Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

giovedì 23 dicembre 2010

1773 Il palazzo comunale di Marradi

Si costruisce il nuovo Pretorio
sulle fondamenta
di un vecchio edificiodi Claudio Mercatali


Il Pretorio nel 1898

Il Palazzo Pretorio di Marradi verso la fine del Settecento era mal ridotto, e si decise di ristrutturarlo completamente. Per questo il Granduca concesse 1500 scudi con un Regio Decreto datato 23 agosto 1773. Però questo era solo un contributo, e per far fronte al costo totale si dovettero aumentare le tasse nel biennio 1774 – 1775. Anche Palazzuolo fu chiamato a concorrere alla spesa, perché nel palazzo c’era la sede del nuovo Vicariato (= il tribunale), che comprendeva tutti e due i comuni e sostituiva le vecchie Podesterie, che erano state soppresse.

Il primo sopralluogo di un tecnico non fu molto confortante:
“Io sottoscritto, nel giugno 1772, ho visitato il Palazzo Pretorio di Marradi. Questo palazzo è com­posto di una pessima costruzione, tutta piena di squarci, scollegazioni, con una parte della loggia fuori piombo. Conviene disfare e rifare gran parte del muro maestro e porvi quattro catene che do­vranno arrivare da sotto a tenere diritta la fabbrica, la quale si trova malandata e umida …”.
Che è quanto, a dì 12 agosto 1772 Agostino Fortini, ingegnere

I lavori cominciarono nel 1773. Intanto il tribunale del nuovo Vicariato aveva cominciato a funzionare in modo un po’ provvisorio:
“Il notaro di codesto tribunale lamenta che essendo in costruzione il Pretorio, si pretende di obbli­garlo a portarsi a Palazzuolo, invece di trovargli una conveniente abitazione in codesta Terra. Se­condo le leggi in vigore, nel tempo in cui non sarà finito il Pretorio, gli spetta un quartiere dove possa tenere la sua abitazione senza alcuno aggravio o spesa. E resto”.
Il Notaro civile Filippo Cioni 15 marzo 1774

Durante la costruzione ci furono delle varianti nel loggiato (che aveva solo cinque archi e non sette come oggi) e si decise di costruire la Torre dell’orologio. Questo fece raddoppiare la spesa. Palazzuolo protestò e chiese di concorrere solo per la quota inizialmente prevista e iniziò così una lite. 

Quando il conto con la spesa raddoppiata arrivò a Firenze, assieme alle proteste di Palazzuolo, il Curatore granducale scrisse questa lettera dura e molto bella al Gonfaloniere di Marradi:
“Ho ricevuto la lettera di vostra Eccellenza datata 30 maggio, e con essa alcuni dei documenti da me richiestili per l’opportuno chiarimento delle ragioni di Codesta Comunità di Marradi in ordine al Palazzo Pretorile e ricevo pure un ristretto di ragioni della medesima Comunità contro quella di Palazzuolo. Tutto questo va bene, ma se non m’inganno credo che ancora qua siano mancanti altri documenti, perché non comprendo come avendo proposto quel Generale Consiglio un disegno che porta alla spesa di 1500 scudi, approvato dal Sovrano con il suo R.D. al dì 23 agosto 1773, si sia poi potuta fare la spesa di 3317 scudi. Io capisco benissimo che oltre alla spesa del divisato disegno vi sarà quella del loggiato, vi sarà quella del Rologio, della Torre e qualche altra cosa, ma se si hanno da fare le giustificazioni ci vuole per questo anco il corredo degli opportuni documenti. Perciò favo­rirà Vostra Eccellenza rimettermi tutto ciò che ci sia in codesta Cancelleria riguardo a questo affare. Vi aggiungerà tutte le decisioni del Consiglio Generale (= il Consiglio comunale) e dei Soli di Seggio (= i Priori, cioè gli assessori), affinché noi vediamo com’ei s’ingegna di sapere il bene e il male per poter fare l’opportuna distinta. Favorisca avvisarmi se il ricorso fatto dai Palazzolesi per l’esenzione di Palazzuolo dalla spesa fu fatto nel 1774 o dopo terminata la fabbrica e se fu fatto prima della terminazione della fabbrica mi invii quel foglio che fu fatto”.
La piazza di Marradi e il Pretorio nel 1822, (catasto Leopoldino).

Anche durante la costruzione c’era stato qualche pa­sticcio e un certo Gaetano Piani si lamentò perché un muro del nuovo palazzo era stato costruito nella sua proprietà. Alla fine il capomastro ammise il fatto e il Piani fu risarcito:
“Io appiè sottoscritto perito muratore, capomastro alla ricostruzione del Palazzo Pretorio accetto la pura e vera verità di aver occupato un pezzetto del cortile di pertinenza della casa del sig. Gaetano del fu Francesco Piani, e di essermi servito di un suo muro d’appoggio e di aver murato una finestra dalla quale si vedeva maggior lume di quella che è stata aperta di nuovo. Io stimo e valuto il danno in 28 monete fiorentine (scudi). In fede io Stefano Mazza affermo quanto sopra

A chi spettava il mantenimento dei nuovi palazzi pretorili sedi di Vicariato? Data l’aspra lite fra Marradi e Palazzuolo il Granduca intervenne perentorio:
La piantina del primo piano del Palazzo Pretorio prima della ristrutturazione del 1773 (clicca sulla piantina per ingrandirla)
“Sua Altezza Reale, volendo togliere ogni dubbio sulla spese di mantenimento dei Palazzi Pretori, si è degnato di dichiarare che dette spese sono considerate ordinarie e toccano alle varie Comunità. Per il caso che un Palazzo Pretorio serva a più comunità, e non si trovi accordo nel riparto delle spese, ogni Comunità concorrerà con un importo pari a quello che ogni anno impegnava per la sua soppressa Podesteria”. Firenze, 6 febbraio 1776

Per attivare il nuovo Vicariato servivano anche le carceri, che erano nel retro del Comune. Perciò nel 1776 da Firenze si volle sapere se le prigioni erano finite e idonee:
“ Desidero sapere da Vostra Signoria (il Gonfaloniere) in quale stato si trovi codesto palazzo Preto­rio e le sue carceri, e se siano abitabili senza pericolo per la salute di chi vi fosse messo. Ella dunque unitamente a codesto Vicario a cui pure scrivo per l’istesso oggetto, si compiacerà di commettere a due periti muratori, al medico e al cerusico condotto una visita in dette carceri e gli farà fare la relazione del loro sentimento. Favorirà di trasmettermi la relazione dicendomi anche quello che ne pensa la Signoria Vostra, che assisterà alla visita. Vorrei un sicuro riscontro per decidere se convenga differire l’apertura del Tribunale del nuovo Vicariato e con sincera stima mi confirmo”. Dalle Legazioni delle Tratte, Firenze, 10 Settembre 1776

Finalmente alla fine del 1776 l’opera ebbe termine e fu inaugurato anche il nuovo orologio da torre, costruito dall’artigiano fiorentino Giuseppe Baggiacchi, che rilasciò questa garanzia:
Io infrascritto, avendo venduto al prezzo stabilito al Magistrato di Marradi un orologio da torre e postolo convenientemente nella nuova torre del Comune, in virtù di ciò prometto e mi obbligo che qualora detto orologio venisse a soffrire, nel corso di anni tre, qualunque alterazione e difetto dell’ arte, di raggiustarlo a tutte mie spese e di rimetterlo nello stato in cui di presente si ritrova e ciò sotto l’obbligo della mia propria persona, eredi e beni e beni de’ miei eredi, presenti e futuri, e che così sia fatto”.
Io Giuseppe Baggiacchi, orologiaio, tutto ciò affermo, In Dei nomine, amen 11 giugno 1776

Fonte Documenti dell’Archivio storico di Marradi, filza degli atti dal 1771 al 1778, come da inventario


Gabbanino "il tenore"

Cantastorie del nostro
Appennino
di Giuseppe Gurioli

 

                                                                  Gabbanino suona la fisarmonica

 
 
Gabbanino, al secolo Nello Sartoni, era nativo di Razzuolo e abitò per tanti anni a Crespino del Lamone. Di mestiere faceva il boscaiolo e per passione il cantastorie. In romagnolo “e gabàn” è un soprabito lungo, rustico, ma la parola “gabbana” c’è anche in italiano. Il personaggio è interessante e merita parlare di lui. Però è meglio lasciar dire a sua figlia Miranda:
 
“Nel comune di Borgo S.Lorenzo, a Razzolo, da Angelo e Rosa il 6 ottobre 1912 nacque un maschietto che venne chiamato Nello, e precisamente in un podere chiamato Giuvigiana, in una famiglia numerosa dove nonni, figli, cognate, zie, nipoti e cugini vivevano insieme nella stessa povertà. I primi anni della sua vita furono spensierati come lo sono quelli di tutti i bambini, ma questo durò poco. Nel 1915 scoppiò la guerra e suo padre partì per il fronte, tornò tre anni dopo stanco e ammalato. Ebbe anche la brutta idea di lasciare quella grande famiglia e con la moglie e il piccolo Nello andò ad abitare a Gattaia; purtroppo in quel paese anche i gatti morivano di fame e la famiglia si era ingrandita. Erano nati due gemelli e per poterli sfamare i tre bimbi furono mandati a fare i garzoni in famiglie anche più povere della loro, dove del cibo se ne vedeva poco. Nello era ormai un bel ragazzo di diciotto anni, che seguiva il babbo nel mestiere del boscaiolo, ma soprattutto lo seguiva quando con la fisarmonica in spalla andava a fare qualche veglia in casa di qualche amico: lui adorava la fisarmonica, aveva la musica nel cuore e nel sangue. Amava le feste, il canto e il ballo e presto con estrema facilità e senza nessun maestro aveva imparato a suonare benissimo …”
 
L’inverno del 1930 fu terribile, freddo e lungo. Nello aveva le scarpe rotte, i piedi bagnati e gelati. Si ammalò di polmonite e per poco non morì. Questa vicenda si coglie nello stornello “Il Carnevale”, che dice così:
 
IL CARNEVALE (1931)
Poveri giorni del Carnevale – morìto male senza danzare. – Queste ragazze son mezze pazze – se i giovanotti non le fanno divertire – e la causa della moneta non torna più. – Nella cuccagna c'è una magagna e la cincina ha fatto il nido già. Se non potremo andare scarnevalando – staremo in casa a raccontar novelle. – Così le scarpe non si sciuperanno – a strascicare forte forte – per ballare sulle pianelle. – Così non prenderan le rinfrescate – anche se loro vanno scollacciate. – Così le mamme non brontoleranno – con le figlie staranno – e noi gli canterem la cin cin cin. E la cin cin cin la ci rovina – pulin, pulin pulin; la vuoi cantar – e la cocuzza ci rimpetuzza – filin pulin pulin; - e per canzonar le damigelle - coi cavalieri, questi pensieri – le fan tremar – le ballerine coi ballerini – senza i quattrini non si posson divertir – tristo carnevale del ’31 – non ballerà quasi nessuno – perché in terra c’è la cin cin cin. - Quando verrà la Quaresima non sarà più medesima, si farà un grosso cambiamento - le aringhe vanno a spasso e i salacchini - abbasso il baccalà - si mangerà la domenica - lungo la settimana sei polente si farà, - e ancor più se nevica, poi c'è una donna - fra tutte, fra queste più brutta fa una - discreta figura, mi sembra un camino o una - vettura quando viaggia in pianura. - E farci un vestito lei ci fa una grande strage - e il suo specchio le dà gran bellezza gli appar - lei mi sembra un rimorchio in garage.
 
Sua figlia continua dicendo:
“ … molti dicevano a Nello che con le sue doti di suonatore e cantante sarebbe diventato celebre. Lo indirizzarono al maestro Cesarini, famoso compositore e pianista fiorentino autore di “Firenze sogna” che dopo averlo ascoltato gli diede buone speranze, ma le speranze costarono troppo care , e dopo aver speso i miseri risparmi per poche lezioni decise di ritornare in famiglia, che si era trasferita a Crespino del Lamone …”.
 
A carnevale e nelle serate danzanti Nello era sempre più ricercato e applaudito. Ora lo chiamavano “il tenore” e dove c’era lui si creava allegria. Le donne se lo contendevano ma lui si innamorò di Rosina e la sposò il 23 aprile 1936. Nel 1940 nacque la sua primogenita e fu chiamata Miranda.
 
Nel 1944, con l’arrivo degli Alleati, ricominciò la vita e Nello riprese a cantare i suoi stornelli:
“ … i soldati inglesi avevano viveri, soldi e una gran voglia di divertirsi e portavano Gabbanino sempre con loro, e gli riempivano il tascapane di roba da mangiare … nel 1949 nacque Milena, bella come una bambola. Anche la figlia Miranda aveva passione per il canto e prese lezioni dal maestro Bentini i Faenza e dal maestro Sardi di Borgo S.Lorenzo. Poi emigrò in Svizzera.
Nel settembre del 1977 Gabbanino fu investito da un’auto a Borgo S.Lorenzo, a pochi passi da casa, e dopo 40 giorni morì. Aveva solo 65 anni. Dopo più di trent’anni il suo ricordo era ancora vivo nella gente e: “ … questo aveva stupito sua figlia Miranda che, tornata dalla Svizzera, aveva ricominciato a cantare nelle piazze del Mugello e nelle feste folcloristiche le canzoni di Gabbanino, per non dimenticare il padre, l’uomo che aveva tanto amato”.



 
Gabbanino "in azione" durante una serata
Nello Sartoni è stato ricordato nell’Ottobre del GEM (gruppo escursionistico marradese) al rifugio di Coloreto, e la figlia Miranda ha cantato le ballate di suo padre accompagnata dal chitarrista Antonio Rocca e da alcuni componenti dei Maggiaioli di Povlò.
 
Nelle serate di Gabbanino le ballate più richieste erano queste: Il Carnevale (1931), la Canzone di Calistro (1933), La pentola bolle (1934), La Nella di Razzolo, La volpe di Santòla, Il toro di Massalto. A proposito del Toro di Massalto Gabbanino diceva che: “Questa non è una semplice novella, ma la narrazione di una vicenda realmente accaduta ai Razzolesi, che insieme a me furono sorpresi da un toro infuriato, nei pressi di Acqua Buona …”.

Su internet c'è una bella versione di questa ballata, di Caterina Bueno, che è stata una brava interprete di canti popolari. Chi vuole può digitare "Il toro di Massalto Caterina Bueno" andare sui video e cliccare sull' icona "Le raccolte di nonno Ovilio". Partirà un canto piacevole … e potrete seguire il racconto con il testo qui sotto, se avete problemi con la cadenza mugellana ...
 
IL TORO DI MASSALTO

· Amici cari se mi ascolterete – la verità vi fò toccar con mano – raccapricciante quando sentirete – de’ Razzolesi un fatto molto strano.
· Una bella squadra organizzata – di giovanotti fà una girata – per divertirsi con l’organino – il suonatore gli è Gabbanino – era Cannozza l’uomo più retto – e l’organino portava Giorgetto – il suonatore ci ha il piede zoppo – poi sentirete cammina anche troppo. D'estate sull'altura è bello frescheggiar - c'e l'aria bona e pura - l'è una felicità.
· Tutti eleganti fecero partenza – la passeggiata si iniziò discreta – in quella strada in piena conoscenza – diretti se ne andarono a Moscheta.
· Si divertirono tutta la sera – con le ragazze discrete che c’era – nei casolari e nella foresta – la sera tardi a gamba lesta – e per ritornare all’abitazione – or sentirete che confusione – a Rifredo e al Barco fecero sosta – poi nuovamente fecer ribotta – verso le due di notte decisero partir – finite le ribotte comincia il gran soffrire.
La Badia di Moscheta

· Mezzi assonnanti, un po’ bevuti e stanchi – chi brontolava e chi cantava in coro – eran vestiti in pantaloni bianchi – sbagliando strada incontrarono un toro – quella bestiaccia vedeva bianco – si incamminò per raggiungere il branco – muggiva forte come una iena – or sentirete la brutta scena – col manto grigio color del lupo – la sera tardi col cielo cupo – i giovanotti in quel momento – dissero siamo in un brutto cimento. Vedevan di lontano le vacche biancheggiar - decisero far presto potersi riposar.
· A un tratto lo sentirono soffiare – un istrice pareva scatenato – non è più tempo di star qui a pensare – a pochi metri s'era avvicinato – e Stroncapali disse a Giorgetto – fagli sentire un po’ l’organetto – siamo colpiti dalla sventura – forse potrebbe aver paura – quando lo videro a pochi passi – dall’organino suonavano i bassi – gettato a terra suona la voce – il toro si fece ancor più feroce – sentendo far quei versi e i panni biancheggiar – il toro si credeva le vacche di afferrar – il suonatore che ha anche un piè malato – gettava il male e camminava forte – vedendo l’organino abbandonato – lo riprendeva rischiando la morte – senza bullette che scivoloni – si arrampicarono tutti carponi – pei praticelli e caspe di faggio – si eran persi ormai di coraggio – disorientati tutti smarriti - dalla paura trasfiguriti – senza stanchezza senza più sonno – poi tutti insieme si ritrovonno – si guardano fra di loro dicendo come va – siam liberi dal toro ci voleva ammazzar.
Giovanotti che vi piace andare sulle montagne a far le passeggiate – prego la strada di non sbagliare – per non aver dai tori le imboscate.
· E Stroncapali voleva andare – dal Maresciallo per denunciare – il contadino di quel toraccio -  poi ripensando è un affaraccio – siam dipendenti da quel padrone – si compromettono  le condizioni – diamogli un taglio in questi momenti – un’altra volta staremo più attenti.
· Del toro di Massalto il fatto sta così – nei prati di Acqua Buona credevan di morir.
 
Nella ha ricevuto l’invito per andare a una festicciola a Razzuolo, ma suo marito non ne ha voglia. Allora lei aspetta che si sia addormentato e poi …
 
 
Razzuolo negli anni Trenta

LA NELLA DI RAZZOLO
· In un paesino del Mugello – quando deciser ballare – successe un fatto assai bello – che a tutti voglio narrare – di una elegante signora – che tutti rincuora vederla danzar.
· Bisogna andar anche noi – disse una sera al marito – ci hanno mandato l’invito – e ora ci stanno ad aspettar.
· Ma lui rispose alla lesta – con occhio rude e sospetto – cosa svanita sia questa – stasera si va proprio a letto.
· Lei per finire la scena – prepara la cena e a letto sen va – quando il marito si accuccia – sotto le bianche lenzuola – lei se lo rincantuccia – l'abbraccia e lo consola – e lui si trova dormento – senza pensare più a niente – sentite l’esercente – ora cosa gli fà.
· Appena lo sente russare – lei dice è giunto il momento – piano la fa scivolare – i piedi sul pavimento – e dopo il manto si allaccia – si incipria la faccia – con grande attenzion – poi lentamente cammina – scende quattro scalini – e giunta giù in cucina – si mette gli scarpini – e poi abbandona la casa – in quella notte nera – arrivederci Carnera – questo saluto gli fa.
· Appena raggiunse il salone – da tutti fu applaudita – c’erano tante persone – uno a ballare l’invita – gli altri che stanno in disparte – capaci nell’arte cominciano a dir – quanto ci vuoi giocare – da letto l'è scappata – or ci vogliamo andare – a far la serenata – e dette queste parole – partirono alla lesta – a sotto la finestra – cominciano a cantar.
· Giacinto dovrai compatirci – se questa storia è noiosa – siamo venuti per dirti  - che ti è scappata la sposa – allora Giacinto si sveglia – chiamando la Nella – comincia a frugar – e dopo vane ricerche guardava sotto al letto – in mezzo alle coperte e dentro il gabinetto – questa è curiosa davvero – diceva tutto stizzito – il povero marito – s'incominciava a vestir.
· Sia maledetta la donna – diceva tutto arrabbiato – questa è una vera vergogna – da tutti son criticato – poi con Pietrino discorre – cercando Bacchiorre – la fece chiamar – questa è una vera sorpresa – quando si sente invitare – appena le scale fu scesa c’era il marito ad aspettare- e lei gli fece impressione – quello che in mano teneva – era un grosso bastone – e lo voleva provar.

domenica 21 novembre 2010

Il 1848 nella valle del Lamone



Disordini e tumulti dopo
la sconfitta

di Carlo Alberto di Savoia
di Claudio Mercatali
Carlo Alberto


Nel 1848 la Prima guerra di Indipendenza passò rapida come una ventata. Carlo Alberto di Savoia ebbe l’ardire di muovere guerra da solo all’Impero Austro Ungarico e dopo un iniziale successo a Pastrengo (30 aprile) venne duramente sconfitto a Custoza (27 luglio) dal generale Radezky. La vittoria degli Austriaci fu folgorante e l’esercito Piemontese andò allo sbando. In quei giorni nella valle del Lamone le notizie, un po’ vere e un po’ false, si accavallavano, perché il rapido succedersi degli eventi non permetteva di farsi un’idea chiara dell’ accaduto. Il papa era fuggito a Gaeta, e il Granduca di Toscana aveva lasciato Firenze. Dunque in tutta la nostra zona c’era un vuoto di potere quasi completo. Gli sbandati di Custoza, sospinti dagli Austriaci vagavano per tutta la Romagna e la Toscana.

Lo storico Antonio Metelli, di Brisighella, che visse ai quei tempi, ci racconta così gli avvenimenti:

“ … Un certo Angelo Masini, giovane d’animo ferocissimo e forse il più arrangolato tra i Repubblicani, raccolti attorno a sé quaranta uomini in tutto simili a lui prese viaggio per la Romagna con animo di gettarsi in Toscana e d’incamminarsi a Livorno, città in rivolta. Costoro, arrivati a Faenza entrarono nella Valle d’Amone e proseguirono alla volta della Toscana, ai confini della quale essendo pervenuti, interrogati chi fossero risposero: “Repubblicani, amici del Cristo” per la quale strana risposta i gabellieri li lasciarono passare e così giunsero a Marradi e cavalcarono il dì appresso verso Borgo S.Lorenzo. Prima che vi giungessero un nerbo di soldati toscani, proibendo loro il passaggio, li costrinse a tornare indietro, per la qual cosa giunti a Marradi tutti inveleniti, attaccarono briga con i paesani, ad uno de’ quali diedero una ceffata e sputarono in volto, pel quale insulto Giacomo Fabroni, cacciatosi in mezzo per sedare il nascente tumulto, rivoltosi al Masini gli disse che badasse bene a quello che i suoi cavalieri facessero e ricordasse loro che i soldati toscani erano appresso … sicché la notte passò tacita e tranquilla. Finché venuta la dimane lentamente si misero a calare verso Brisighella …”.

Questi sbandati …
“… Scavalcati sulla piazza di Brisighella, chiesero le paghe alla Comunità e alloggio per i loro cavalli, che vennero distribuiti per le stalle dei privati. Intorno al soldo lungamente si disputò, sostenendo il Magistrato di non essere tenuto a porgerlo, sebbene poi accortosi con che gente aveva a che fare, credette meglio di darlo, con che essendo rimasti soddisfatti non diedero altra turbazione e la mattina appresso se ne andarono a Faenza …”

Nonostante la guerra persa la voglia di libertà era forte. Ci furono accenni di rivolta contro lo Stato Pontificio e il Granducato:
“ … Erasi di quei dì tumultuato fieramente in Modigliana, per odio contro la tassa di pedaggio posta al varco dé confini, il che aveva fatto nascere i medesimi appetiti in Marradi, poiché avendo i Modiglianesi rotta la catena che serrava il passo, pareva alla minutaglia che togliendo ogni divisione tra gli Stati fosse un andare a libertà e alla riunione dell’Italia … e tanto più facilmente i Marradesi se ne persuadevano consistendo il commercio loro nel carbone che giornalmente portavano in Romagna. Gli esempi di Modigliana riscaldarono così tanto le menti che, corsi a furia a Rugginara vi svelsero dagli arpioni la catena e tolsero di mezzo l’odiato balzello...”

L’ODIATO BALZELLO.................................. Il maresciallo Radezky

Chi andava a Brisighella pagava il dazio a S.Cassiano, chi veniva a Marradi a Rugginara, dove appunto c’era la catena. La dogana di Popolano era stata chiusa da poco (1841). Seimila scudi erano una bella cifra se si tiene conto che l’appannaggio di un cardinale era di 4000 scudi all’ anno.

Il Governo toscano non intendeva certo rinunciare al dazio e mandò dei soldati polacchi a ripristinare l’ordine. Chi erano?
“… da Firenze affinché lo Stato non venisse a mancare della pecunia che ritraevasi dalle gabelle (poiché è a sapersi che nella dogana di S.Cassiano posta a riscontro nel dominio del Pontefice riscuotevasi annualmente seimila scudi liberi da spese) vennero mandati a Modigliana e a Marradi un nerbo di Polacchi che nel disfacimento degli eserciti si erano rifugiati in Toscana ed erano stati poco prima assoldati per togliere loro ogni pretesto di tumulto, i quali poi per loro natura lasciarono le cose poco meno come prima…”.

Lentamente gli Austriaci ripresero il controllo della situazione:
“… avendo in qué giorni gli Austriaci sotto il governo del barone d’Aspre occupata Firenze e combattuta Livorno, che voleva durare a reggersi a popolo, si erano veduti passare per la Valle d’Amone due cocchi pieni di ufficiali lombardi, che fuggivano dalle terre della Toscana. In tutto il dominio del Granduca non restando forse che Modigliana, ostinata a non voler atterrare l’albero della libertà, alcuni aspettavano che venissevi gli Austriaci per costringerla con le armi e recarla alla devozione del Principe”.

Gli Austriaci avanzano. Arriveranno dalla Romagna o dalla Toscana?
“ … cominciossi a dire in Faenza che l’esercito Austriaco che aveva occupato la Toscana si era fatto innanzi per discendere in Romagna e si inviò un messo al magistrato di Brisighella che lo spedì a Marradi, ad Evaristo Piani che lì reggeva la Guardia Civica, dal quale si ebbe risposta che in Marradi e nelle terre finitime non s’era vista faccia di austriaco. Ecco giungere la notizia che gli Austriaci erano entrati in Bologna e si affrettavano verso la Romagna … in Brisighella non vi fu terrore ma costernazione non avendo voluto il Priore del Comune far atterrare l’albero della libertà, la qual cosa poteva forse attirare gli Austriaci ad insulto …”.

Il Priore si rassegnò perché capì che gli Austriaci del generale Gorzhowski, che comandava in Romagna, avevano la mano pesante. Ormai la guerra era finita. Le Autorità pontificie vollero festeggiare e: “ … fu nella maggior chiesa (di Brisighella) tutta parata a festa celebrata una solenne messa fra canti e suoni, stando presente la maggior parte de’ Commissari e assistendo in abito Pontificale il Faentino Vescovo …”

A Marradi successe più o meno la stessa cosa e ci furono messe solenni per ringraziare il Signore del ritorno del Granduca. In realtà non c’era proprio niente da festeggiare, perché erano tornati i vecchi governanti e gli Statuti e le Costituzioni erano state sospese. Però queste cerimonie, allora e anche oggi, si fanno d’autorità, “per contarsi” cioè per vedere chi partecipa e chi diserta. Infatti era chiaro che se qualcuno non festeggiava era un oppositore e doveva aspettarsi la visita dei gendarmi, pontifici o granducali, a casa sua. Così andarono le cose nella valle del Lamone nel 1848.


Bibliografia Testi della Biblioteca di Marradi, sezione di storia locale.

lunedì 15 novembre 2010

Il 1859 a Marradi


Breve cronaca
della vita

in paese nell'anno
della
Seconda Guerra
di Indipendenza


di Claudio Mercatali



Arrivano i Francesi

Nel 1859 la Seconda guerra di Indipendenza portò alla caduta del Granducato di Toscana e ad un rapido succedersi di eventi che in poco tempo culminarono nell’Unità d’Italia. Il 29 aprile 1859 l’Impero Austro ungarico dichiarò guerra al Regno di Sardegna, alleato della Francia. Il Granduca Leopoldo II due giorni prima aveva lasciato Firenze e quindi si instaurò un Governo Provvisorio. Chi diffondeva queste notizie a Marradi? Il metodo classico era la comunicazione con il bando affisso. Una copia doveva essere conservata in Comune e infatti nell’Archivio storico ce n’è una gran quantità. Possiamo immaginare che di fronte ai manifesti ancora freschi di colla si formasse un capannello di gente, in attesa che i pochi che sapevano leggere facessero un riassunto. Qui di seguito c’è la riproduzione di alcuni di questi documenti e si noterà che il linguaggio è fervido ed entusiasta. Si stava arrivando alla sospirata Unità d’Italia.

LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA
IN BREVE

27 aprile 1859 Il Granduca Leopoldo fugge da Firenze.
29 aprile, scoppia la guerra

1 Maggio A Firenze si instaura il Governo provvisorio

8 giugno Vittorio Emanuele II entra a Milano da vincitore
24 giugno le battaglie decisive sono a S.Martino e a Solferino
12 Luglio Armistizio a Villafranca

L’ultima settimana di aprile il Vicario granducale, ancora in carica a Marradi, scrisse a Firenze un po’ preoccupato:
“… fino dalla sera del 25 aprile gli abitanti di questa terra misero la coccarda tricolore… Questa mattina due paesani, senza esserne autorizzati, hanno levato due armi (= stemmi) Granducali, ma con disapprovazione dei più, i quali amano che si dovesse procedere alla loro rimozione, ma con modi legali; infatti i due individui hanno desistito”.
Questi accenni di rivolta popolare assunsero ben presto anche dei toni anticlericali e dallo storico Carlo Mazzotti apprendiamo che un certo numero di persone urlava di fronte al Monastero che è al centro del paese: “Abbasso le monache … fùra el mong!”. Nel maggio di quell’anno esse ebbero il timore di essere cacciate a furor di popolo, ma il loro confessore, don Giuseppe Mughini riuscì a calmare i più scalmanati e questo non avvenne.
E i Signori del paese che cosa facevano nella primavera del 1859? C’erano gli scettici, perché anche nel 1848 il Granduca era fuggito ma poi era tornato quando gli Austriaci avevano vinto. Però c’era anche chi parteggiava “per il nuovo”, cioè per i Savoia. Fra questi si può ricordare Evaristo Piani, un signore che già nel 1848 fu a capo della Guardia Civica anti austriaca e poi era dovuto fuggire. Anche la ricca famiglia Agnolozzi era di spirito libertario e imparentata con Gaspare Finali, il patriota romagnolo, marradese adottivo, al quale abbiamo intitolato una via. Lo spirito risorgimentale toccava il massimo fra gli amici di Celestino Bianchi, il direttore del quotidiano La Nazione, fondata il 19 luglio 1859, nativo di Marradi, membro del Governo Provvisorio. Fra i liberali c’era anche qualcuno degli immancabili Fabroni, e in particolare Gian Gastone, amico di Celestino Bianchi. Come già nel 1848 un buon numero di marradesi partì per combattere gli Austriaci. I volontari delle patrie battaglie furono:

1859 Angelo Betti, Lorenzo Catani, Andrea Consolini.
1859 – 1860 Nestero Fabroni, Umberto Fabroni,
Domenico Lama,
Desiderio Moretti, Fortunato Mercatali,
Giovanni Neri, Agostino Rossi,
Francesco Ravagli, Alessandro Solaini
1860 Antonio Moretti, Lorenzo Alpigini, Francesco Ciani,
Ferdinando Monti,
Antonio Monti, Michele Mariani, Pietro Mercatali.
1859 –1861 Maggiore Antonio Agnolozzi, Sebastiano Fabroni,
Paolo Meucci, Angelo Gurioli.

L’Amministrazione comunale continuò il suo lavoro quotidiano quasi come se la guerra non ci fosse. Questo avvenne perché lo svolgimento dei fatti d’arme fu rapido e la popolazione civile non fu coinvolta. Negli atti dell’archivio storico di Marradi si legge che il 27 giugno 1859 si appaltarono gli ultimi lavori per la copertura del Rio Salto, che fino a due anni prima scorreva a giorno in mezzo al paese e si decise di ampliare il cimitero, secondo questa planimetria.

Planimetria del cimitero nel 1859: particella 5, cimitero
comunale, particelle 6, aree sulle quali verrà poi
costruito il cimitero della Misericordia (fine Ottocento)
Sotto: la strada per Cardeto, secondo il tracciato del 1859

Fu costruita anche la strada di Cardeto, da Biforco alla chiesa, per evitare lo scomodo passaggio accanto al fiume, in mezzo a Casa Fossino.
Nell’ottobre del 1859 si elesse il nuovo “Responsabile del Comune”. Non si sa come chiamarlo di preciso, perché non era più un Gonfaloniere ma non era nemmeno un Sindaco, dato che la serie dei Sindaci comincia nel 1865 dopo le prime vere elezioni. Anche sulla parola “elezione” occorre intendersi, perché il nuovo Gonfaloniere – Sindaco fu votato, o sorteggiato, in seno al vecchio Consiglio dei Priori, e per legge era obbligato ad accettare. Costui era il notaio Orlando Pescetti, patriota già nel 1848, che però si dimise dopo quindici giorni, con un certificato medico in cui lamentava l’artrite. Il Prefetto respinse seccamente le sue dimissioni perché “si stava facendo l’Italia” e gli incomodi di salute interessavano poco. Nemmeno noi possiamo credergli del tutto, perché dopo qualche mese Pescetti si candidò alle elezioni per il primo parlamento del Regno d’Italia, dove non fu eletto perché i voti andarono quasi tutti a Celestino Bianchi. Dopo Pescetti toccò, a turno, a diversi altri Priori.
In autunno arrivò una serie di nuove leggi. Un decreto del 29 settembre 1859 introdusse in Toscana il sistema metrico decimale. Fino ad allora le lunghezze erano state misurate in braccia fiorentine (0,58m) e le planimetrie erano alla scala 1:1250, come quella qui sopra. Si adottò la Lira italiana al posto del fiorino. Il 28 novembre 1859 con la Legge organica delle Poste e si cominciò a pesare i pacchi in grammi e non più in libbre. Nei nuovi francobolli fu tolto il “Marzocco” e si mise lo stemma Sabaudo. In mezzo a tutti questi cambiamenti ci sarà stata anche della confusione, ma non più di tanto. Dai documenti si capisce che i nostri antenati furono più accorti di quanto non siamo stati noi nel 2002, quando si passò dalla lira all’euro. Nel dialetto locale è rimasto a lungo qualche ricordo delle vecchie misure. Per esempio a Marradi, finché c’è stata la lira, la moneta da “cinquecento” era da “zent scud” perché uno scudo granducale valeva cinque lire, e anche oggi si può sentire qualcuno dal fornaio che chiede “e mèz de mèz” usando la misura in quarti di chilo, se vuole un filoncino di pane da due etti e mezzo.

Tutto questo turbine di eventi ebbe compimento con il Plebiscito per l’Unità d’Italia, che in Toscana e in Emilia si tenne i giorni 11 e il 12 marzo 1860. Alla domanda: "Volete l’annessione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele, ovvero regno separato?" i marradesi risposero così: 1482 a favore e 95 contrari. Le donne non votarono, come di regola nell’Ottocento. Fu festa grande e dalla relazione del Vicario di Marradi apprendiamo che:
“Il 18 marzo 1860, ci fu il solenne Te Deum per il risultato del Plebiscito, per l’unione dell’Italia centrale alla Monarchia Costituzionale del Re Vittorio Emanuele. Furono anche incendiati fuochi pirotecnici. La festa fu protratta fino alle ore 10 di sera e vennero fatti unanimi evviva al Re, all’imperatore Napoleone III, al conte di Cavour e al Ministero Toscano”.

Bibliografia 1) Documenti dell’Archivio storico di Marradi. 2) Relazione del Vicario, da G.Matulli, La via del grano e del sale. 3) Carlo Mazzotti Il Monastero delle Domenicane di Marradi

venerdì 12 novembre 2010

PIANISTE della SCUOLA di MUSICA di FIESOLE suonano CHOPIN al TEATRO degli ANIMOSI

Marradi L. 08.11.2010

NEL TEATRO ANIMOSI UN CONCERTO DA NON PERDERE:
ballate, notturni, valzer e polacca di Fryderyk CHOPIN, come “cannoni sepolti sotto i fiori”.

Sabato 20 novembre 2010, ore 21.00, nel più antico e bel teatro dell’Appennino tosco-romagnolo ci sarà un evento musicale di alto livello nel quadro del programma culturale promosso dalla Provincia di Firenze sotto il titolo “IL GENIO NEL TERRITORIO”, “musica insieme”, al quale partecipa con entusiasmo ed impegno il Comune di Marradi. La perfetta acustica del teatro, dovuta ad un antico canone architettonico ancora insuperato, garantisce un ascolto limpido e avvolgente. L’ingresso è libero.

La scelta di Chopin non è casuale, ma è temporalmente causale perché quest’anno si celebra il bicentenario della sua nascita. Marradi è lieto di partecipare a questa importante ricorrenza con un programma di ottima scelta che include brani per pianoforte di grande intensità emotiva, interpretati da due giovani esecutrici, poco più che ventenni, ma con un curriculum già promettente ed ora attive presso la Scuola di Musica di Fiesole sotto la guida di Pietro De Maria e Bruno Canino, sommi maestri dello strumento preferito dal compositore polacco, tanto che i suoi lavori per strumento singolo e complesso orchestrale sono definiti concerti per orchestra e pianoforte perché lo strumento costruito per primo da Cristofori nel 1698 (chiamato inizialmente fortepiano) con Chopin diventa l’elemento concertante e l’orchestra interviene solo per dare spessore al suono e sviluppo alla forma-sonata.

I suddetti aspetti tecnici ed estetici sono ancora più comprensibili se si inquadra Chopin in brevi note biografiche e nel contesto territoriale, storico e culturale in cui egli operò: nacque a Varsavia nel 1810, un anno dopo Mendelssohn, e morì a Parigi nel 1849, due anni dopo lo stesso autore tedesco, di cui divenne amico proprio a Parigi. Entrambi hanno avuto vita breve, ma quanto Mendelssohn era “Felix” (nomem omen), vitalistico e itinerante, Chopin era meditabondo, pessimista e stanziale, un Leopardi della musica. Il suo carattere rappresenta la quintessenza dello spirito romantico “debole”, che muove la nostra tenerezza e commuove quando le note dei suoi lavori ci arrivano alle orecchie e invece di salire al cervello, vanno direttamente al cuore. La grandezza di Chopin sta proprio nell’apparente spontaneità delle sue melodie, nell’ingannevole facilità del motivo musicale. Se invece di “sentire” le sue ballate, i notturni, gli improvvisi, i preludi, le amate mazurche e polacche (omaggio generoso e spontaneo alla terra natale), “ascoltiamo” anzi ci concentriamo in meditazione sui suoi lavori, scopriamo che la spontaneità chopiniana è frutto di genio precoce e persistente associato a virtuosismo tecnico e la facilità è una complessità risolta. La nomea di Chopin salottiero, malaticcio, morboso e languido non riguarda la sola personalità del compositore ma quella di tanti letterati e artisti nati nel o intorno al primo ventennio dell’‘800, come Schubert, Baudelaire e il già citato Leopardi. A noi rimane per sempre il piacere dei suoi brevi e immortali lavori.

Siamo pronti ad ascoltare al pianoforte Gaia Federica Caporiccio e Irene Novi che fanno della loro giovane età una dote proprio chopiniana. Il loro curriculum ci fa sperare in un futuro ricco di progresso e maturità artistica. Attendiamo con impazienza la loro esibizione perché quando si parla di Conservatorio L. Cherubini di Firenze, dove si sono formate, e Scuola di Musica di Fiesole, dove stanno perfezionandosi, abbiamo la certezza che le radici e il tronco sono sani e nobili; saranno Irene e Gaia Federica a crearsi una bella e attraente chioma. Il terreno di coltura è fertilissimo: sulle incantevoli e blasonate colline nordorientali di Firenze sono nate iniziative musicali di grandissima fama: oltre alla già citata Scuola di Fiesole, L’Homme armé di Settignano e Radio Montebeni che ha trasmesso per decenni musica classica ogni giorno 24ore.
Antonio Moffa


PS: MARTEDì 16 NOVEMBRE, ore 20.30, in BIBLIOTECA ci sarà un incontro di preparazione al CONCERTO

mercoledì 13 ottobre 2010

LE STRADE PER GAMBERALDI

Un trekking su un'antica via percorsa
da chi voleva evi­tare
la dogana Gran­d
ucale
di Claudio Mercatali



Gamberaldi è una località meno isolata di quello che sembra. In questa cartina del 1822 la villa e il cimitero sono rappresentati in modo dettagliato perché il posto era importante. Lo storico Repetti, nel suo Dizionario del 1833 ci descrive que­sta località così:
“ … Gamberaldi (Campa­raldum o Campus Araldi) nella Valle del Lamone. - Monte e casale che ha dato il titolo a una parroc­chia (S. Matteo a Gamberaldi) sull' estremo confine della Romagna gran­ducale e della diocesi fioren­tina con il contado e diocesi di Faenza, a circa 3 miglia toscane a mae­strale di Mar­radi. Il monte di Gamberaldi è uno dei con­trafforti setten­trionali che si alzano fra il Senio e il La­mone nella Romagna toscana …”.
 
Qui siamo nel cuore del feudo di Maghi­nardo Pagani, che nel Trecento dominava questi siti ed è citato anche da Dante. La badia di Susinana, la sua di­mora preferita, dista pochi chilometri, attra­verso i monti. La viabilità della zona è un intreccio di stra­ducce e mulattiere da un crinale all’altro. Siamo al confine fra due regioni che erano due Stati, ai limiti dei comuni di Marradi, Pa­lazzuolo sul Senio, Brisighella e anche Casola Valsenio. Nella seconda metà del ‘300 Firenze si impadronì della zona, e così per quasi 500 anni fu di confine con lo Stato Pontificio. La li­nea di demarcazione è tracciata in bella evi­denza nelle antiche carte. Però la moltitu­dine di sentieri e stra­delli, fra val­lette e crinali permetteva di “filtrare” da uno stato all’altro con una certa facilità.
Per chi abitava a Gamberaldi il traffico “tran­sfrontaliero” un po’ clandestino dava un reddito per inte­grare gli scarsi pro­venti agrari. Insomma la zona si prestava bene al contrabbando e all’ eva­sione delle tasse di dogana e del dazio. La Roma­gna “esportava” il sale e il grano, la To­scana l’olio e il vino. Il Granducato di To­scana fino ad un certo punto tollerava questi traffici , un po’ come fa oggi l’Italia con chi va e viene dalla Sviz­zera. In fondo si trat­tava di commerci mi­nimi. Nel 1833 la parrocchia di S.Matteo a Gamberaldi aveva 102 abitanti.
 
A destra: la carta del catasto Leopoldino (1822) con la linea di confine con lo Stato Pontificio (zona di Valmìgnolo). A sinistra: la parte della villa di Gambe­raldi dei Fabroni. Sotto: lo stemma dei Pratesi. Sopra c'è scritto: Sebastiano di Antonio Pratesi, 16 maggio 1647

I signori di Gambe­raldi erano i Cavina Pratesi, originari della col­lina romagnola. Antonio del Me­nino, detto il Pratese, si sta­bilì qui nel ‘500. I Cavina Pratesi non erano nobili e tuttavia avevano si­gnorilità e buongusto, come di­mostra l’ottima fattura della villa di Gambe­raldi. Lo stemma di fami­glia è originale, per­ché ha una banda quadret­tata alla quale è sovrapposto uno zì­polo, ossia il tappo del foro da cui si spilla il vino dalla botte. Nella seconda metà del '700, nel corso di una furibonda lite fra parenti, uno dei Pratesi fu ucciso con una fucilata. I disaccordi interni indebolirono la famiglia e a Gamberaldi acquistarono importanza anche i Fabroni, che avevano delle proprietà nella zona. Per questo nel ca­seggiato della villa di Gam­beraldi ci sono gli stemmi di ambedue le famiglie.
 
Facciamo finta di essere dei contrabbandieri con un ca­rico di sale di Cervia e riper­corriamo una delle tante vie che permettevano di entrare nel Granducato di Toscana senza passare dalla dogana di Popolano di Marradi. Se­guiamo il percorso in questa carta topo­grafica (per vedere bene si può cliccare sulla carta e ingrandire).
Si parte dal cimitero di monte Ro­mano. Una stradina ci porta fino a Chiesiuola. Percor­riamo il crinale delle Salde fino al Pilastrino, dove c’è un tabernacolo posto in un crocevia al quale an­dremo dritti. Dopo un chilo­metro si arriva al confine granducale, che è segnato, ed è fatta.
 
Non rimane che scendere a Gamberaldi dalla strada dell’ Orticaia. Da qui, con una strada ripidissima si ar­rivava a Marradi, ma oggi la via è più comoda e asfal­tata. E’ difficile? No, e se uno non è tallonato dalla gen­darmeria pontificia non è nemmeno faticoso, per­ché si percorre un crinale a 700 – 800m di quota e i dislivelli sono piccoli. Si vede un bel panorama.
 
Qui accanto: Un vecchio cippo di confine con lo Stato Pontificio, uno dei pochi rimasti. Sopra: la cartina con il percorso del trekking (si può cliccare sulla carta e ingrandire).

Bibliografia Emanuele Repetti Dizionario geografico storico della Toscana, (1830). Notizie e documenti forniti da Vittorio Cavina Pratesi.

lunedì 11 ottobre 2010

IL LEAF WATCHING È VERMONT, ma L'OSSERVAZIONE DELLE FOGLIE È a MARRADI

Non c'è bisogno di fare 15.000 km (a/r) per ammirare le foglie d'autuno, basta andare sopra Crespino e in questi giorni si presenta uno spettacolo della natura che incanta anche chi non si ferma mai.
(Le foglie de) i ciliegi sono già tutti rossastri, gli aceri hanno colori che vanno dal verde ancora vivo al giallo, al marrone fino al rosso lucente. I carpini stanno ingiallendo, mentre i faggi sono pronti a dominare dall'alto con il loro giallo-oro tendente al marrone-terra. Nei versanti esposti a meridione il fogliame degli alberi, che hanno lottato per tutta l'estate contro la siccità, è già pronto per cadere in una tavolozza che esclude il verde, solo qualche ciuffo d'erba resiste nel suo smeraldo: le querce nane si sono già vestite di ocra, i frassini abbarbicati si esibiscono in livree fra giallo e carminio. Verso settentrione i castagni troneggiano ancora vestiti di pezze verdi e gialle. sul fiume gli ontani sono ancora ricoperti dalla livrea color petrolio e, a fianco i pioppi argentati hanno perso il loro prezioso colore come gli isolati ippocastani che si sono arrugginiti già a settembre (strano albero l'ippocastano: invecchia per primo, non è buono né per bruciare né come legno da lavoro, produce frutti che nemmeno gli animali mangiano, però dicono che se ne tiene due in tasca allontana il raffreddore e cura le emorroidi: quest'anno me ne sono messi un paio in tasca; il raffreddore l'ho preso subito, però l'altro male si è allontanato).
Manca solo il colore dei fiori, però lungo il fiume e nei giardini il topinambur con le sue colonie di lunghi steli, a cui sono attaccate foglie incinerate dall'umidità autunnale, è in piena fioritura, composta da grandi margherite gialle che si inchinano al pallido sole della stagione più colorata dell'anno.

venerdì 10 settembre 2010

UN REGALO DALLE ISOLE HAWAII PER DON ANTONIO SAMORI'

di Giuseppe Gurioli



Il cardinale Federico Cattani nacque a Marradi nel 1865 e morì nel 1943. E’ sepolto nella chiesa arcipretale davanti all’altare maggiore. La sua casa di famiglia era la villa di Stabbia, che è fra Fantino e Lozzole. La sua residenza cardinalizia era a Roma, ma ogni tanto tornava a Stabbia e di certo qualche volta sarà salito alla chiesetta di Lozzole, che è nel crinale lì vicino. Qui c’era un Gesù Bambino, di gesso e stoffa, che probabilmente è abbastanza vecchio.
Quando la chiesa fu abbandonata e andò in rovina fu trovato dalla signora Angela Maria Mugnai, pronipote del cardinale, e quando si trasferì in America, alle Hawaii, lo portò con sé. Ora è ritornato, da quelle isole lontane, perché la signora l’ha regalato a don Antonio, accompagnato da una generosa offerta in denaro per alcuni necessari restauri. L’apertura del pacco ha rivelato una piacevole sor­presa, perché è una manifattura veramente pregevole. Il biglietto che accompagna questo gradito regalo dice:
Ringraziando riporto il Gesù Bambino così come è stato trovato vent’anni o trent’anni fa fra le rovine della devastata chiesa di Lozzole e ringrazio per la cura che ne avrete dopo averlo ripulito e “rinforzato”.
Luglio 2010 Ex proprietaria di Stabbia Angela Maria Mugnai


E’ bel un riconoscimento per questo sacerdote, che ha praticamente ricostruito e dato nuova vita alle chiese di Trebbana, Gamogna e ora Lozzole, nella cui parrocchia si trova Stabbia. Occorre ricordare che per tutto questo don Antonio dal 2009 è cittadino onorario di Marradi.




Si ringraziano:

Domenica Pieli, che ha restaurato il Gesù bambino, Franco Lombardi per il sollecito interessamento a questa vicenda, e Claudio Mercatali che ha inserito l’articolo qui sopra nel blog della Biblioteca di Marradi.

giovedì 26 agosto 2010

EDMOND SCHMIDT VON SECHERAU


L'ultimo sindaco
di Marradi
(1922)
prima
del fascismo

di Claudio Mercatali


Il miele del colonnello
(da Tarabusi, Marradi com’era)


Il barone Edmond Schmidt von Secherau nacque a Vienna nel 1872 e morì a Marradi il 5 giugno 1944. La prima cosa che dicono gli anziani che si ricordano di lui, è che da giovane era stato uffi­ciale dell’esercito austro ungarico, ma non è vero e dall’Anagrafe risulta che era un ex colonnello dell’esercito italiano che aveva fatto l’Accademia a Modena. Il padre era austriaco e la madre, Anna York, americana. Dal 1912 abitò a Biforco, però oggi nessuno in paese sa dire come vi sia capitato. Non ci sono ricordi particolari di sua moglie, la principessa romana Leopoldina Ruspoli. C’è invece il ricordo di sua figlia Marcella, una ragazza bionda che negli anni Trenta sposò Angelo Gonnelli, un giovane imprenditore del paese che poi fece il sindaco per tanto tempo a S.Godenzo.
Nel primo Novecento a Marradi la gente parlava quasi solo in romagnolo e il suo nome era troppo difficile, perciò Schmidt piano piano divenne Smic e con questa specie di soprannome è ricordato anche oggi. Abitava in una villa all’uscita di Biforco verso Camurano, e dove ora ci sono i giardini pubblici c’era il risedio di casa sua. Infatti il posto è noto come “ort de smic” (orto dello smicco). La villa era dove ora ci sono le case popolari e fu distrutta da una bomba d’aereo nel 1944. Gli anziani di Biforco ricordano che nel parco c’era una bella voliera e anche una gabbia con le scimmie. Que­sto terreno fu donato al Comune dalla figlia dopo la morte del colonnello.



Edmond a caccia
nei monti attorno a Marradi


Lo Smic si inserì benissimo nella vita del paese, come se fosse nativo. Nel 1916 e 1917 ebbe l’incarico di sorvegliare e tenere occupati i prigionieri austriaci, a Urbania, (Urbino). Un gruppo di loro, spedito a Marradi, costruì il muro all’ inizio della strettoia di Camurano. In una pietra era in­cisa la scritta “i prigionieri austriaci anno 1917”.
Era un abile apicoltore e la sua produzione di miele centrifugato riscuoteva un buon successo, però campava da “benestante” cioè di rendita o forse della sua pensione di ufficiale. La passione per le api fu probabilmente il motivo del suo trasferimento da Firenze a Marradi.
Alto, con la barba, d’aspetto severo e di carattere autoritario, era proprio come noi italiani immagi­niamo che siano un po’ tutti i tedeschi. La nipote dr.ssa Leopoldina Gonnelli racconta che coman­dava tutti e aveva abituato i suoi cani da caccia ad andare alle ciotole uno alla volta al momento del pasto. Era quello che si dice una persona seria e infatti fu rispettato e stimato. Lo Smic fu a capo del Comune per un anno e mezzo, dall’ottobre 1921 al marzo 1923. La sua Amministrazione era Social popolare, cioè formata dai Socialisti di Turati e dal Partito Popolare di don Sturzo. Questo aumen­tava di parecchio le sue difficoltà perché i fascisti premevano per le sue dimis­sioni. Il PPI e il PSI assieme avevano una larga maggioranza (vedi qui sotto) ma non erano d’accordo su nulla, a livello nazionale e di riflesso anche nelle amministrazioni locali.

I RISULTATI DELLE ELEZIONI POLITICHE A MARRADI (da Romagna Toscana)NOTE Le donne non vota­vano. Il PCI nel 1919 non esisteva. Il Blocco Nazionale era una formazione fascista presente per la prima volta nel 1921.

Negli anni 1919 e 1921 gli iscritti nelle liste erano rispettivamente
2980 e 3007 e i votanti furono 1103 e 1715. I vari partiti ottennero
questi voti. I risultati del 1921 sono fra parentesi:

liberali 163 (- ) Part. popolare PPI 493 (597)
Part. socialista PSI 387 (392)
Part. comunista PCI - (265)
Blocco nazionale - (372) Altri 60 (89)

Che cosa si sa dell’ultima amministrazione comunale prima dell’avvento del fasci­smo? Nell’Archivio del Comune ci sono i verbali dei Consigli del 1922 e a leg­gerli si scoprono tante cose. Al Consiglio dell’ 11 ottobre 1921 fu eletto il sindaco. I ventitré consiglieri presenti votarono tutti per lo Schmidt, mostrandosi d’accordo una volta tanto, ed egli li ringraziò: “… ringrazio il Consiglio per la prova unanime di stima che mi è stata data eleggendomi a Sindaco, che mi rincuora ad accettare l’onere dell’Ufficio fatto oggi, specialmente per le difficili condizioni economiche in cui versa il Comune per le sempre crescenti spese e le non corrispondenti entrate …”



Il Foro Boario prima della

costruzione dei
giardini del monumento.

L’Amministrazione gestiva l’ordinario e aveva poca forza per fare di più. Il Sindaco decideva con cautela, e rassicurava chi chiedeva spiegazioni o esprimeva dubbi. Insomma il signor Schmidt “navi­gava a vista” e teneva un profilo politico basso, ma in quei tempi cupi che altro avrebbe potuto fare? Però sui temi amministrativi aveva le idee chiare. Per esempio era contrario alla costruzione dei “giardini del monumento” lì dove sono ora, perché trasformare il Foro Boario in Parco della Memoria avrebbe congestionato il paese nei giorni di mercato.

L’AVVENTO DEL FASCISMO A MARRADI
aprile 1921 Si costituisce il Fascio di Marradi
maggio 1921 Il marchese Dino Perrone Compa­gni, dirigente
fascista, incita all’azione dal balcone di Palazzo Fabroni.

maggio 1922 A Biforco Socialisti e Comunisti in­nalzano
una bandiera rossa sorvegliata da gente armata.

marzo 1923 il Partito Nazionale Fascista (PNF) vince
le elezioni amministrative. Si forma un Con­siglio Comunale
quasi tutto di fascisti. Però questa tornata elettorale
è di validità dubbia, perché si tiene dopo la Marcia su Roma.

Come amministratore sapeva bene che nelle casse del Comune non c’era nemmeno un soldo e non era sem­plice trovare dei finanziamenti per la sua tra­ballante Amministrazione. Nonostante ciò riuscì a ottenere qualche risultato e nel mag­gio 1922 fu completato il primo blocco delle Case Operaie, che erano al ponte di Villan­ceto dove sono quelle odierne. Inoltre il 10 dicembre 1922 prese forma il Consorzio di Comuni per costruire la strada di S.Benedetto. I sindaci di Tredozio e di Portico erano venuti a Marradi e avevano accettato di sottoscrivere un grosso impegno finanziario, assieme al Comune di Marradi, ma i lavori iniziarono nel 1924 – 25 con la successiva amministrazione.
PRESENZE AI CONSIGLI CO­MUNALI DEL 1922
Dati dell’Archivio storico (gli assenti sono in grassetto)
25 febbraio 16 - 13 , 29 aprile 19 - 10 , 15 maggio 20 - 9 ,
5 luglio 17 - 12 , 16 luglio 15 - 14 24 luglio 15 - 14 ,
21 settembre 15 - 14 , 24 settembre 17 - 12 ,
10 dicembre 14
- 14 , 8 gennaio1923 8 - 20

Dopo la marcia su Roma, il 24 – 28 ottobre 1922, qui in paese la situazione politica per i Social popolari volse rapidamente al peggio e si faceva sempre più fatica a raggiungere il numero legale per fare i Consigli comunali. Stava per finire un’epoca e per iniziarne un’ altra. Siamo ad uno dei punti chiave della storia del Novecento e il signor Schmidt ebbe la ventura di trovarsi proprio in mezzo a questa situazione, perciò ci interessa lui e la sorte del Comune. L’avvento del fascismo a Marradi non fu violento come in altri posti e tuttavia il clima in paese doveva essere pesante. Nella seduta del 10 dicembre 1922 c’erano 14 consiglieri presenti e 14 assenti, e dunque il numero legale fu raggiunto appena appena. Nel Consiglio successivo i presenti erano solo otto e la seduta non ebbe luogo. Siamo giunti alla fine del 1922, alla fine del libro dei verbali e anche alla fine della democrazia. Edmond Schmidt von Secherau rimase in carica ancora due mesi e poi si dimise perché il suo mandato era finito e si tennero le nuove elezioni, che furono vinte dai fascisti.

IL 1922 VISTO DAGLI ALTRI (I FASCISTI)
La locale segreteria del PNF (Partito Nazionale Fascista)
descrisse così i fatti del 1922 a Marradi,
in un discorso pubblico tenuto qualche anno dopo:

“… Rossi e Bianchi spadroneggiavano, contendendosi il favore delle masse, i buoni borghesi assenti e timo­rosi, i più ormai sfiduciati e rassegnati. Era il tempo della bestia trionfante. Il piccolo nucleo fascista tenne audacemente il campo; vi furono polemiche, minacce, contese, imboscate, senza, per puro caso, man non certo per buona volontà dei nostri nemici, che avvenissero fatti tragici… ma come altrove anche a Marradi il Fascio aumentava sempre più la sua efficienza, il suo potere: furono così ben presto disperse le leghe e le cooperative rosse e bianche, finché nell’occasione della Marcia su Roma, fu dato il colpo di grazia all’ultimo residuo di potenza del sovversivismo locale, col rovesciamento dell’Amministrazione Comunale social popolare …”
Marradi, Casa del Fascio, 30 novembre 1930

Bibliografia E.W. Secherau Della fecondazione dei fiori per mezzo delle api Boll.Soc. Ort. Firenze 1910. Archivio storico del Comune. Notizie fornite dalla famiglia. Sito www florin.ms/alloriS.html. Ricordi di persone di Biforco.