Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

lunedì 18 dicembre 2023

Otto poeti che piacevano a Dino

L’homme des bois 
parla di loro

Ricerca di Claudio Mercatali



Dino Campana ebbe un rapporto difficile con Papini e Soffici. Per loro in sostanza era un pazzo che si credeva poeta e qualche volta ci riusciva. Questi critici non colsero il valore dei Canti Orfici (Papini) o persero (Soffici) il manoscritto di una delle più innovative opere poetiche del primo Novecento. Almeno qualcuno degli altri letterati fiorentini avrebbe dovuto cogliere la profonda cultura che traspare dagli scritti di Dino. Invece gli affibbiarono un epiteto offensivo: l’homme des bois (l’uomo dei boschi). Capirono di più i suoi compaesani, che pur non avendo studiato lo definivano in dialetto “e màt”, voce di per sé non spregiativa che significa soprattutto “fuori dalla norma”, “impulsivo oltre misura” e anche “intrattabile o ingestibile”, senza sottintendere una minus valenza. Campana conosceva la letteratura internazionale del suo tempo? Ecco otto autori che compaiono nei suoi scritti, non come semplice citazione ma proprio con frasi prese a riferimento:

I poeti americani

Conosciamo gli scrittori statunitensi soprattutto come ottimi narratori e romanzieri ma qui da noi una persona di media cultura fa fatica a citare un poeta nord americano. Eppure Dino Campana prese spunti anche da loro. Il più facile da individuare è:



Walt Whitman (West Hills 1819 – Camden 1892) fu poeta, scrittore e giornalista. E’considerato il padre della poesia americana, il primo poeta moderno a utilizzare il verso senza rima e la sua raccolta poetica Leaves of Grass (Foglie d’erba) è un classico della letteratura. Cantore della democrazia, della libertà condusse una vita per certi versi simile a quella di Dino Campana, ma non aveva disturbi mentali. Viaggiatore instancabile per tutti gli States, squattrinato, vendeva per suo conto le sue poesie ed era un anticipatore di quello che poi sarà il “sogno americano” (L’ American Dream è l'ethos nazionale degli Stati Uniti, un insieme di ideali che includono democrazia, diritti, libertà e uguaglianza, in cui la libertà è anche la possibilità per ognuno di poter raggiungere ogni obiettivo). Dino, chiuso in soffitta o solitario a Orticaia, un lontano podere di Marradi, riscrisse le poesie perse, ma si isolò e fu rifiutato da tutti più di quanto era stato fino ad allora e si sentì massacrato. Nell’ ultima pagina del libro c’è un verso di Walt Whitman  tratto da Song of Myself:

They were all torn
and cover'd with
the boy's blood

"I tre uomini erano tutti laceri e ricoperti dal sangue del ragazzo". Nel marzo 1916 scrisse a Emilio Cecchi: "Se vivo o morto lei si occuperà ancora di me la prego di non dimenticare le ultime parole che sono le uniche importanti del libro. La citazione è di Walt Whitman che adoro nel Song of myself quando parla della cattura del flour of the race of rangers".

Campana quindi si identifica con un giovane della poesia di Whitman massacrato a tradimento a Fort Alamo.


Julia Ward Howe (1819 -1910) fu una poetessa statunitense che scrisse tante poesie di struggente sentimento. Una di queste piacque a Dino Campana, che ne tradusse una quartina in un suo appunto senza scrivere dove l'aveva presa.



La fonte fu cercata a lungo. Poi la prof. Susanna Sitzia dell' Università di Cagliari scoprì che è una prosa poetica di Julia Ward Howe della raccolta At Sunset (1910) con il titolo In Music Hall.



I poeti francesi

Senza dubbio Campana conosceva bene la letteratura d’Oltralpe e ne fu influenzato molto. Uno dei suoi poeti preferiti fu Paul Verlaine

C’è un libricino di Mario Bejor, un compagno di università di Dino a Bologna, dove è raccontato l'aneddoto qui accanto:







Clicca sulle immagini
se le vuoi ingrandire
 a tutta pagina




Una terzina di Henry Becque è nei Canti Orfici nella descrizione del Viaggio a La Verna, quando il poeta contento e sfinito si ferma in un albergo di Stia, nel Casentino, e ascolta il dialogo di due avventori altrettanto stanchi. Leggi qui accanto.



I poeti dell'est europeo

Nel primo Novecento poetica e narrativa in lingua russa erano di alto livello. Nei Canti Orfici ci sono due immagini tratte da due poeti particolari, Baltrusajtis e Merežkovskij. Il primo merita attenzione anche perché Campana l’aveva indicato in modo vago al medico Carlo Pariani, al manicomio di Castelpulci: “Era un poeta del tempo degli zar” e dopo una ricerca profonda il dott. Leonardo Chiari, di Marradi, ha scoperto di chi si trattava.

Urgis Kazimirovic Baltrusajtis
nacque nel villaggio di Paantvardys (Jurbarkas Lituania) nel 1873 e morì a Parigi nel 1944. Fu poeta, traduttore e diplomatico. Nel 1893 si trasferì a Mosca per frequentare la Facoltà di matematica e fisica. 




Nel 1899 fu uno dei fondatori della casa editrice Skorpion, che pubblicava la moderna e disinibita rivista Vesj (La Bilancia). Tradusse in russo Oscar Wilde e Gabriele d'Annunzio. Baltrušajtis nel 1904 venne in Italia e conobbe Giovanni Papini, che ricorda così quell' incontro:

"Nel remotissimo 1904 apparve nella mia vita la cara figura, mai dimenticata, del poeta Jurghis Baltrusajtis. Lo incontrai a Firenze in quel caffè delle Giubbe Rosse dove, in quegli anni lontani, si udivano e si leggevano tutte le lingue d'Europa. 
Era, a quel tempo, un giovane sulla trentina, forte e dritto, con un viso che pareva perpetuamente bruciato dai ghiacci del polo o dal sole dell' equatore e dove splendevano due occhi chiari, sereni, azzurri che sembravano occhi di angelo in esilio incastonati nella figura di un rude pastore del Settentrione. L'espressione della faccia era seria, a momenti severa e quasi minacciosa ma se per caso sorrideva si scopriva con meraviglia, in quel volto già tormentato dal dolore e dal pensiero, la divina luce della fanciullezza. Si diventò amici in pochi giorni, come avviene in quella beata età che corre dai venti ai trenta".

Dunque Dino Campana lesse gli scritti del poeta lituano perché costui frequentava i letterati fiorentini. Forse i due non si incontrarono mai. La poetica del lituano gli piacque e nei Canti Orfici, nella sezione 14 de La Notte, trascrisse i primi due versi di questa poesia:

Tutto il mio pensiero è bramosia del segreto delle stelle, / Tutta la mia vita è un chinarsi sull’abisso. // È sempre lo stesso enigma: tuono e silenzio / E spensieratezza sonnolenta e inquietudine angosciosa, / E la piccola erba, e nelle celesti altezze d’Iddio / I vivi scritti dei lumi notturni. // Non è forse un miracolo che volta a volta nel fiore dorma il seme, / E nel seme vi sia un fiorir nuovo, / E che un circolo leghi ed abbracci tutta / L’estensione delle cose, che non hanno limite! // Tutto il nostro pensiero è come un sonno vano. / Tutta la nostra vita non è che un tremito infinito. // L’impassibile Potere dell’Eternità / Torce in un filo misterioso attimo dopo attimo / Ed è cieco miseramente colui che ardisce / Distinguere la morte dalla vita. // Qual dolore che il terribile tempio dell’Universo / Ci sia nascosto dal grande sipario, / E che noi invano, con nostalgia senza tregua, / Dobbiamo vegliare per secoli dinanzi alla porta fatale!


Dimitrij Sergeevic Merežkovskij, poeta innamorato dell’Italia e in particolare di Firenze, compare nei Canti Orfici alla fine della prosa Firenze. Dino lo cita e prende da lui due o tre righe di descrizione dell’Arno.

I poeti tedeschi

Il Faust di Wolfang Goethe era ben noto a Dino Campana, che tradusse il passo qui di seguito e si identificò con il protagonista. Secondo un racconto popolare tedesco Faust era un sapiente che fece un patto con un demonio (Mefistofele) vendendogli l'anima in cambio della conoscenza assoluta delle cose. Medusa era un mostro mitologico che trasformava in pietra chiunque la guardasse. Fu uccisa dall' eroe Perseo, che le mozzò il capo guardando la sua immagine riflessa in uno specchio. Qui di seguito c'è la traduzione fatta da Dino Campana di un brano de La notte di Walpurga, tratta dal Faust di Goethe, che compare in una lettera di Dino a Leonetta Cecchi Pieraccini, spedita da Marradi nel settembre 1917. Accanto c'è la traduzione storica, di Guido Manacorda, edita da Mondadori nel 1932. Chi vuole le legga entrambe e scelga ...


Faust (Dino Campana) parla con Mefistofele. I due guardano una ragazza, ma vedono due cose diverse ...





Heinrich Heine era un poeta romantico che non poteva non incidere sulla sensibilità di Campana che infatti lo considerò un suo ispiratore, come lui stesso dice nella poesia Ermafrodito (non è nei Canti Orfici). Quello che state per leggere è difficile, più di quello che avete letto fin qui. Bisogna perimetrare tutta una situazione, che può essere interessante, affascinante o insopportabile a seconda della sensibilità vostra. Provate a leggere.


Heinrich Heine, poeta tedesco del primo Ottocento, era ben noto a Dino Campana. Scrisse le poesie romantiche del Buch der Lieder (Il Libro dei Canti, 1827). Di lui abbiamo moltissimi ritratti, perché era vanitoso e gli piaceva posare. Heine da vecchio si innamorò di Matilde, una giovane con la quale ebbe una relazione turbolenta e intensa.

In una poesia egli si augura di poter rimanere per sempre unito alla sua amata, riprendendo certe saghe nordiche che parlano dell’unione dopo la morte, del rapporto eterno oltre la vita, tutte a dire il vero un po’ macabre secondo il nostro gusto letterario:

Kennst du das alte Liedchen            Conosci la vecchia canzoncina
Wie einst ein toter Knab                  Come una volta a mezzanotte
Um Mitternacht die Geliebte           Un giovane morto prese a sé
Zu sich geholt ins Grab?                  La sua amata nella tomba?
Glaub mir, du wunderschönes,        Credimi oh meravigliosa fanciulla
Du wunderholdes Kind,                  Son io più vivo
Ich lebe und bin noch stärker          E ancor più forte
Als alle Toten sint!                          Di tutti i morti!
traduzione di Christine Kirschke

Dino Campana conosceva la biografia di Heine. Questo passo gli piacque, perché lo scrisse nei suoi appunti e forse ne trasse ispirazione per la poesia Ermafrodito. E' un inedito del cosiddetto Quaderno, ritrovato dai famigliari e pubblicato postumo dallo studioso Enrico Falqui. Secondo il mito la ninfa Salmace si innamorò perdutamente di Ermafrodito, figlio di Afrodite, e quando lo vide nudo che faceva il bagno in un fiume lo abbracciò e chiese agli Dei di rimanergli per sempre unita. Fu accontentata, affogarono, ma dai loro corpi fusi nacque una creatura che era maschio e femmina. Il mito non dice se lui era d'accordo per questo, ma tant'è. Dunque per la poesia Ermafrodito Dino si ispirò al Buch der Lieder e al vezzo di Heine di farsi ritrarre nei quadri come un novello Narciso:

Ermafrodito (sarebbe Heine)

Ermafrodito baciò le sue labbra allo specchio
In un quadro profondo                                    .......... Heine guarda soddisfatto i suoi ritratti
Nerastro appare rosea, biaccosa la carne di lui sullo sfondo
Di ermafrodito in spasimi molli affogato       ..... La biacca è un pigmento bianco, da pittore
Dal paese della chimera eterno e profondo
Dove perdesi l'anima fantasticando                ...... il paese della chimera è Marradi
M'apparve affacciato alla superficie del mondo
Ermafrodito risveglio che inanellò l'acque insaziabile di giungere al fondo
Ermafrodito in spasimi molli affogato.       ... La ninfa abbraccia Ermafrodito e si fonde con lui
Dal fiume maledetto dove non canta la vita
Ti levi talvolta pur nelle notti lunari ed appari        ... Ermafrodito (Heine) appare a Dino 
Alla finestra mia con la madreperlacea luna
E stai come uno spettro vigilando il mio cuore
Che si consuma alla luce funerea lunare
La primavera anche ti è amica talvolta  ... Neuer Frühling (Nuova Primavera) è un ciclo di poesie di Heine
E passi lontano coi venti odorosi pei prati
Brucia il cuore al poeta mentre riguardano i bovi;
Ma sempre sopra al mio letto vigila la bocca stanca e convulsa
Il vago pallore del volto e delle tue bionde chiome.      ... Heine veglia il sonno di Dino


La descrizione della luna e del fiume dove non canta la vita corrisponde bene a quanto il poeta poteva vedere dalle finestre della sua casa di Marradi, che è su un fosso in parte coperto da una volta, che si vede qui accanto. La luna, rispetto alla casa di famiglia, sorge da est, così ...

Saranno stati questi i pensieri di Campana? Forse si, ma non tutte le cose logiche sono vere e non tutte le cose vere sono logiche.

C'è una lirica di Heine che dice:

"Sul cheto lido si è diffusa la notte, la luna esce dalle nuvole e dalle onde vien su un bisbiglio: quell'uomo lì è matto o è forse innamorato. Ha l'aria così triste e lieta, lieta e triste ad un tempo!
Ma la luna ci ride su, e con chiara voce risponde: Quegli è innamorato e matto, e per giunta è anche poeta".

Dunque in conclusione Dino Campana può essere considerato quello che si vuole ma non fu un homme des bois.



Nessun commento:

Posta un commento