Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

sabato 9 gennaio 2021

Le antiche unità del Granducato




Le misure prima del Sistema Metrico Decimale



Il Sistema metrico decimale venne introdotto al primi dell’ Ottocento nel periodo napoleonico. Fu una rivoluzione che fece tabula rasa di tutte le unità antiche. Però anche nei decenni precedenti si era sentita la necessità di unificare le regole, perché ogni mercato aveva le sue unità di misura e c’era una gran confusione. Per questo il granduca Leopoldo I nel 1782 mantenne le vecchie unità ma prese a riferimento le misure della città di Firenze e fece pubblicare delle Tavole di Ragguaglio per confrontare con queste le unità di tutti i comuni del Granducato, compreso Marradi. Si tratta di Tabelle con equivalenze un po’ strane per noi e serve un ripassino di aritmetica di base per capire quello che leggeremo fra un po’. Com’è fatto un numero? Che cosa indica? Vediamo:

Il nostro sistema numerico è decimale e posizionale, ossia il valore di ogni cifra dipende dalla sua posizione. Per esempio la scrittura 123 significa: “3 unità, 2 decine, 1 centinaio” invece il numero inverso 321 significa “1 unità, 2 decine, 3 centinaia”.

Lo zero si può trovare all’interno del numero (zero mediale), alla fine o all’inizio (zeri operatori). Lo zero mediale dice che la quantità in quella posizione è nulla: per esempio la scrittura 102 significa “2 unità, nessuna decina, 1 centinaio” invece lo zero operatore finale moltiplica per dieci il valore del numero. Per esempio 200 è dieci volte più di 20, ma se sta davanti lo divide per dieci. Per esempio 0,2 è dieci volte meno di 2.

Questi concetti ci furono insegnati alle Elementari e sono così radicati in noi che ormai sono istintivi, come la lettura di queste righe. Invece per un analfabeta alfanumerico (uno che non sa leggere né far di conto) lo “zero” significa solo “mancanza, assenza” e non è un numero. Non conosce la virgola e non sa usare i multipli di dieci. E allora?

 Nel Settecento la stragrande maggioranza delle persone era analfabeta, proviamo a esserlo anche noi per vedere come possiamo misurare le cose. Immaginiamo di essere di fronte a una torta rotonda, con il coltello in mano: possiamo dividerla facilmente a metà e poi trovare i quarti facendo la metà della metà. Possiamo anche dividerla in tre parti per simmetria e poi in sei parti uguali.

Dunque i numeri utili per noi non sono i divisori o i multipli del dieci ma i numeri 2, 3, 4, 6 e il multiplo minimo è 12. Quindi un sistema dozzinale è più facile di un sistema decimale, però è più rozzo. Per questo il 12 nelle Tavole qui di seguito compare più spesso del 10 o del 100. Nei nostri dialetti c’è anche il ricordo antico di questo: a Marradi e mèz de mèz è un filoncino di pane da 250 grammi e nel Mugello una sèrqua è una dozzina di uova. Questa antica parola deriva dal latino sìliqua, che è la fila dei semi dentro un baccello e qui da noi non c’è. Per noi l’unità è la càpa d‘όva cioè un cappello pieno di uova (24) e mèza càpa è la dozzina. Vi siete mai chiesti perché al supermercato i contenitori delle uova molto spesso ne contengono sei o dodici?

 

Anche il 20 è un numero”facile” per un analfabeta, perché ha tanti divisori: 2,4,5,10. In questo caso la memoria antica riaffiora nel francese: quatre vingt (quattro volte venti) significa 80, quatre vingt dix è 90 e così via fino al 99.

 




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Queste sono nove Tavole di conversione per le misure in uso nei mercati di Marradi e di Palazzuolo.





Perché fosse chiaro a tutti, nelle colonne del Municipio di Marradi erano state affisse le misure ufficiali già nei secoli precedenti. Il mercato settimanale del lunedì fu concesso nel 1428 quando i Fiorentini conquistarono il paese.





Le misure variabili di paese in paese hanno dato origine anche a qualche episodio gustoso. Per esempio le tessitrici di Palazzuolo usavano di solito il braccio di panno bolognese (64 cm) al posto del braccio di panno fiorentino (58 cm) usato a Marradi. Da qui forse viene il detto marradese “A Palazò ya el braza lǒnghi” usato come sfottò per dire che uno prende un po’ troppo per sé.

 


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