Qualche regola di bon ton secondo Giovanni della Casa
ricerca di Claudio Mercatali
Villa La Casa, a Mucciano (Panicaglia)
dove nacque il monsignore
Certe parole entrano nel
linguaggio comune con una forza incredibile e tutti le usano. La parola “galateo”
è una di queste. Le famose “regole del galateo” sono entrate nell’ immaginario
collettivo come le leggi della buona creanza, anche se pochi di noi hanno
letto l’opera Galateo
ovvero de’ costumi di Giovanni della Casa, dove sono descritte. Però questo non è importante, perché ormai la parola galateo è un nome astratto per dire “di
buona maniera”.
Monsignor Giovanni della Casa
Giovanni della Casa quasi certamente nacque a Ronta, anche se
Firenze ne rivendica i natali. Alto prelato e monsignore fu come si dice uomo
di curia e d’apparato, impegnato nell’ Inquisizione e nei complicati intrecci
politici del Papato nel Cinquecento.
Insomma era il contrario del bonario
pievano mugellano. Per carattere era molto più deciso e di
sostanza di quanto le sue leziose descrizioni lascerebbero
intendere. Andiamo a curiosare nei suoi scritti per capire quali erano secondo
lui i criteri della buona creanza. La sua opera si compone di trenta capitoli,
qui di seguito c’è la sintesi di quattro. Leggiamo:
Cap. III Cose laide da non fare o nominare
Percioché non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice …
E’ perciò sconcio costume quello di alcuni che in palese si pongono le mani in qual parte del corpo vien lor voglia. Similmente non si conviene a gentiluomo costumato apparecchiarsi alle necessità naturali nel conspetto degli uomini; né, quelle finite, rivestirsi nella loro presenza; né pure, si laverà egli per mio consiglio le mani dinanzi ad onesta brigata. E molto meno il porgere altrui a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni soglion fare con grandissima instanzia, pure accostandocela al naso e dicendo: – Deh, sentite di grazia come questo pute! –; anzi doverebbon dire: – Non lo fiutate, percioché pute –. E così il dirugginare i denti, il sufolare, lo stridere e lo stropicciar pietre aspre et il fregar ferro spiace agli orecchi, e deesene l’uomo astenere più che può. E non sol questo; ma deesi l’uomo guardare di cantare, specialmente solo, se egli ha la voce discordata e difforme.
Sono ancora di quelli che, tossendo e starnutendo, fanno sì fatto lo
strepito che assordano altrui; e di quelli che, in simili atti, poco
discretamente usandoli, spruzzano nel viso a’ circostanti …
Il
continuo sbadigliare secondo il Monsignore è sintomo di scarsa educazione, e
anche per noi oggi è così: “Dee l’uomo costumato astenersi dal molto
sbadigliare, percioché pare che colui che spesso sbadiglia amerebbe di esser
più tosto in altra parte che quivi, e che la brigata, ove egli è, et i ragionamenti
et i modi loro gli rincrescano. Quando altri sbadiglia colà dove siano persone
ociose e sanza pensiero, tutti gli altri, come tu puoi aver veduto far molte
volte, risbadigliano incontinente, quasi colui abbia loro ridotto a memoria
quello che eglino arebbono prima fatto, se essi se ne fossino ricordati. Et ho
io sentito molte volte dire a’ savi litterati che tanto viene a dire in latino
sbadigliante quanto neghittoso e trascurato…”
Il
soffiarsi il naso, l’odorare o l’assaggiare sono momenti delicati: “Non si
vuole anco, soffiato che tu ti sarai il naso, aprire il moccichino e guardarvi
entro, come se perle o rubini ti dovessero esser discesi dal cièlabro, …
Sconvenevol costume è anco, quando alcuno mette il naso in sul bicchier del
vino che altri ha a bere, o su la vivanda che altri dee mangiare, per cagion
dal naso possono cader di quelle cose che l’uomo ave a schifo. Né per mio
consiglio porgerai tu a bere altrui quel bicchier di vino al quale tu arai
posto bocca et assaggiatolo, salvo se egli non fosse teco più che domestico; e
molto meno si dee porgere pera o altro frutto nel quale tu arai dato di
morso.”.
Perché il libro del
Monsignore si chiama Galateo? Ecco la spiegazione.
Cap. IV Aneddoto di Messer Galateo e del Conte Ricciardo (riassunto)
Sappi che in Verona ebbe già un Vescovo il cui nome fu messer Giovanni Matteo Giberti … Avenne che, passando in quel tempo di là un nobile uomo, nomato Conte Ricciardo, egli si dimorò più giorni col Vescovo e con la famiglia di lui ... E percioché gentilissimo cavaliere parea loro e di bellissime maniere, molto lo apprezzarono; se non che un picciolo difetto avea ne’ suoi modi; e il Vescovo propose che fosse da farne aveduto il Conte. Al commiato il Vescovo, chiamato un suo famigliare, gli impose che, montato a cavallo col Conte, per accompagnarlo … per dolce modo gli venisse dicendo quello che essi aveano proposto tra loro. Era il detto famigliare Messer Galateo. Costui, cavalcando col Conte … con lieto viso gli venne dolcemente così dicendo: – Signor mio, voi siete il più leggiadro et il più costumato gentiluomo che mai paresse al Vescovo di vedere; solamente un atto difforme voi fate con le labbra e la bocca, masticando con uno strepito molto spiacevole ad udire. Questo vi manda significando il Vescovo … Il Conte, che del suo difetto non si era mai aveduto, udendoselo rimproverare, arrossò così un poco … e disse: – Direte al Vescovo che, se tali fossero tutti i doni che gli uomini si fanno infra di loro, quale il suo è, eglino troppo più ricchi sarebbono che essi non sono. E di tanta sua cortesia e liberalità verso di me ringraziatelo sanza fine, assicurandolo che io del mio difetto sanza dubbio diligentemente mi guarderò; et andatevi con Dio.
Cap. IV Aneddoto di Messer Galateo e del Conte Ricciardo (riassunto)
Sappi che in Verona ebbe già un Vescovo il cui nome fu messer Giovanni Matteo Giberti … Avenne che, passando in quel tempo di là un nobile uomo, nomato Conte Ricciardo, egli si dimorò più giorni col Vescovo e con la famiglia di lui ... E percioché gentilissimo cavaliere parea loro e di bellissime maniere, molto lo apprezzarono; se non che un picciolo difetto avea ne’ suoi modi; e il Vescovo propose che fosse da farne aveduto il Conte. Al commiato il Vescovo, chiamato un suo famigliare, gli impose che, montato a cavallo col Conte, per accompagnarlo … per dolce modo gli venisse dicendo quello che essi aveano proposto tra loro. Era il detto famigliare Messer Galateo. Costui, cavalcando col Conte … con lieto viso gli venne dolcemente così dicendo: – Signor mio, voi siete il più leggiadro et il più costumato gentiluomo che mai paresse al Vescovo di vedere; solamente un atto difforme voi fate con le labbra e la bocca, masticando con uno strepito molto spiacevole ad udire. Questo vi manda significando il Vescovo … Il Conte, che del suo difetto non si era mai aveduto, udendoselo rimproverare, arrossò così un poco … e disse: – Direte al Vescovo che, se tali fossero tutti i doni che gli uomini si fanno infra di loro, quale il suo è, eglino troppo più ricchi sarebbono che essi non sono. E di tanta sua cortesia e liberalità verso di me ringraziatelo sanza fine, assicurandolo che io del mio difetto sanza dubbio diligentemente mi guarderò; et andatevi con Dio.
Cap. V A tavola: modi dei commensali e
dei servitori
… Dee adunque l’uomo costumato guardarsi di non ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata, percioché ella è stomachevole a vedere; et anco il fregarle al pane che egli dee mangiare, non pare polito costume. I nobili servidori, i quali si essercitano nel servigio della tavola, non si deono per alcuna condizione grattare il capo né altrove dinanzi al loro signore quando e’ mangia, né porsi le mani in alcuna di quelle parti del corpo che si cuoprono, né pure farne sembiante, sì come alcuni trascurati famigliari fanno, tenendosele in seno, o di dirieto nascoste sotto a’ panni; ma le deono tenere in palese e fuori d’ogni sospetto, et averle con ogni diligenza lavate e nette, sanza avervi sù pure un segnuzzo di bruttura in alcuna parte. E quelli che arrecano i piattelli o porgono la coppa, diligentemente si astenghino da sputare, da tossire e, più, da starnutire …
Annibale Carracci, il bevitore
E se talora averai posto a scaldare pera d’intorno al focolare, o arrostito pane in su la brage, tu non vi dèi soffiare entro, percioché si dice che mai vento non fu sanza acqua. Non offerirai il tuo moccichino comeché sia di bucato a persona: percioché quegli a cui tu lo proferi no ‘l sa, e potrebbelsi avere a schifo. Quando si favella con alcuno, non gli si dee l’uomo avicinare sì che se gli aliti nel viso, percioché molti troverai che non amano di sentire il fiato altrui, quantunque cattivo odore non ne venisse.
Annibale Carracci, il mangiatore di fagioli
… Dee adunque l’uomo costumato guardarsi di non ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata, percioché ella è stomachevole a vedere; et anco il fregarle al pane che egli dee mangiare, non pare polito costume. I nobili servidori, i quali si essercitano nel servigio della tavola, non si deono per alcuna condizione grattare il capo né altrove dinanzi al loro signore quando e’ mangia, né porsi le mani in alcuna di quelle parti del corpo che si cuoprono, né pure farne sembiante, sì come alcuni trascurati famigliari fanno, tenendosele in seno, o di dirieto nascoste sotto a’ panni; ma le deono tenere in palese e fuori d’ogni sospetto, et averle con ogni diligenza lavate e nette, sanza avervi sù pure un segnuzzo di bruttura in alcuna parte. E quelli che arrecano i piattelli o porgono la coppa, diligentemente si astenghino da sputare, da tossire e, più, da starnutire …
Annibale Carracci, il bevitore
E se talora averai posto a scaldare pera d’intorno al focolare, o arrostito pane in su la brage, tu non vi dèi soffiare entro, percioché si dice che mai vento non fu sanza acqua. Non offerirai il tuo moccichino comeché sia di bucato a persona: percioché quegli a cui tu lo proferi no ‘l sa, e potrebbelsi avere a schifo. Quando si favella con alcuno, non gli si dee l’uomo avicinare sì che se gli aliti nel viso, percioché molti troverai che non amano di sentire il fiato altrui, quantunque cattivo odore non ne venisse.
E
con gli altri come ci si deve comportare?
Cap.VI Comportamenti da tenere in compagnia
Tu dèi sapere che gli uomini naturalmente appetiscono più cose e varie, e alcuni vogliono sodisfare all’ira, alla gola, altri alla libidine et altri alla avarizia et altro ma, comunicando infra di loro, non chiedono alcuna delle sopradette cose, come se elle non consistano nel favellar delle persone, ma in altro. Appetiscono quello che può conceder loro il comunicare insieme; e ciò pare che sia benevolenza, onore e sollazzo. E non si dee dire né fare cosa per la quale altri dia segno di poco amare o di poco apprezzar.
Cap.VI Comportamenti da tenere in compagnia
Tu dèi sapere che gli uomini naturalmente appetiscono più cose e varie, e alcuni vogliono sodisfare all’ira, alla gola, altri alla libidine et altri alla avarizia et altro ma, comunicando infra di loro, non chiedono alcuna delle sopradette cose, come se elle non consistano nel favellar delle persone, ma in altro. Appetiscono quello che può conceder loro il comunicare insieme; e ciò pare che sia benevolenza, onore e sollazzo. E non si dee dire né fare cosa per la quale altri dia segno di poco amare o di poco apprezzar.
Addormentarsi
quando si è in compagnia è segno di scarso apprezzamento: “… Poco gentil
costume pare che sia quello che molti sogliono usare, di volentieri dormirsi
colà dove onesta brigata si segga e ragioni, percioché, così facendo, dimostrano
che poco gli apprezzino e poco lor caglia de’ loro ragionamenti …
Farsi
i fatti propri è segno di noia: “… E per questa cagione il drizzarsi ove
gli altri seggano e passeggiar per la camera pare noiosa usanza. Sono ancora di
quelli che si dimenano e sbadigliano, rivolgendosi ora in su l’un lato et ora
in su l’altro, e pare segno evidente che la brigata con cui sono rincresce
loro. Male fa similmente chi, tratte fuori le forbicine, si dà a tagliarsi le
unghie, quasi che egli abbia quella brigata per nulla e si procacci altro
sollazzo per trapassare il tempo. Non si deono anco tener quei modi che alcuni
usano: cioè cantarsi fra’ denti o sonare il tamburino con le dita o dimenar le
gambe; percioché questi così fatti modi mostrano che la persona sia non curante
d’altrui”.
Appoggiarsi
alla spalla e “dare di gomito” a chi ascolta non è educato: “… Dee l’uomo
recarsi sopra di sé e non appoggiarsi né aggravarsi addosso altrui; e, quando
favella, non dee punzecchiare altrui col gomito, come molti soglion fare ad
ogni parola, dicendo: – Non dissi io vero? –
Eh, voi? – Eh, messer tale? – e tuttavia vi frugano col gomito”.
Nessun commento:
Posta un commento