Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

venerdì 29 giugno 2012

Il terremoto del 1919 a Marradi



 La scossa e i primi soccorsi
di Claudio Mercatali


Il terremoto del 29 giugno 1919 colpì una vasta area dell' Appennino Tosco Emiliano e in particolare il Mugello. Le prime scosse, con epicentro a Vicchio, si avvertirono nella mattinata. La maggiore, 6.2 della magnitudo Richter, ebbe origine da un ipocentro a 5 - 10 km di profondità e fu avvertita poco dopo le tre del pomeriggio.

Il bilancio fu drammatico: cento morti, quattrocento feriti e migliaia di senzatetto. Il paese di Vicchio e le sue frazioni fu duramente colpito; nel capoluogo vennero distrutte 700 case su 1500. Rimase lesionata anche la casa natale di Giotto, a Vespignano. Gravi danni si ebbero anche a Borgo S.Lorenzo, dove oltre il 75% delle case fu dichiarato inagibile e crollò il ponte sulla Sieve. A Dicomano, crollò la Torre dell'Orologio. L'ospedale di Luco venne evacuato. Si registrarono danni in quasi tutti i comuni della Romagna Toscana, fino a S.Sofia, che allora era in provincia di Firenze.
 
Come andarono le cose quel giorno a Marradi? Che cosa successe nei mesi e negli anni successivi? Nell' Archivio storico del comune ci sono tanti documenti e si possono ricostruire gli eventi con precisione.

Ai primi di luglio il Prefetto di Firenze scrisse questo telegramma 
a Palmerino Mercatali, sindaco di Marradi, e gli chiese 
l'elenco delle vittime.

Così sappiamo che morirono Giovanni Silvagni, un frate cappuccino di Faenza e il suo chierichetto Aristide Vespignani, di 10 anni. Antonio Ronconi fu ferito alla testa dalla caduta di calcinacci e Dino Bambi ad un braccio. Il frate e il chierico erano in chiesa al momento della scossa e furono colpiti dalle macerie del tetto crollato su di loro.

Come si può leggere qui a sinistra, in quei giorni arrivarono tanti telegrammi di solidarietà, anche da molto lontano.



A destra: Il Ministero dell'Interno,
 la Banca d'Italia e il Re personalmente 
inviarono dei soldi per i primi aiuti.



Qui sotto: L'Amministrazione Comunale era in piena attività e il sindaco Palmerino Mercatali
 chiese l'invio di trenta carrozze ferroviarie per alloggiare gli sfollati. Era un' ottima idea 
ma dalle Ferrovie fecero sapere che non c'erano abbastanza carrozze per tutti i comuni 
e in altri luoghi l'emergenza era più grave.





A destra: E allora i senza tetto si dovettero accontentare di una trentina di tende dell'esercito.





 Per leggere questi documenti clicca sopra con il mouse

A sinistra: la sistemazione in tenda qui da noi è una soluzione 
solo per i mesi estivi e quindi il Comune, con questo bando, 
chiese la restituzione delle tende entro il 15 di settembre.



Come sempre in questi casi, con il trascorrere dei mesi l'attenzione dell'opinione pubblica venne meno e con essa anche l'impegno sollecito che si era manifestato subito dopo l'evento. Ad un certo punto il sindaco di Borgo S.Lorenzo, Pietro Caiani, prese l'iniziativa per una protesta e invitò gli altri comuni ad aderire, perché lo sforzo fosse unitario.
Parteciparono tutti, anche quelli oltre l'appennino: Marradi, Palazzuolo, Rocca S.Cassiano, Modigliana, S.Sofia e anche Brisighella.


A sinistra:
una lettera di sollecito
del sindaco di Borgo S.Lorenzo, 
Pietro Caiani agli altri comuni.

A destra: L'adesione dei comuni 
della Romagna Toscana comunicata 
al comune di Marradi.


 
Si decise che, per avere maggiore potere contrattuale e gestire assieme la ricostruzione, era opportuno costituire un Comitato Permanente, che nacque nel gennaio 1922, come si legge qui accanto a sinistra.


 

Il nuovo sindaco di Marradi, il colonnello Edmond Schmidt von Secherau aveva il suo daffare per gestire la ricostruzione e non mancò di sollecitare i proprietari perché non lasciassero trascorrere il tempo invano. Ecco  un bel manifesto, chiaro nella forma e nella sostanza.


I danni a Marradi
 

 I danni in paese erano stati tanti, 
come si può leggere nel documento qui accanto.

A Lutirano il sisma aveva colpito con particolare violenza e lo Stato concesse i contributi per costruire un blocco di case popolari, che sono quelle in cui poi venne aperta la scuola elementare.

 
Il terreno fu donato dal sig. Filippo Ronconi Albonetti, un imprenditore 
di Modigliana  che scrisse al Comune di Marradi questa lettera.



 
Nonostante tutto questo, diverse categorie di persone non riuscivano a rimediare ai danni, per povertà o difficoltà famigliari. Allora lo Stato promise la ricostruzione gratuita per le vedove e gli orfani di guerra e per gli invalidi. Non dobbiamo infatti dimenticare che la Prima Guerra Mondiale era appena finita e qui in paese c'erano stati trecento morti e altrettanti feriti. Ecco qui accanto la lettera della Regia Prefettura di Firenze al Comune di Marradi che parla di questo.

In caso di sisma le chiese sono senz'altro fra gli edifici più a rischio, perché hanno dei grandi spazi interni. Nel 1919 tutte quelle del comune di Marradi furono danneggiate, come risulta dal documento qui accanto e nella chiesa arcipretale del capoluogo crollò il campanile.


 




A destra: il conto definitivo per la ricostruzione del campanile della chiesa arcipretale.



 


A sinistra: il campanile prima del 1919 (sopra) e dopo. L'aspetto attuale si deve ad altri lavori fatti negli anni Settanta.


 Furono danneggiate quasi tutte le chiese del comune di Marradi, in maniera tanto più consistente quanto più erano vicine al crinale appenninico, prossimo all'epicentro del terremoto.

Le distruzioni maggiori si ebbero a Casaglia, che praticamente venne rasa al suolo, come si vede in queste fotografie.

 





Fonti: documenti dell'Archivio storico del Comune ricercati dall'archivista sig. Mario Catani.





domenica 24 giugno 2012

S.Giovanni, patrono di Firenze


I doni dei Comuni nel '400
di Claudio Mercatali



Il patrono di Firenze è S.Giovanni Battista, 24 giugno. Si hanno notizie di festeggiamenti in suo onore dal XIII secolo. Il cerimoniale era sfarzoso e aveva diversi significati. Il primo era senz' altro religioso, ma era importante anche tener vivo lo spirito di campanile e il senso di appartenenza, che i Fiorentini hanno ben radicato anche oggi. C'era anche un significato politico, che ci interessa ora. Però prima di andare avanti, leggiamo in che cosa consistevano e in parte consistono anche oggi i festeggiamenti del 24 giugno.



Da Firenze vecchia (1799 - 1859)   di Giuseppe Conti: 
"Al tempo della Repubblica, per ordine della Signoria, Il Podestà aveva l'obbligo, un mese innanzi, di far bandire la gran festa in tutti i borghi principali della città e di notificarla "ai nobili ed ai signori del contado, siccome ad ogni altra persona che dovesse offrire ceri, paliotti, ed altra cosa". Nella mattina del 24 giugno la Signoria stessa riceveva l'omaggio delle città e delle castella sottoposte alla Repubblica. 

A Palazzo Vecchio, la Signoria, la mattina di San Giovanni stava a ricevere gli omaggi in ringhiera, la quale consisteva in tre gradini che circondavano il palazzo. Mentre la Signoria era in ringhiera, tutta la piazza era pavesata, e per terra si spargeva la fiorita. Presso i Signori stava una guardia di soldati armati a cavallo, e sulla piazza si recavano anche molti giovani gentiluomini, che duravan fatica a passare in mezzo alla folla enorme di popolo ivi accalcato.
Attorno alla ringhiera eran disposti cento palii di broccato d'oro o di velluto foderati di pance di vaio, offerti dalle città, dalle castella, dalle terre e dai signori soggetti alla Repubblica.
Questi palii erano sostenuti da altrettanti donzelli, in ricchissima assisa di seta bianca, su cavalli festosamente parati con gualdrappe dorate, e venivano portati a San Giovanni, dove si infilavano in tanti anelli di ferro, e vi si conservavano per un anno, togliendo via via quelli dell'anno precedente, che divenivano proprietà dell'arte di Calimala, la quale se ne serviva per addobbare la piazza in occasione di pubbliche feste. Di altri se ne facevano paliotti da altari e paramenti, o erano venduti all' incanto".

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L'invito a Firenze per S.Giovanni era un atto politico importante, un suggello per i patti che i vari comuni avevano con la città. Chi non riceveva l'invito dal Podestà era in disaccordo con la Signoria e questo era un brutto segno. Anche i comuni della Romagna Toscana offrivano un cero fiorito o un palio ricamato. Guai a dimenticarsene! Il donzello comunale andava a Firenze con il palio, sfilava e tornava a casa dopo aver fatto registrare la sua presenza nell'Archivio delle Riformagioni, per dimostrare che aveva assolto l'obbligo. Così oggi nell'Archivio di Stato di Firenze si trova il regesto (il riassunto) di questi atti.











Clicca sui documenti
per ingrandirli


Ecco qui accanto i mandati del 1423
 dei Comuni di Modigliana, Castrocaro e Tredozio


In quegli anni Marradi offriva il Palio per S.Giovanni?
I documenti dicono di si, come si vede qui sotto, perché Ludovico Manfredi, signore del Castellone, in lite perenne con i suoi parenti di Faenza, era un vassallo di Firenze. Poi ci furono dei cambiamenti ...



L'8 marzo 1425 i Fiorentini si accordarono con Guidantonio Manfredi, signore di Faenza, che offrì l'accomandigia (l'assoggettamento) dell' alta valle del Lamone e dell' Acerreta in cambio del riconoscimento della sua signoria su tutto il resto. 
In pratica questo accordo segnò il passaggio di Marradi e Modigliana a Firenze.

 A destra: Ratifica dell'accomandigia (assoggettamento)
 fatto da Guido Antonio Manfredi 
a favore di Firenze.


Nel 1425 Ludovico del Castellone fu invitato ancora una volta a Firenze per S.Giovanni, ma il suo tempo era scaduto. La Signoria ormai preferiva i Manfredi faentini. L'archivista registrò la sua presenza, ma annotò che rappresentava i "Manfredi bastardi di Marradi" e non quelli veri di Faenza (leggi qui accanto).
Ludovico cercò di opporsi a tutto questo ma nel 1426 fu arrestato e imprigionato nel carcere delle Stinche, a Firenze, dove rimase per più di trent'anni. Quell'anno l'invito fu rivolto a Guidantonio Manfredi, che mandò il suo palio a suggello del nuovo accordo (vedi qui a destra). Poi nel 1428 Marradi e Modigliana passarono sotto Firenze.

Fonte: Documenti originali dell'Archivio di Stato di Firenze, complesso documentario detto Diplomatico vol.3 doc. 319, vol.4 doc. 19,32,39.


mercoledì 20 giugno 2012

1939 La frana di S.Cassiano


Una colata di fango 
scende fino al 
Lamone
da un racconto di Pino Bartoli


La lingua della frana
nel Lamone



La zona di S.Cassiano è un punto debole della valle del Lamone sotto l’aspetto geologico, perché nel versante destro (per chi guarda verso Faenza), ci sono dei forti spessori di terra che tendono a franare scendendo fino al Lamone in caso di piogge prolungate. Qui le frane sono state tante e quelle più consistenti in epoca storica si verificarono nel 1690 e nel 1939.


Ecco il ricordo del maestro Pino Bartoli sulla frana di S.Cassiano del 1939:
“Una pioggia di notevole intensità cadeva da oltre un mese sulle nostre colline. I contadini non erano tanto preoccupati dal pericolo frane, ma piuttosto temevano che il vecchio detto “maggio ortolano, molta paglia e poco grano” si manifestasse nella sua realtà negativa (…) Ma il giorno 29 maggio, nelle prime ore pomeridiane, la terra “ubriacata” da tutta quell’ acqua bevuta, si ribellò alla prepotenza di Giove pluvio.
Un boato spaventoso in poco tempo fece accorrere tutti i sancassianesi – c’ero anch’io fra questi – lungo la strada prospiciente le colline che si ergono sopra la sponda destra del fiume Lamone. Una frana enorme stava trascinando a valle, per una larghezza di circa 400 metri, una massa imponente di terra e le case dei poderi abbarbicati da anni e anni su quelle pareti collinose incominciarono ad oscillare.   




Si lavora per riattivare
la ferrovia


La Paventa, la Tesa, Tramonto, Tramonto nuovo, la Canova e la Sganga stavano per es­sere distrutte, inghiottite dalla frana che len­tamente scivolava verso il Lamone e la linea ferroviaria Faenza – Firenze (…). La frana si muoveva piano piano, ma inesorabilmente, e in tutti noi subentrò il terrore che andasse a ostruire il corso del Lamone in piena. Se ciò si fosse verificato in poco tempo i poderi Casac­cia, Camminata, Camminatella, la centrale elettrica, la stazione e diversi caselli delle Fer­rovie dello Stato, posti a poca distanza dal greto del fiume sarebbero stati sommersi.
Miracolosamente il “varo” di quella mostruosa nave di terra si fermò sulla sponda del Lamone: però un lungo tratto della linea ferroviaria venne sepolto e occorsero mesi e mesi di lavoro per ripristinare la ferrovia tosco romagnola. Il contadino della Canova, Bandini Giuseppe detto Fafina venne trascinato a valle aggrappato a una quercia, rimanendo illeso ma in preda a uno choc che lo rese frastornato per settimane. La sua spaventosa vicenda venne immortalata nella prima pagina a colori della Domenica del Corriere dal famoso disegnatore Beltrame.

 


Fafina travolto dalla frana
 (dalla Domenica  del Corriere)



Il giorno si scioglieva in un penoso dilapidare d'indachi e verde grigio. La pioggia era cessata e una nebbiolina lieve adagiava il manto della sua bambagia sugli uomini e sulle cose. La luce del meriggio sfioriva come un lento morire e il tenero filo s'avvolgeva attorno ai rami spogli e su saponate facce di galestro. Poi venne il buio. Il silenzio greve della notte, rotto solo dai muggiti delle bestie impaurite ed affamate, scese sulla natura e sugli uomini sconvolti, mentre sull'orlo della frana gli alberi divelti sembravano portici contorti.



Vecchi contadini anneriti
accennavano segni di croce
sulle ossa di spalle piegate
e sul vuoto di pipe spente
Sulla nudità della terra offesa
e su massi come falde di fuoco
domani, una lenza leggera di seta
pescherà la fiammata dell'alba.


L'aspetto attuale della zona della frana


E la prima alba vide infatti toppe di un grano immaturo, rimaste miracolosamente in superficie, splendere sulla terra stravolta con il colore verde della speranza. E allora pensai che "domani" sarebbe stato di nuovo bello rotolarsi su prati caldi come un sorriso perché, come ci dice D'Annunzio:

... il sol di maggio
ride alla rotta nube.


Bibliografia  AA.VV   Il rischio di frana nelle valli faentine Lions club Faenza
NOTA: Giuseppe “Pino” Bartoli, (Brisighella 1920 - 2004) partigiano della formazione “Silvio Corbari”, a Brisighella è stato sindaco e Presidente della Comunità Montana. Poeta in lingua e vernacolo nonché prosatore, si è affermato in molti concorsi letterari. Cavaliere della Comunità Poetica Europea ha conseguito per due volte l’Oscar di Letteratura “Romagna”.



domenica 17 giugno 2012

Il tiglio


Un albero molto amato
dai marradesi
di Claudio Mercatali



Il tiglio è una pianta della famiglia delle Malvacee. Il nome deriva dal greco ptilon (=ala), per la caratteristica aletta che favorisce la diffusione eolica dei grappoli di frutti. E' un albero longevo, che vive circa due secoli. A Marradi è una pianta che è sempre piaciuta molto, tanto che nel perimetro del paese ce ne sono circa duecento, quasi tutti secolari. I più vecchi sono quelli del Viale della Stazione, che vennero piantati qualche anno dopo la costruzione della ferrovia Faentina, negli anni 1890 - 1895 e quindi hanno circa 120 anni.

Fiorisce all'inizio dell'estate, facendo delle infiorescenze, poco appariscenti ma molto profumate. L'odore delicato che si sente nei viali del paese in giugno è dovuto proprio a queste. Nell'Ottocento il Comune deliberava ogni anno il prezzo per la vendita dei fiori, dai quali si ricavavano delle essenze profumate e anche degli infusi.
Per realizzare due tazze di infuso di tiglio servono due manciate di fiori freschi, o una manciata di fiori secchi, conservati in una bottiglia chiusa ermeticamente. Si fa bollire un tegamino d'acqua zuccherata e poi si versano i fiori. Si lascia bollire qualche minuto e poi a riposo per un quarto d'ora.
Alcuni buongustai assicurano che il sapore migliora se si dolcifica con il miele, altri preferiscono zuccherare con il fruttosio.
Chi ha ragione? Gli antichi Romani dicevano: "de gustibus non est disputandum" sui gusti non c'è da discutere.

I tigli lungo il viale 
della stazione
di Marradi, oggi 
e nel 1930.



Che proprietà ha questo infuso?
Gli esperti dicono che la tisana di tiglio contiene l'olio eterico che, assieme ad altre essenze idrosolubili, è un lenitivo antispasmodico (contro la tosse) e ha un effetto rilassante (favorisce il sonno). Inoltre rilassa i muscoli, ed è efficace in caso di crampi.

martedì 12 giugno 2012

Le radici e le ali


di Renato Pontiroli



Questo brano è tratto dal libro "Da piazza Navona agli Appennini, dagli Appennini a Piazza Navona", cronaca, storia, documentazione, testimonianza della dantesca valle dell' Acquacheta a cura del Collettivo "Zappatori senza padroni G. Winstanley" della cui lettura devo ringraziare Marcello Baraghini, mitico editore di Stampa Alternativa per averlo editato nel 1980 e per avermi fornito la fotocopia.
...   ...

"A metà degli anni 60 la contro cultura americana (underground, beat generation, hippies) divenne il punto di riferimento che permise la nascita di un movimento controculturale in Italia. Sono i poeti beat (Ginsberg, Kerouac, e i poeti-studiosi Gary Snyder e Alan Watts), i musicisti d’avanguardia (John Cage), l’arte americana dal quaranta al cinquanta (Gottlieb, Still, Kline, ecc.), la generazione hippie, lo stimolo per un differente immaginario che verrà in seguito arricchito dalla conoscenza delle culture dei popoli nativi (in modo particolare quella degli Indiani d’ America)e dai Viaggi On the Road.
Dal 68, con la nascita dei gruppi extraparlamentari a forte componente ideologica, l’area controculturale, fantasiosa e immaginifica si disperde per vie carsiche per poi riapparire a metà degli anni 70. Dal “movimento del 77” viene l’intuizione e la domanda: “quale sviluppo per quale futuro” a cui la classe politica e culturale non seppe rispondere.
In quell’anno iniziò l’esodo invisibile e dimenticato verso i luoghi abbandonati dal moderno, del ritorno alla pratica di uno stile di vita, di un rapporto con la Terra che oggi, con differenti nomi, stà alla radice delle nostra convinzioni e visioni. Nasce in quell’anno, al Convegno contro la Repressione a Bologna, il coordinamento “Alimentazione naturale Controinformazione Vita in campagna” che darà vita al bollettino TAM (Terra, Alimentazione, Medicina) che nell’82’ diventerà AAM Terra Nuova … poi i campi Bioregionali e P. Berg in Italia. I giovani dell’Acquacheta si chiamavano “Zappatori” ovvero Diggers, dal movimento comunitario inglese del 1600, Diggers era anche il movimento comunitario e controculturale in cui militava P. Berg negli anni 60’…
Di quegli anni c’è stata una rimozione generalizzata e devastante, e questo mi ha spinto ad iniziare un lavoro di recupero di quei “fiori di Guttemberg”, dei racconti orali, delle immagini di quel periodo.



Pian Baruzzoli, anni Settanta


1977, Aprile. Arrivano Rino e Gianbardo a visitare Pian Baruzzoli. Le case sono circondate sino alle soglie da sterpi, ortiche e rovi. All’interno, al primo piano, qualcuno si è portato via un intero camino. I tetti sono disastrati, le tracce di umido denotano infiltrazioni di acqua. Una delle poche stanze abitabili è completamente nera di fumo; è stata usata per far seccare le castagne. La sorgente ed il relativo serbatoio (il “pozzo”) è otturato ed all’interno si trova una pecora morta (…)




Maggio. Arrivano Jerri, Vitalino e Massimo reduci dall’ennesimo tentativo di comune agricola vicino a Modigliana. Ci si da dafare per allargare lo spazio abitabile, si raccoglie legna secca, si inizia a costruire uno steccato intorno ai due orti in quanto Jerri porta con se la capra “Cipollina”, che sin da piccola lo segue come un cagnolino. Si accelerano i tempi e pur in ritardo si semina tutto il possibile. Il lavoro è duro, la terra è bassa; e si deve anche fare dell’artigianato per rimediare i soldi necessari per l’alimentazione e le zappe. Si progetta di costruire letti di legno e nel frattempo si portano su per l’Arrabbiata alcuni materassi. L’entusiasmo è grande, come quando ci si mette a dissodare terre vergini (…)

Giugno-Luglio. Arrivano Ulisse, Adriano, Maurizio e Franchino da una comune vicino Vercelli (…)


A destra: Gli Zappatori in una manifestazione di protesta a Montalto di Castro (Roma) un sito dove alla fine degli anni Settanta era prevista la costruzione di una centrale nucleare.


Agosto. Verso la Sicilia a far tappeto e qualche lavoro nero. Ci si ferma a Montalto di Castro dove è in corso la manifestazione contro la centrale nucleare. L’arrivo è una vera festa, si inizia a preparare minestroni vegetali per tutti a pagamento o no. Si fanno infusi di cavoli e fumi per gli ammalati della “Casa dei pidocchi”, si canta e si balla sulle terre dove dovrebbe sorgere la centrale. La sera prima della manifestazione si dipinge a colori psichedelici un carrettino e la mattina dopo alla manifestazione lo si trascina sotto la pioggia tutti dipinti ed armati di pannocchie insieme a Tony, Aria e le sue erbe…

1979, Febbraio. Con la neve viene data la prima vangata a “Trafossi … Arriva la Stefania, conosciuta da poco a Bologna, vola sulla montagna con una gamba sola, e propone di acquistare una mucca (…)

Maggio. Il comune di San Benedetto ha terminato un sentiero che corre lungo l’Acquacheta. L’afflusso dei turisti è continuo, capita spesso di fare da guida. Combattiamo ormai su più fronti, verso l’esterno per realizzare il parco e fermare la strada della forestale che avanza ignorando la nostra esistenza e distruggendo montagne, alberi rari e mulattiere (la Luna entrerà ufficialmente in pensione), all’interno per auto regolarci con il “nudismo”, la pulizia e le discussioni. Si va a vangare anche alle “Cortecce”. La cucina “B” ha riaperto per i nuovi arrivati. Il 4 maggio grande sbornia dei trafossiani a Ravenna all’ osteria dei “I Milner” (i mugnai) poi dal notaio a fare la coop. lavarsi i capelli, fare il bagno e fregare scatoline (sempre dal notaio). La coop. è formalizzata, unico oppositore è Bobo che dopo Ravenna, dorme alla “Ca Brenzica” giù dall’Arrabbiata, poi parte per il mondo.

Estate. Inaugurazione ufficiale di “Trafossi” con gli “Area” che si portano gli strumenti in spalla su per l’Arrabbiata. Ci si reca al festival dei Poeti a Castelporziano a fare tappeto. I raccolti sono abbondanti, l’afflusso dei turisti nella valle è continuo e riceviamo scolaresche, cacciatori, colonie, pescatori, preti, boy-scouts e naturisti.
Intanto la strada della Forestale avanza con l’intento di riempire la valle di rumori, trattori e di mucche (ne vogliono mettere duemila quando tutti si rendono conto che le 150 presenti sono anche troppe). Le nostre proteste per la costruzione e della strada si fanno più accese, a Bologna raccogliamo centinaia di firme alla festa dei naturisti e presentiamo insieme ad altre forze un progetto per il parco a “misura d’uomo”. Andiamo al festival del teatro a Santarcangelo di Romagna dove naturalmente diamo spettacolo (come sempre) e ci godiamo la scena della gente che va a vede re Dario Fo dove non è. Dipak Das parte per l’ennesima volta per l’India.

Autunno. Si vanga in gruppo con chitarre e vino, sia a Pian Baruccioli, sia ai Trafossi, sia alle Cortecce. Le capre sono ormai una decina. Alcuni proprietari ci denunciano per “associazione a delinquere, danneggiamento, furto e occupazione di proprietà privata a scopo di lucro”, hanno fatto pressione anche su chi non intendeva denunciarci. Periodi di pioggia per continuare a vangare e zappare, periodi bagnati per la legna e freddi per via della neve.
Autunni magici con le montagne intorno piene di colori che cambiano ogni giorno, da mattina a sera. Nuvole cariche di pioggia, che si formano salendo dal fiume in uno spettacolo fantastico che convinse il Dante a vederle in formazione come le fiamme dell’inferno, e la cascata in mezzo, tra un girone e l’altro. La pioggia che cade e noi tutti chiusi in casa, nella cucina, al caldo, usciamo solo per dare da mangiare agli animali. Intanto si mettono sotto vaso i prodotti dei campi per l’inverno, si sgranocchiano pannocchie, si cuce, si balIa, si canta. Fuori la pioggia cade e formando ruscelli che vanno verso la valle portando la terra con se. i canali nei campi sono stati fatti. Intanto alle Cortecce arrivano i carabinieri e prima diffide poi fogli di via. Si ricomincia, si cercano avvocati a Firenze e non si trovano, si fanno comunicati stampa, si cerca di rendere pubblico il fatto.

Inverno. Per le Cortecce tempi duri, si corre alle radio libere, si cerca di fare articoli sui giornali, si fa lavoro nero e artigianato per avere di che mangiare. Ci si aiuta tutti, ... A Trafossi si deve acquistare il fieno per la mucca. Poi a Bologna e Firenze a far tappeto. Inverno lungo, in solitudine ma mai soli, con la neve alta, il freddo, gli abiti fradici di pioggia. Inverno come momento di raccoglimento interiore intorno al fuoco. Inverno di lavoro, a fare artigianato, a spalar neve dai tetti, a creare un sentiero che conduca a San Benedetto, a portare su per la montagna la crusca per gli animali. Intanto che la terra riposa per rifiorire in primavera.

1980, primavera. Si ricomincia a zappare e a seminare …. Intanto si è calcolato che nelle tre comunità passano circa duemila persone ogni anno e si deve anche cercare di dare da mangiare a tutti. Nasce Martino, il figlio della Luna … ".

Fonte: da www.scribd.com/doc/6612522/cir-19 (sintesi di C.Mercatali)

 

mercoledì 6 giugno 2012

Da Casaglia al Cigno



Un classico dei trekking di crinale
di Claudio Mercatali



Questo anello, di 13 Km, è un classico dell' escursionismo nella nostra zona. Si parte da Casaglia, dietro l'ufficio postale e si sale per la mulattiera che va "ai Prati Piani". Il nome si presta all' equivoco, che si chiarisce quasi subito: la strada è una pietraia che sale di continuo fino al Monte La Faggeta, a circa 1100m di quota. Applicando il detto "si misura il passo con la gamba" per questa prima tappa servono venti minuti o mezz'ora. In cima un pilastrino segnaletico indica la direzione per Ronchi di Berna e dice che si arriverà là dopo un'ora di cammino.






A sinistra: La strada maestra 
della Colla di Casaglia 
vista dal monte La Faggeta
fa un bell'effetto.



Il sentiero, sul crinale, è un saliscendi non difficile, che ad un certo punto arriva ai Prati di Frassinello, un alpeggio a più di mille metri di quota.
 Secondo i piani altimetrici del nostro appennino oltre gli 800m il faggio prevale assolutamente rispetto a tutte le altre piante e i boschi sono delle enormi faggete.
  

Qui a frassinello c'è l'eccezione che conferma la regola. Il faggio ha lasciato il posto a qualche frassino e qualche ciliegio, che con la neve del 2012 hanno patito non poco. Però oggi si sono rifatti e sono in fiore. Da Frassinello si vedono dei bei panorami, in ogni direzione.

A sinistra: verso ovest la vista spazia fino al Passo della Futa (16 km). Il paesino sullo sfondo è Traversa, una frazione di Firenzuola.
 
 


A destra:
Anche se oggi è nuvoloso la visuale arriva fino al Monte Falterona, cioè al limite del Casentino, in provincia di Arezzo,



 
 




A sinistra: verso est il panorama è così ampio che servono due fotografie abbinate per coglierlo completamente.

Si giunge così a Ronchi di Berna, un valico sotto il monte Carzolano, che si riconosce perché in cima c'è un'antenna per i telefonini. Si deve imboccare il sentiero verso Lozzole, indicato in modo chiaro da un altro pilastrino, che ci dice che volendo potremo arrivare alla chiesa in un'ora e un quarto.
 Il nostro percorso prevede invece un'altra via e, dopo un quarto d'ora di discesa ripida, lungo una pietraia, imbocchiamo il sentiero n° 581, che ci porterà al Cigno e poi ai Prati Piani.





La mappa qui accanto 
dà un'idea del percorso.











La valletta del Cigno

 Comincia qui la parte topica del trekking. Chi immagina che la via del Cigno sia elegante e signorile come l'omonimo uccello sbaglia parecchio.
Il Cigno, "zìgn" nel dialetto locale, significa "macigno" ed è il nome di un podere a strapiombo su un dirupo. Se ci fosse una classifica per i posti selvaggi il sentiero n° 581 occuperebbe senz'altro i primi posti. Da questo viene il suo fascino. In pratica si tratta di percorrere, a mezza costa, senza salire o scendere molto di quota, una corona di monti, una decina di "fonde", cioè di vallette, una dietro l'altra, sempre dentro un' enorme faggeta, dove spesso gli alberi sono piegati o schiantati.

Questi sono i segni delle valanghe, che travolgono ogni cosa quando d'inverno il vento caldo di scirocco, che spira dalla Toscana, allenta il manto nevoso.









Dopo mezz'ora si arriva ai ruderi del podere. Nell'inverno del 1867 i tre abitanti della casa morirono travolti da una valanga e i tre figli piccoli morirono anch'essi di fame. Sopravvisse solo il cane, che si nutrì di carne di pecora. La tragedia ebbe una grande eco anche sulla stampa, ed è raccontata in dettaglio in questo articolo del quotidiano La Nazione del 22 gennaio 1868.




A sinistra: Della casa rimangono pochi muri sbrecciati e ad una finestra qualcuno ha appeso una madonnina a ricordo del dramma di queste persone.

 Clicca sulle immagini per ingrandirle


 



  

A destra: Il rifugio dei Prati Piani,
fra le vallette del Cigno e della Bedetta. Il sito è piacevolmente pianeggiante, e dà sollievo.



Dal Cigno il sentiero continua, sempre da una "fonda" all'altra, in un saliscendi molto apprezzato dagli appassionati di trekking. Siamo diretti ai Prati Piani, ma qui dove siamo ora non c'è assolutamente nulla di pianeggiante. Dopo i Prati Piani si passa nella valletta della Bedetta (la Béndètta, la Benedetta) dove la musica non cambia. Gli unici rumori sono quelli dei rami che si spezzano sotto gli scarponi e il gorgogliare dell'acqua, che sprizza fuori dalle tante scaturigini fra le rocce.
L'unico essere vivente che si sente è il cuculo, che sembra prendere in giro con il suo canto beffardo.




A destra: Alla fine si esce dalle "fonde" e si torna nella mulattiera sopra a Casaglia. Non rimane che scendere in paese.

E' duro il trekking per il sentiero del Cigno? La fatica non è moltissima, ma per venire qui senza rimanere inchiodati il giorno dopo serve un certo allenamento. Per essere più chiari l'anello di 13km, con 700m di dislivello si percorre in 5 ore, bevendo due litri d'acqua. Se queste sono le misure giuste per voi e per le vostre gambe avete trovato un posto per passare una bella giornata.