Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

giovedì 12 giugno 2025

La Settimana Rossa


Il Moto Rivoluzionario 
e l'illusione

ricerca di Claudio Mercatali


La Settimana Rossa fu un moto insurrezionale che attraversò l'Italia nel giugno del 1914 per sette giorni, dal 7 al 13, durante i quali sembrò che il paese potesse essere travolto dalla rivoluzione. Ma solo in Romagna la popolazione credette che fosse giunta per davvero "l' ùra sbaracuclôna", (l’ora di sbaraccare), in altre parole, che la Rivoluzione fosse alle porte. Ecco alcuni testi di giornali repubblicani romagnoli dell’epoca.

 Il Lamone, settimanale repubblicano, Faenza, 21 giugno 1914: "Cosa sono mai le violenze che tanto vi spaventano e che tanto orrore vi destano, di fronte alla somma di violenze che voi, tutto il giorno, tutto l'anno, perpetrate sulla pelle della povera gente, che uccidete o fate uccidere, o che depredate colle vostre leggi?"

Il Pensiero Romagnolo settimanale del partito Repubblicano di Forlì dal 1894: “13 giugno 1914 Il popolo italiano insorge contro la monarchia. La Romagna sulla breccia come un sol uomo".

La Voce Mazziniana 21 giugno 1914 organo del Partito Mazziniano intransigente di Ravenna "Un comizio di oltre 20.000 persone. Completa fraternità. Evviva la Repubblica! per la quale lo spettacolo offerto dalla città ribelle era stato superbo, commovente, indimenticabile".

I fatti

Il comizio a Villa Rossa

Domenica 7 giugno si celebrava in tutta Italia la "Festa dello Statuto Albertino".  Ad Ancona era stata organizzata una manifestazione antimilitarista. Il capo del governo Salandra, temendo che gli Anarchici, i Repubblicani e i Socialisti potessero turbare l'ordine pubblico, decise di proibirla. Gli organizzatori dell’iniziativa di Ancona, l'allora socialista Benito Mussolini, l'allora repubblicano Pietro Nenni e l'anarchico Enrico Malatesta, spostarono il comizio nel circolo repubblicano anconitano "Gioventù Ribelle", meglio noto come "Villa Rossa". Pietro Nenni fece un vivace e applaudito discorso antimilitarista. 



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Al termine i partecipanti furono circondati dalle forze dell'ordine, per evitare che si spostassero in piazza Roma, dove c’era un concerto della banda militare. Scoppiò un tumulto, qualcuno sparò, i Carabinieri risposero e ci furono tre morti fra i dimostranti.



Le reazioni all'eccidio



In Romagna la rivolta fu estesa e violenta, in quasi tutti i paesi. Fu impedita la partenza dei treni, vennero devastati caselli daziari, uffici telegrafici e stazioni ferroviarie. L’ira popolare si espresse anche con requisizioni di armi, di automobili dei proprietari terrieri, vennero requisite partite di grano e costituiti magazzini popolari per la distribuzione di grano, olio e vino a prezzi calmierati. 
Siccome si era interrotta la distribuzione dei giornali, le false notizie circa il successo della rivoluzione aumentavano ancora di più l'entusiasmo degli insorti.Un'ondata di indignazione si sparse subito per tutta la città. La sera stessa del 7 giugno la Camera del Lavoro di Ancona decise lo sciopero generale. Era in atto una vera e propria insurrezione rivoluzionaria: vennero abbattuti i casotti daziari, la Camera del Lavoro faceva vendere il vino a cinque soldi il litro, furono ordinate requisizioni di grano. Furono organizzati blocchi stradali, per superare i quali occorrevano dei lasciapassare rilasciati dalla Camera del Lavoro.
Nei giorni tra l'8 ed il 10 giugno lo sciopero si espanse a macchia d'olio in tutta Italia. Intere zone della penisola sfuggirono al controllo dello Stato. La forte impronta antimonarchica e antimilitarista delle rivolte sembrò mettere il paese sull'orlo della guerra civile. Proprio per scongiurare il rischio che il Re dichiarasse lo stato d'assedio e il passaggio dei poteri pubblici ai militari, la Confederazione generale del lavoro dichiarò concluso lo sciopero dopo solo 48 ore, invitando i lavoratori a riprendere le loro attività:

«... Lo scopo per cui ci eravamo mossi è raggiunto; raggiunto non è invece lo scopo ideale che inspira tutto il nostro movimento. Un comitato unitario rappresentante tutte le forze sovversive organizzerà e svilupperà le nostre azioni avvenire. Ora torniamo tutti al lavoro, alle case, lieti del dovere compiuto, orgogliosi della minaccia che ci arde nel cuore. Dalla mezzanotte d'oggi - anche per disposizione delle organizzazioni centrali solo stasera ricevute - lo sciopero è sospeso!»           (dal comunicato della CGdL del 12-13 giugno 1914)





I moti in Romagna

In Romagna la rivolta fu estesa e violenta, in quasi tutti i paesi. Fu impedita la partenza dei treni, vennero devastati caselli daziari, uffici telegrafici e stazioni ferroviarie. L’ira popolare si espresse anche con requisizioni di armi, di automobili dei proprietari terrieri, vennero requisite partite di grano e costituiti magazzini popolari per la distribuzione di grano, olio e vino a prezzi calmierati. 

Senza i giornali, che erano l'unico mezzo di informazione all'epoca, le false notizie si diffondevano facilmente per sentito dire e pareva che rivoluzione avesse avuto successo.




Non era vero l'insurrezione era stata violenta solo da Rimini ad Ancona e in alcune parti d'Italia.














La situazione nel Mugello

Tutti questi fatti nel Mugello non avvennero. L’eccidio di Ancona destò impressione ma non ci furono insurrezioni e nemmeno fervore per quanto avveniva in Romagna. Anzi la stampa locale condannò la rivolta e criticò i Repubblicani e i Socialisti perché la presunta rivoluzione durò solo una settimana e non produsse niente.






La situazione nella Romagna Toscana

La maggior parte dei comuni della Romagna Toscana rimasero tranquilli, come quelli del Mugello. A Marradi, a Palazzuolo e a Tredozio, paesi di profonda cultura cattolica non successe niente, a Modigliana, dove i Mazziniani contavano molto di più ci fu qualche piccola agitazione ma nulla di più.




































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