due settimane, un tempo insufficiente per curare le malattie dette prima e quindi in pratica questa gente veniva rimessa in piedi in qualche modo e spedita al fronte.

Insomma questa è l'ennesima dimostrazione che in prima linea venivano spediti più facilmente i poveracci e i cittadini di serie B. 








La Prima guerra mondiale fu una tragedia che non si era mai vista nella storia. 
Alla fine del 1916 il presidente americano Wilson tentò un mediazione 
per mettere fine al massacro. Ne parlarono tutti i giornali ma il tentativo fallì.


 


Che farmaci comprò l' ospedale in quegli anni? 
Dai ricettari sappiamo che nel giugno 1917, oltre alle solite medicine, furono acquistate 24 fiale di stricnina e adrenalina, 24 fiale di taurina e 3,80g di solfato di eroina da ognuna delle due farmacie di Marradi. 

Dai documenti d' archivio risulta che gli acquisti avvenivano da tempo e continuarono anche negli anni successivi, però nel 1917 e 1918 le quantità furono maggiori.


L'eroina era in libera vendita dal 1899, perché non si era ancora capito che provocava dipendenza. 
E' probabile che questi farmaci fossero somministrati anche ai soldati più depressi e passivi, per sollecitali, esaltarli e stimolare la prontezza a eseguire gli ordini senza pensare troppo.
Non era certo un' iniziativa dei medici dell' ospedale, che non avevano l'autorità e la motivazione per farlo e forse la richiesta veniva dalle autorità militari alle quali bisognava obbedire, dati i tempi.






La stricnina  (da Sapere)
Il solfato e il nitrato di stricnina sono solidi cristallini bianchi solubili in acqua, amari e tossici. Con dosi alte i riflessi sono esaltati, e al più piccolo stimolo l'individuo risponde con contrazioni muscolari intense.

L'adrenalina  (da Wikipedia)
E' il cosiddetto "ormone dello stress" che fa stare vigili e annulla il sonno. L'adrenalina è coinvolta nella reazione "combatti o fuggi" (fight or flight) cioè predispone all'azione di fronte a un pericolo. Provoca la dilatazione dei bronchi, l'aumento della frequenza cardiaca e del flusso sanguigno verso i muscoli, il fegato, il cervello e aumento della  glicemia.

La Taurina (da Wikipedia) è una sostanza sintetizzata nella seconda metà dell'Ottocento da due chimici tedeschi che la ricavarono dalla bile dei tori. E' un ingrediente della bibita Red Bull e di altre bevande energetiche. Da alcuni studi risulta che è efficace nell'aumentare la resistenza muscolare e lo stato di veglia.

L'Efedrina (da mypersonaltrainer.it)
"Produce una sensazione piacevole di benessere ed energia, che pervade tutto il corpo..." dicevano i primi utilizzatori. Si ricavava dall' Ephedra sinica, una varietà di edera. Il suo effetto è simile a quello della caffeina e inoltre inibisce l'appetito.
L'eroina  (dal Dizionario enciclopedico UTET)
Fu sintetizzata nel 1897 da Felix Hoffmann, un chimico della Bayer. Era usata per la tubercolosi e nelle patologie respiratorie. L'impiego terapeutico si estese ai disturbi neurologici, ginecologici o a semplici dolori. Per quanto ne sappiamo oggi, non c'è dubbio che facesse effetto per ognuno di questi mali, però ...

I ricettari della farmacia Baldesi di Marradi sono molto chiari sulle modalità di somministrazione dell' eroina per uso medico. Non era certo usata in polvere: i ricettari dicono che quasi ogni settimana questa farmacia vendeva all' ospedale 120 centigrammi (1,20g) di eroina in acqua distillata allo 0,08 - 0,10% cioè molto diluita con l'aggiunta di un po' di alchermes per renderla gradevole. Un po' quanto?

Il farmacista Ubaldo Baldesi era pignolo nelle sue cose e questo ora ci fa comodo: nelle sue preparazioni consiglia di somministrare la soluzione a cucchiaini. Evidentemente si era accorto di alcuni degli effetti di questa "medicina".

 

A fianco: dal ricettario
della farmacia Baldesi

... eroina centigrammi dieci
acqua distillata gr 120
alchermes gr 30
(a cucchiaini)


Oggi sappiamo che l'eroina è una droga anche in queste quantità minime. Dopo un'ora l'effetto è massimo: si ha una sensazione di pace, i dolori si attenuano e si prova un senso di piacere, misto ad esaltazione interiore. Ogni problema tende ad essere dimenticato.

Perché meravigliarsi che gli eccitanti venissero probabilmente somministrati anche ai soldati?

I Romani somministravano sostanze stimolanti ai gladiatori. I vikinghi facevano uso di un estratto dell' Amanita muscaria, un fungo velenoso e allucinogeno. In Cina si usavano estratti di edera (Efedrina) e in Sud America gli Indios masticavano foglie di coca.
Del resto durante la guerra una battuta in voga fra i soldati diceva che "i migliori alleati dell' Esercito Italiano sono la grappa e il vino".


 Confezione di eroina Bayer,
per uso ospedaliero.
Primi anni del Novecento.


Fonte: Archivio storico dell'Ospedale S.Francesco






giovedì 21 gennaio 2016

1964 L'AVIS a Marradi

Apre la sezione comunale



Nel 1937 a Milano il dr. Vittorio Formentano fondò l’ AVIS (Associazione Volontari Italiani Sangue). Lo sviluppo in grande si ebbe però nel dopoguerra (1950) quando l'associazione venne riconosciuta Ente Giuridico.
Nel 1954 a Firenze fu inaugurato dall’Avis il primo centro Trasfusionale della Toscana. In Toscana negli anni Settanta c'erano cento sedi. La sezione di Marradi, aperta fra le prime (1964) serviva soprattutto per il fabbisogno dell' Ospedale S.Francesco.
Il presidente fu per tanti anni Pietro Scalini, che nelle assemblee annuali ricordava spesso che all' inizio, in caso di bisogno venivano chiamati direttamente i donatori, specialmente il martedì e il venerdì, giorni di attività della camera operatoria.



Prima che chiudesse la sezione di Marradi (2014) i documenti erano incorniciati al muro nella stanza dove si facevano le donazioni e così molti hanno avuto tempo e modo di leggerli mentre facevano il loro dovere. Eccoli ...

Atto costitutivo della sezione comunale AVIS di Marradi, Provincia di Firenze



L'anno 1964 a questo dì cinque del mese di gennaio in Marradi nella sala consiliare del Comune (g.c.) alle ore 11 avanti a noi Bruno Bartoletti Consigliere Nazionale dell' AVIS e Presidente Provinciale AVIS Firenze e Gino Ciuffi, Donatello Focardi e Bruno Profeti Consiglieri Provinciali AVIS Firenze si sono presentati i signori compresi nell' elenco in calce e firmatari del presente atto costitutivo chiedendo di costituire la sezione AVIS di Marradi.
I comparenti, che hanno già effettuato una o più donazioni di sangue anonime e disinteressate conforme allo spirito e allo statuto ed al regolamento dell'AVIS e hanno già collaborato allo svolgimento delle finalità dell'AVIS e della cui identità personale e delle cui intenzioni siamo certi, convengono e unanimemente decidono di far parte quali soci Donatori e soci Collaboratori o soci Sostenitori dell'AVIS riconosciuta Ente Giuridico con legge n° 49 del 20.2.1950 e si impegnano a rispettare lo statuto e il regolamento associativo.
Inoltre gli stessi convenuti decidono di istituire, così come costituiscono, dopo aver sentito il parere favorevole del Consiglio Provinciale dell'Associazione la sezione comunale AVIS di Marradi ...

Bellini Angelo, Benericetti Domenico, Biagi Giuseppe, Bellini Marcello, Botti Paolo, Bertaccini  ...., Caglia Benito, Cappuccini Lina, Catani Assunta, Cavina Anita, Consolini Aldo, Gentilini Angela, Innocenti Giuseppe, Naldoni .... Nati Giampietro, Nati Matilde, Parrini Alfeo, Ronconi Linda, Ronconi Silvana, Rossi Antonio, Scarpa Angela, Scheda Raffaele, Sartoni Otello, Sartoni Rino, Talenti Giovanni, Visani Giovanna, Rossi Vincenza, Rossi Angelo, Rossi Gina Paola, Palli Lidia.




Il passo successivo avvenne nel 1971 quando la sezione AVIS ottenne dall' Ospedale S.Francesco in Marradi il permesso per la raccolta del sangue umano donato dai volontari.

Ecco qui accanto il documento ...




La sezione AVIS aveva difficoltà a gestire da sola il Centro Prelievo, dal punto di vista organizzativo e per le responsabilità civili in caso di inconvenienti sanitari.





Perciò nel 1977 firmò con l' Ospedale un nuovo accordo per la gestione congiunta dell' iniziativa.
Però nei primi anni Ottanta l' Ospedale venne chiuso e l'AVIS di Marradi si trovò sola di nuovo.








Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire


L'attività è durata fino al 2014 basata quasi solo sul volontariato.
Negli ultimi tempi il servizio era cattivo: per una donazione servivano due ore circa, fra esecuzione e attesa.
L'ASL intervenne per ovviare all' inconveniente e ... la chiuse ...


FONTE: Documenti della sezione AVIS di Marradi










I soci AVIS in gita sociale nei primi anni '70. Il presidente Pietro Scalini, accosciato, è quello che abbraccia l'amica che gli sta accanto.



sabato 16 gennaio 2016

Marradi nel 1620


Secondo la descrizione

del Cancelliere Manetto Berti

di Luisa Calderoni


Lo stemma dei Fabroni

Il 12 gennaio 1620 il capitano Alessandro Fabroni, il dottor Luca e suo fratello Leonardo, assieme a Filippo Fabroni percorsero in lungo e in largo Marradi assieme al Cancelliere Manetto Berti, venuto apposta per un sopralluogo.
Il Cancelliere descrisse i palazzi dei Fabroni, cioè praticamente mezzo paese, e compilò una ettagliata relazione. Come facciamo a saperlo? 
Lo sappiamo perché è stata trovata una vecchia copia della relazione. Non si sa perché i Fabroni chiesero al Cancelliere questa specie di estimo dei loro fabbricati, ma non importa, però ci interessa la descrizione del Cancelliere, che ci permette di fare un salto nel tempo. Ora rifaremo lo stesso percorso che questi signori fecero nel gennaio del 1620. In che modo?


 
E’ semplice, seguiremo passo passo il racconto di Manetto, che è un pignolo e si sofferma su tanti dettagli:

…Trasferitomi in compagnia dei predetti (Fabroni) alla chiesa dell’Annnunziata, fuori Marradi circa un terzo di miglio, vicino alla strada maestra per Firenze, in un pratello avanti a essa fu visto esservi due strade lastricate a sdrucciolo per potervi venire da ogni banda, ed entrati in chiesa mi fu mostro l’altare di pietre conce nelle quali si veddero due Arme ( = stemmi) … una a sinistra dell’ altare con tre spade che finiscono in un punto e sopra tre martelli e una a destra, quella della religione dei Servi, simile a quella della Santissima Annunziarta di Firenze … e poi mi fu mostra la pila dell’acqua benedetta nella quale si vede intagliata l’Arme dei Fabroni …

Dunque L’Annunziata aveva due strade d’accesso. C’erano ancora nel 1822 e si vedono nella  carta del Catasto Leopoldino. Dopo la visita il nostro Confaloniere attraversa il Lamone:



… et avendo finita la visita della chiesa fui condotto poco lontano da essa a visitare una casa grande detta Il Casone e così passato il ponte e fiume del Lamone mi fu mostro dai detti Fabroni il ponte che dissero essere già tutto di sasso ed oggi si vede che vi son le basi di qua e di là con maglie grosse e per di sopra vi è il ponte di legno … arrivato mi fu fatto vedere un casamento antico con portici dinanzi in volta e nei portici l’arma Fabroni e di poi fu vista la scala per salir sopra, si vedde essere scala nobile con antico e nei portici l’arma Fabroni con begli appoggiamani di pietra et a terreno buone stanze e tra le altre la stalla capace di quaranta cavalli almeno e per di fuora si vedde esservi principio nobile con sopra la colombaia grande, alta anzi quasi di torre …

I PALAZZI DEI FABRONI
Ø    Il palazzo Fabroni davanti al Comune 1475, 
Palazzo Cannone, accanto al Suffragio 1499
Ø      Villa degli Archiroli, ora villa Ceroni 1550, 
Villa  Annunziata, con annessa chiesa 1493
NOTA Si trova scritto Fabroni o Fabbroni a seconda dei documenti


Quindi sotto l’Annunziata c’era un ponticello. Il Casone oggi è un edificio piccolo, e la colombaia non c’è. Evidentemente qui è successo qualcosa, forse un incendio, un crollo, 
nel ‘600 o nel ‘700 .... Si va verso Marradi:

… e tornato per il medesimo ponte me ne andai alla volta di Marradi … dove arrivato mi fu mostro a man ritta una casa posseduta di presente da Matteino di Bartolomeo Fabroni. La quale appare fatta con disegno nobile, antica bene e non finita, con una porta di bozzi rilevati bene a mezza botte, finestre a terreno simili, e di sopra al primo piano quattro finestre che posano in un cordone di bozzi e finestre simili a quelle della porta et all’ultimo cinque finestre grandi, la prima et l’ultima son consumate …




Dove siamo? L’unica casa di due piani a “man ritta con disegno nobile ” all’inizio del paese è l’attuale palazzo Ceroni Bernabei, che però è più grande di quello descritto da Manetto. Proseguiamo:


… trasferitomi seguitando la visita nella piazza di Marradi mi fu mostro che non vi erano altre case se non quelle dei Fabroni eccetto due degli Ubaldini usciti di Firenze … e si cominciò la visita da una casa in testa di detta piazza, che dall’aspetto si vedde essere antica e fu detto esser già di Matteo di Sandro Fabroni, la quale per di fuora ha una porta nel mezzo con bozzi antichi assai rilevati e al primo piano di sopra sette finestre alte tonde e all’ultimo altrettante simili e nelle cantonate due scudi di pietra con l’Arme dei Fabroni …




Qui è chiaro, si parla di Palazzo Cannone. Gli “scudi di pietra nelle cantonate” ci sono ancora, tutti consumati. Andiamo avanti:

… e trasferitomi nella scuola della città di Marradi mi fu mostro nella stanza dove stanno gli scolari dove son le panche e la cattedra … un’arme piccola entro solo tre martelli (= un piccolo stemma con tre martelli) …

Questa descrizione della “scuola” di Marradi in piazza è interessante. E’evidente che una casa a fianco di Palazzo Cannone aveva questa funzione.

 … e seguitando per la medesima piazza dirimpetto al palazzo del Capitano di Marradi fu vista un’Arma antichissima alla casa di … ? Fabroni con lettere che dicono Ant.o di Pierone Fabroni 1474 che è antichissima e la seconda parola non si intende.




E qui siamo “dirimpetto” al Comune e si parla del palazzo che sta di  fronte.

.. e arrivati nella Chiesa delle Monache di Marradi fu mostro l’altar grande con tavola di marmo di Giorgio di Arezzo bella et in più d’essere scritture di Luca di Jacopo Fabroni che la fece fare, et arrivati alla chiesa di S.Lorenzo, principale del luogo, furono mostre due cappelle con l’Arme dei Fabroni una accanto all’altar grande a man manca et altra da quella banda ricontro alla porta del fianco della chiesa et altra avanti a detta porta di fianco simile.

Queste cappelle oggi non ci sono, perché la chiesa fu riedificata alla fine del ‘700. Però la “porta del fianco della chiesa” è quella sulla statale, vicino alla strettoia. Siamo a sera e Manetto si ferma. Il suo giro riprende il giorno dopo, 13 gennaio 1620:

… seguitando la visita e arrivato nella strada dov’è il magazzino destinato a tenere i grani, mi furono fatte vedere due case, una del Capitano Giovanni Fabroni luogotenente della Banda di Romagna e l’altra dell’Alfier Sallustio Fabroni ridotta per di fuor alla moderna nelle quali si vedderro dipinte due Arme dei Fabroni et una pietra nella cantonata …

Quando il fosso della Badia era scoperto, c’era un ponte di fronte al palazzo Fabroni che oggi ospita la Banca Popolare di Ravenna, e l’arcata c’è ancora, sotto la pavimentazione. Era il Ponte del Magazzino, perché portava al magazzino del grano. La “pietra nella cantonata” è lo stemma nell’angolo.

… e seguitando per la medesima strada, arrivati alla casa di messer Giannotto del sig.Luca Fabroni posta alla fine del Castello di Marradi verso Firenze venendo per la medesima strada del magazzino e nell’arrivare del principio di essa fu visto essere fondato nella strada maestra una muraglia con una strada sopra di essa larga 3 braccia e lunga 75, a sdrucciolo, con cordoni di pietra a ogni braccio, fatta anticamente per andare a quella casa e solo per inizio di essa ed entrati in detta casa si entrò in un cortile sopra la porta del quale fu vista un’Arme antica …

Manetto Berti con pignoleria misura l’accesso alla villa Ceroni e dice anche che c’erano paracarri di pietra ogni braccio (= 0,58 metri), cioè più fitti di quelli di oggi.

… e si arrivò alla casa di messer Giannotto, che fu vista assere antica e ridotta alla moderna, con buoni appartamenti, giardino, fonte, peschiera et altro e con una colombaia sopra. Alta anzi di torre intonacata di nuovo …               (Il giardino e la colombaia sono quelli della villa Ceroni).


lunedì 11 gennaio 2016

Le Casse rurali e Artigiane

Quando i preti 
prestavano i soldi
ricerca di Claudio Mercatali



Le Casse Rurali erano Cooperative di credito per i contadini. Si diffusero alla fine dell'Ottocento ad opera del liberale tedesco Leo Wollenborg e qui da noi furono sostenute soprattutto dai parroci di campagna, per venire incontro alla popolazione rurale, afflitta da grande povertà.
Si basavano sulla cooperazione tra persone che altrimenti non avrebbero potuto accedere al credito bancario.
In Italia l'animatore di queste iniziative fu il sacerdote don Cerutti. La regola fondamentale era la responsabilità solidale dei soci nei confronti dei terzi e concedevano prestiti a piccoli proprietari terrieri, operai agricoli e contadini.
 
La loro attività rimase per molti anni ridotta ma poi con lo stesso spirito si rivolsero anche agli artigiani e divennero Casse Rurali e Artigiane e poi Banche di Credito Cooperativo. Ce n'erano diverse qui da noi, spesso con sede nelle parrocchie, perché quasi sempre erano state fondate dai parroci, che facevano anche da cassieri e presidenti. Nel comune di Marradi erano attive la Cassa rurale di S.Isidoro, a S.Adriano e la Cassa rurale di Lutirano.

La figura del parroco banchiere è abbastanza strana per la nostra odierna mentalità, ma agli inizi del Novecento le cose andavano così. Ecco che cosa racconta lo scrittore Pino Bartoli a proposito di don birzighèn, gestore della Cassa Rurale di S.Pietro Apostolo di Fognano, da lui fondata nel 1920:

La piazza di Fognano negli anni Trenta


E banchìr
(da Fuochi sulle colline)

" ... La Nerina era diventata una parrocchiana di primo piano nel senso lato della parola, perché aveva cura di prendere sempre posto nella prima fila di panche. Se ne stava tutta compunta, a testa bassa, e non passava domenica senza che si accostasse ai sacramenti. La preparazione spirituale della ragazza era completa quando si recò alla Cassa Rurale ...
- Don Antonio ... -
Il prete sollevò la testa dai suoi "messali" pieni di nomi e di cifre sorpreso di essere chiamato con il suo vero nome. Ormai da tempo era per tutti don Birzighèn.
- Don Antonio sono venuta per un piccolo prestito ... -
La Nerina era sola, senza altra dote che la sua bellezza. Non aveva né un ronco né un pezzo di casa ma per don Antonio erano queste le pecorelle che meritavano di essere aiutate e non pensò per niente al pericolo che poteva rappresentare un prestito senza alcuna garanzia. Si preoccupò invece quando la Nerina, rossa e confusa, sussurrò la cifra di cui aveva bisogno.
- Cinquemila lire? Ma dì, sei matta? Cosa vuoi "spularmi" la Cassa? Ma che cosa ne devi fare di tutti questi soldi? -
Doveva sposarsi, la Nerina, con Cencio, un disperato come lei ...
- E va beh ... ma cinquemila lire sono baiocchi, cara mia ... Non ti bastano che so ... mille ... duemila ... -
- Non ho niente don Antonio ... niente. Sono povera e nuda come Gesù Cristo ... -
E per meglio dimostrare quanto fosse nuda, si aprì con fare innocente la camicetta scoprendo un tesoro di tette da ributtare di colpo gli occhi annebbiati del prete sui registri.
- Dai, dai chiudi lì quella roba, che non ti venga un raffreddore. Chiudi, che adesso vedremo che cosa si può fare ... -
Si accommodarono su un prestito di tremila lire, sebbene Nerina cercasse di rialzare la cifra, lasciando che sul piano dello sportello si accucciasse, con la morbidezza di un gatto soriano, tutto il suo ben di Dio nella studiata cura che usò nel firmare la cambiale.
- Sessanta giorni ... Hai capito? Sessanta giorni. Di più non posso concederti Ci sono altri come te che hanno bisogno di essere aiutati. E sìì puntuale, mi raccomando ... -
E venne la scadenza. E la Nerina fu puntuale.
Birzighèn alla sua vista se ne uscì con un respirone di sollievo che adombrò il vetro dello sportello e gli fece recitare una muta preghiera verso San Tommaso, protettore dei banchieri.
- Eccomi qua, don  Antonio ... -
- Brava, brava ... è un po' che non ti vedo. Come mai non sei più venuta a Messa? -
- E sa come succede don Antonio ... il matrimonio ... debbo prepararmi ... comprare tanta roba ... -
- Con i miei soldi, pensa Birzighèn - fortuna che è tornata ... -
E ad alta voce:
- Ecco qua la cambialina, cara la mia bella Nerina ... -
e ride per la rima improvvisata, fa il galante il prete severo che in tutta la sua vita ha avuto per amore quello verso Dio e quello verso la sua Cassa ...
- Ecco qua ...-
Posa la cambiale sul banco.
- Fate un po' vedere se scade proprio oggi ... -
La Nerina prende la cambiale, la scruta attentamente, poi si slaccia velocemente la camicetta e infila il candido foglio fra le tette come se fosse un fazzoletto di batista.
Don Birzighèn è di sasso. Si riscuote.
- Beh! Ma dico! Cosa fai? Sei diventata matta? Dammi qua ... -
 Si sbraccia don Birzighèn, poi si infila nel buco dello sportello allungandosi come un lombrico ...
- Avanti, su prendetela, avanti dunque ... -
Il parroco protende la mano e infila le dita in quella carne viva palpitante. La ritira di colpo come se avesse toccato il fuoco dell'inferno.
- Su dunque ... di che cosa avete paura? -
Sorride la Nerina. Sa che il prete, quel prete, non avrebbe rischiato la perdizione eterna frugando in quell' oasi peccaminosa.
- Grazie don Antonio, vi rifarete con altri ... con quelli che hanno più di me ... io ho solo queste cose che a voi non piacciono ... almeno prendete questo ... e afferra il prete per le orecchie stampandogli un bacio con lo schiocco sulla guancia ... ".
......................

A Marradi la Cassa Rurale non c'era, perché in paese c'era già una banca locale, privata, la Cassa di Deposito e Sconto, che poi fallì nel 1934 e fu rilevata dalla Cassa di Risparmio di Firenze. Però a S.Adriano don Attilio Tarabusi nel 1916 fondò la Cassa Rurale di S.Isidoro. In parrocchia i libri contabili non si trovano e le notizie scarseggiano.  

Don Attilio Tarabusi



Dai documenti dell'Archivio storico del Comune di Marradi talvolta affiorano timbri e intestazioni di questo Istituto Cooperativo. Tante altre notizie si trovano nell'Archivio della Camera di Commercio di Firenze e prossimamente ne riparleremo.

Invece si conosce tutta la storia della Cassa Rurale di Lutirano, perché nell' archivio parrocchiale sono stati ritrovati i libri contabili.


L'avventura comincia nel 1910 e il 24 marzo del 1912 i Soci si riuniscono per approvare il primo bilancio. In sala c'è un moderato ottimismo, perché non ci sono utili, il giro d'affari è limitato, ma sono state recuperate le spese di impianto (mobili, cancelleria, stampati ... ).






Accanto:
L'elegante timbro 
della Cassa di Lutirano












Passa qualche anno e la banca prende piede. Nella relazione di bilancio del 1915 si coglie un certo entusiasmo, come si legge nella lettera qui accanto:


"Signori! da questo quadro voi toccate con mano sicura che si è ottenuto non solo il primo pareggio, ma anche un avanzo ..."




Clicca sulle immagini 
se vuoi leggere i verbali


Chi erano gli Amministratori?
Nel documento qui accanto si legge
che si chiamavano:

Luigi Lasi, Alessandro Carloni, don Giovanni Piani, Giovanni Brunetti, don Francesco Montaguti, Francesco Verni. Il Presidente era Domenico Piani, tutti residenti nel posto, e tutti firmatari e garanti di un prestito richiesto ad un' altra banca chiamata Piccolo Credito Toscano. Questo è notevole perché dimostra che nelle Casse Rurali  lo spirito cooperativo era completo e si può ben dire che valeva il detto "tutti per uno e uno per tutti". 







La mini banca di Lutirano superò anche la crisi del 1929, pur con qualche difficoltà negli anni successivi, come si legge qui sopra a sinistra.
L'ultimo bilancio è del 1939, poi il quaderno contabile si interrompe e ha solo delle pagine bianche. La banca chiuse nel 1948 e lentamente se ne perse il ricordo.
























Fonte: Archivio parrocchiale
di Lutirano.
 

mercoledì 6 gennaio 2016

Gli zappatori dell'Acquacheta


Le idee del collettivo 
G. Winstanley
da ... Selvaticamente, 31 ottobre 2007



Quello che segue è l’inizio di “Da Piazza Navona agli Appennini, dagli Appennini a Piazza Navona” – Cronaca Storia Documentazione Testimonianza Immagini della dantesca Valle dell’Acquacheta a cura del Collettivo “Zappatori senza padroni G.Winstanley – La terra a chi la lavora - di Marco Bucciarelli editato da Stampa Alternativa nei primi anni 80, ormai scomparso e di cui non posso che ringraziare il mitico editore, Marcello Baraghini, per avermi spedito la fotocopia del suo originale. 
Sono alcuni anni che progetto di raccogliere le storie e i documenti di quell’esodo iniziato proprio nel ‘77’ . Grazie a questo libro, ad altri documenti e racconti orali credo di riuscire a dare corpo a questo lavoro di assemblaggio di questi “fiori di Guttemberg” prima che scompaiano.
Per questo lavoro spero di ricevere aiuto da quante/i, in quel periodo, cercarono di dare corpo ai propri desideri andando a ri/abitare i luoghi dell’abbandono. Saluto da lontano anche ad alcuni amici, Ulisse e Giambardo, che continuano quel viaggio iniziato 30 anni fa (adesso vivono in Spagna, chiaramente in una comune…).




La doppia copertina
del libro


(…) Il nostro concetto presuntuoso di tempo e di spazio creò la parola inizio. Eppure non esistono inizi se qualsiasi cosa è conseguenza di un’altra.
Non si sa quale dei torrentelli di montagna costituisca l’alto corso del fiume e quali altri siano semplice affluenti.
Si può dire che non abbia un’origine autonoma ma si formi progressivamente via via che i singoli torrenti portano il loro contributo di acque, e non sarebbe il fiume che è se anche uno solo di quegli apporti venisse a mancare.







Rocco lucano bolognese, quello che lamentava di non essersi mai innamorato, mentre venivano sù dalla Rocca a San Benedetto chiese a Giunco com’era cominciato, per lui. Giunco disse che cosa, lui spiegò ma tutto, Giunco non afferrò la domanda.
Giunco portava la bandiera nera quando incontrò Ulisse. Giunco con i perugini e Ulisse con Padova e la Franca. Tutti gli altri erano partiti. Si erano ubriacati, avevano arrembato il palco, buttato giù i microfoni, ed erano partiti. Sempre portandosi dietro quello striscione strappato con la scritta ZAPPATORI SENZA PADRONE.

Anche i perugini se ne andarono.

Giunco, Ulisse, Padova, la Franca restarono a far tappeto in corso Vannucci. Ulisse fece lo sputafoco ma non si fermò abbastanza gente.
Allora andarono tutti e quattro a dormire nei sassi di Perugia, millenari rifugi quasi senza finestre, forse ex convento o carceri.
I perugini ci andavano abitualmente a prendere dalla muffa verde delle pareti tufacee un elemento chimico per la polvere da sparo.



Franca raccontò di aver fatto l’amore la prima volta distesa su una cattedra universitaria. E non la si sarebbe mai detta un’ex studentessa d’ università.
Bellezza meravigliosa dell’antibellezza, rifiuto di ogni estetica. Rifiuto di qualsiasi cura. Parlare con gli occhi neri di ariete silenziosa.
All’inizio dell’inverno se n’andò a vivere in piazza a Bologna. Volle divenire la donna di un sardo di trenta o quarant’anni che si ubriacava dieci volte al giorno e la picchiava. La mattina andavano a mangiare dalla baronessa, durante la giornata facevano colletta e bevevano, poi la notte dormivano sui cartoni in una casa pericolante.
Franca ha voluto provare quella vita come altre vite. A quest’ora sarà magari su un carrozzone a cavalli, in Irlanda con uno zingaro vecchissimo.




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... oppure per la strada dei poderi ...


A Pian Barùccioli si arrivava per l’Arrabbiata, sentiero ripidissimo di un paio di chilometri dalla strada asfaltata, oppure per la strada dei poderi, mulattiera più lunga ma a pendenza più diluita che direttamente dal paese veniva a collegare quasi tutte le cascine abbandonate della valle seguendo a una certa altitudine il corso del fiume. Esistevano anche altri viottoli secondari, essi pure per fortuna non percorribili in alcun caso da veicoli a motore.






Una vallata tutta per noi: avevamo da dare nomi nuovi a tutte le cose, e quelle erano le nostre Ande. Olmo e Giunco si sognavano campesinos e indossavano il poncione rosso che con la pioggia s’infradiciava e scoloriva e con il vento si appuntava ai rovi e ai biancospini.
Fieri delle nostre sfrenatezze, dei nostri aspetti trasandati, selvaggi delle foreste appenniniche, esorcizzavamo con disprezzo ricorrente i nostri trascorsi cittadini. Odiavamo le città piccole che uccidono mentalmente come le città grandi che uccidono materialmente. Amavamo i nostri sentieri che, anche se al catasto di Forlì segnati come strada comunale, non erano che rigagnoli stretti di terra e acqua in mezzo al verde odoroso. I tornanti a strapiombo sul fiume, scavati o costruiti ìn pietra con maestria da museo, resistevano ancora intatti ai secoli, mentre la pista in terra battuta della forestale a due anni dalla costruzione franava dappertutto, con i suoi steccati e belvederi e frecce che avrebbero dovuto convogliare orde di turisti verso le nostre cascate e la casa dove si rifugiò Dante.
Giocavamo a immaginare i tempi in cui la vallata non era abbandonata, in cui muli carichi si arrampicavano lassù mentre tutto intorno al posto dei rovi il grano spuntava al disgelo, e si mandava un cavallo in paese per far venire la maestrina.



Sopra e a fianco: Due aspetti delle cascate
dell'Acquacheta 
(la persona che osserva è Giovanni Ravagli)



Il becchjno del paese, Yurj sloveno, e il vecchio tabaccaio, piangevano per la gioia che qualcuno fosse tornato a vivere nei loro vecchi posti e ce ne parlavano rivelandoci l’ubicazione di pozzi interrati eccetera.
Ogni giorno c’era da scoprire un vecchio sentiero che s’addentrava nel bosco e magari conduceva a una casa sconosciuta, e la casa poteva essere un rudere ma poteva anche essere buona e utilizzabile.
Si guadava e si passava in Toscana, con il villaggio dei Romiti proprio sopra la cascata di settanta metri, e una piana fertilissima intorno, e il Fiorentinaccio che ci visse e ne parlò nel purgatorio.
Quando il guado mancava, lo facevamo. Quella volta con Giò e lo Sceriffo passammo la serata intera sotto la pioggia diluviale dei primi di maggio, a gettar sassi nel fiume, a monte delle cascate, per alzarne il letto e creare un passaggio. Giunco si era impigliato le gambe, traversando sul tronco, e sarebbe finito in acqua se Già non l’avesse tirato a riva. Decadde di molto nella stima altezzosa dello Sceriffo.
Il fiume giù in fondo, il fiume che dall’appennino toscano va a sfociare a Ravenna, mille sorgenti trasformate in pozzo vicino alle case e altrettanti ruscelli che precipitavano giù e rallentavano solo dove trovavano da ristagnare.
Ristagnavano tra il muschio delle pietre levigate e le radici degli alberi. Scoprivamo laghetti impensabili in zone nascoste dei boschi, e probabilmente da anni o decenni un essere umano non guardava la sua faccia là dentro: lo specchio era troppo limpido, non usato, di una trasparenza incredibile.
Anche se per caso non avevamo sete, non potevamo fare a meno di chinarci a bere, a bere con la bocca. Le mani le lasciavamo adoperare a Daniele che ce la menava col voler esser chiamato Prana e col voler dimostrare l’origine divina dell’uomo per il fatto che nessun altro animale berrebbe con gli occhi rivolti al cielo. Ce la menava un casino: raccontava di dover per forza prendere l’aereo per andare in India essendo ancora un gran peccatore, ma che però qualche piccolo progresso nella fede l’aveva pur compiuto e da Forlì a Predappio poteva anche spostarsi con la sola energia del pensiero (…)



Fonte: Blog Selvatici, diario dai
confini fra il selvatico e il coltivato.



Un altro articolo su Pianbaruccioli è nell'archivio alla data 22 luglio 2012 con il titolo "Biscotti detto Gianni".