Nei
ricordi di Guido Guadagni.
ricerca di Luisa Calderoni
Intervisto il Dottor Guido
Guadagni il 20 agosto 2002 alla “ Filanda”. Ci incontriamo nel giardino della casa padronale, edificio
originariamente destinato, al piano terra, a foresteria e uffici, e al
secondo piano, ad abitazione della famiglia Guadagni. L' elegante edificio
in laterizi prodotti dalla locale Fornace di Marcianella, insieme al magazzino per l’essiccamento dei
bozzoli, è ciò che resta della Filanda
dopo che il bombardamento alleato del 1944 distrusse completamente l’opificio
vero e proprio.
Ma chi era Guido Guadagni? Guido
era figlio di Giuseppe e nipote di Gaspare Guadagni, uno dei tre soci fondatori della Filanda
Guadagni -Nati-Vespignani. A Gaspare e Giuseppe Guadagni è stata dedicata una via a Marradi, nella frazione di Biforco.
Guido, all’epoca di massimo fulgore della Filanda,
viveva a Torino con la famiglia ma passava un
periodo di vacanze estive a Marradi a casa del nonno che viveva proprio alla Filanda, sopra la foresteria.
In questo opificio si
effettuava la trattura della seta, cioè
l’operazione di "trarre" dai bozzoli del baco da seta in matasse il prezioso
filo per farne matasse. Il bozzolo - racconta Guido- arrivava col baco vivo al magazzino, che era a
due piani: i bozzoli venivano mandati su al piano alto e poi scendevano, e ,notte e giorno, finivano in un forno dove il baco veniva cotto e ucciso
altrimenti, avrebbe bucato il bozzolo e rovinato il filo.
“Da questa filanda usciva il filo sotto forma di matassa a più fili, a seconda degli ordinativi: la seta che ordinavano i militari per i paracadute era più grossa ma la lavorazione era sempre la stessa.”
Ma come era nata l’idea di una
Filanda così grande, visto che nel territorio ve ne erano già altre quali la Filanda Torriani
presso il palazzo della famiglia, la Filanda Bandini in via Razzi e
quella Fabroni-Ravagli nel fondo del
paese?
“Ti dico per sentito dire … Il
nonno fin da ragazzo era dentro il commercio e il trasporto dei bozzoli, anzi
pare che il padre facesse il trasportatore con i cavalli e, in maggio, si
occupava del trasporto dei bozzoli e della seta. Poi il nonno Gaspare aveva
iniziato a lavorare in una filanda a Faenza e in seguito, proprio a Faenza ne
aveva aperta una sua. Il nonno a Marradi aveva degli amici, i Nati e i
Vespignani con cui fece una società: questi furono i tre soci fondatori della
Filanda.
Nei primi anni del ‘900 questi
due amici, futuri soci, gli parlarono della zona che era risultata dallo
sbancamento di terra per la costruzione della stazione ferroviaria di Marradi.
Da Monte dell’Asino veniva giù un balzo degradante che era stato sterrato buttando la terra di
qua, verso il fiume Lamone e ne era venuto fuori questo piano. Infatti il
capannone che serviva per l’essiccazione e il deposito dei bozzoli, era alto
fuori terra quanto sotto terra.
Sotto ci sono muraglioni ed archi
perché questa era tutta terra smossa su cui non si poteva costruire una
struttura pesante, quindi il nonno ha dovuto scavare fino a trovare la roccia.
E’ stato un lavoro molto impegnativo … La Filanda l’hanno fatta qui perché c’era il comodo
dell’acqua. Nel giardino davanti si vede ancora la rotonda che era la vasca,
ora interrata, piena d’acqua di riserva per la caldaia a vapore. Nella vasca
c’erano dei pesci che mantenevano sempre limpida l’acqua.
Nel fiume c’era anche una
cisterna di raccolta dell’acqua che veniva convogliata alla caldaia a vapore
che alimentava i macchinari della filanda.
L’altro comodo era la vicinanza
della Ferrovia. Qui, nel prato di fianco alla villa, c’era un binario di
servizio su cui arrivavano i vagoncini carichi di carbone per alimentare la
caldaia a vapore che si trovava in un locale dove ora c’è la rimessa. La strada
comunale allora terminava di fronte al “Molinone”, il resto del terreno era di
Gaspare per cui il binario arrivava direttamente dalla ferrovia alla Filanda.
Il Molinone non aveva un suo binario di servizio perché avrebbe dovuto attraversare la strada e per il
trasporto dei cereali usava una teleferica.”
La Filanda vista dalla strada per Coltreciano; da notare che non è stata ancora costruita la foresteria |
Guido racconta come avveniva
l’operazione della trattura della seta: “ Il baco secerne una bava umida di un
collante che si scioglie in acqua calda. Le bacinelle rotonde, di rame, erano piene
d’acqua calda che rientrava man mano che si consumava. Erano ricoperte da una
spazzola di saggina che si muoveva sui bozzoli galleggianti sull'acqua. Sulla
spazzola si attacca la “spelaia” che veniva poi tolta e raccolta. Quando la
spazzola si alzava, si vedevano dei bozzoli ancora liberi perché la spazzola
non aveva trovato il capo, e altri da cui si alzava il filo.
Allora la filandaia prendeva questo filo: in una ciotola piccola si mettevano i bozzoli che erano stati attaccati, il filo passava per una filiera, che era un oggetto preziosissimo, e andava all’aspo dove si arrotolava la matassa.
Cera una maestra a guidare l’operazione, che frenava un po’ l’aspo e lo faceva ripartire piano, senza fermare la catena che era unica e non poteva essere bloccata.
Allora la filandaia prendeva questo filo: in una ciotola piccola si mettevano i bozzoli che erano stati attaccati, il filo passava per una filiera, che era un oggetto preziosissimo, e andava all’aspo dove si arrotolava la matassa.
la filandaia Leda Montevecchi |
Cera una maestra a guidare l’operazione, che frenava un po’ l’aspo e lo faceva ripartire piano, senza fermare la catena che era unica e non poteva essere bloccata.
Alla fine della trattura rimaneva una specie di velo
dentro cui c’era il baco morto. Questa era la cosiddetta “bigattina” che veniva
tolta dalla bacinella, ribollita e utilizzata in altro modo, come becchime. Le
acque luride venivano scaricate nel fiume e lì c’era sempre una gran quantità
di pesci. “
Poi arrivò la guerra e l’opificio
fu bombardato
“ Qui siamo stati sfortunati
perché c’è stato un attacco aereo diretto alla ferrovia, non hanno sbagliato di
molto, pochi metri, fatto sta che la ferrovia c’era ancora e la filanda non c’era
più … rimase solo un mucchio di macerie. Molte finirono nel fiume e feci molta
fatica a rifare lo stradello che andava giù nel fiume dove c’era la cisterna
che riforniva d’acqua la caldaia a
vapore. Altre furono vendute per la ricostruzione … In conclusione la filanda è
stato il primo stabilimento industriale mentre altrove, tipo in Cina, si faceva
tutto a mano. Il motivo del suo successo fu forse la fama della bravura delle
ricamatrici di Marradi che poi andarono a lavorare alla filanda.”
In questo modo il paese perse un’importante
fonte di reddito e quella che oggi potrebbe definirsi un pezzo di archeologia
industriale.
“ Vedi, continua Guido, quando
mio padre è nato a Faenza nel 1882, non
c’era la corrente elettrica, quando è morto nel 1962, c’era lo Sputnik nello
spazio. Anche la Filanda
era illuminata ma le macchine andavano a vapore: c’era una macchina d’acciaio,
bellissima con borchie d’ottone, amatissima dall’ "Uomo Nero", Andrea. Lì,
nella attuale rimessa, c’era il vano caldaie a due piani e sopra si lavorava la
bigattina mentre Andrea abitava qui dove siamo noi. Sopra il locale caldaie
c’era la ciminiera fatta da uno specialista non locale. Fu buttata giù con
piccole cariche messe dagli americani perché era rimasta in piedi ma un po’
sbilenca: per evitare che, cadendo, rovinasse su ciò che era rimasto in piedi,
fu fatta crollare su se stessa.”
Curzio Baschetti, direttore della Filanda |
Con queste parole velate di tristezza e di malinconia per un tempo ormai definitivamente tramontato, si chiude l’intervista col Dottor Guido Guadagni, testimone di un’epoca ricca di fermenti innovativi e animata da un’operosità che grazie al lavoro duro ma certo, aveva portato un po’ di benessere nel paese di Marradi.
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