Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

martedì 28 maggio 2019

I Longobardi qui da noi

L’eredità di un popolo scomparso
Ricerca di Claudio Mercatali


I Longobardi (= dalla lunga alabarda) 
in un antico disegno.



Quando scompare un popolo? A rigore la scomparsa vera e propria non avviene, è un modo per dire che una popolazione è stata assimilata. In questo caso cessa la sua storia e la sua riconoscibilità, però rimane il ricordo confuso dei linguaggi, delle tradizioni, dei riti, delle leggi, e tutte queste cose filtrano nella cultura dei popoli che hanno prodotto l’assimilazione e sono il lascito di quella gente.

I Longobardi (dalla lunga barba o dalla lunga lancia) entrarono in Italia dal Friuli nel 568 d.C. e conquistarono rapidamente l’Italia settentrionale esclusa la Romagna e la costa marchigiana. Si formò così una frattura fra le regioni sotto il loro controllo, la cosiddetta Longobardìa e il territorio bizantino, detto della Romanìa. Questa spartizione rimase più o meno costante fino al 751 quando il re Astolfo sgominò i Bizantini e prese Ravenna.
Il fatto provocò le proteste del papa e la discesa in Italia dei Franchi, che dopo una serie di eventi sconfissero definitivamente il re longobardo Desiderio. Le vicende di questi secoli sono intricate e interessanti ma ora non sono il nostro scopo e poi è facile documentarsi anche su internet.

Adesso ci importa sapere che i Longobardi arrivarono in Toscana dal Passo della Cisa e dai valichi della Garfagnana nel 576 d.C. guidati dal mitico Duca Gummarith, e fondarono il Ducato di Tuscia, con capitale Lucca. Per questi abili guerrieri fu facile avere la meglio sulle popolazioni autoctone, afflitte dalle carestie, immiserite dalle tasse dei Bizantini e forse il loro arrivo fu ben visto. I loro capoluoghi vicino all’ appennino erano Pistoia, Arezzo e anche Firenze, che allora era una cittadina. Nella nostra zona il loro dominio si estese quasi subito oltre il crinale appenninico, fino alla linea Misileo, San Cassiano e Modigliana e non andò oltre finché Ravenna non cadde in mano loro.

Questo popolo non aveva una lingua scritta ma parlava un dialetto tedesco che abbandonò ben presto, nel giro di poche generazioni. Ecco qui accanto come lo storico dell' Ottocento Enrico Leo descrive questo fatto. Dunque non abbiamo nessuna lapide o documento in longobardo ma solo i nomi di alcuni posti, nel nostro caso filtrati attraverso il dialetto romagnolo e deformati dall’ uso e dal gran tempo trascorso. I casi classici sono i nomi San Martino in Gattara e Gattoleto (in quattro siti: al Passo del Torretto, del Peschiera, di fronte a Campigno, a Fantino sopra Val Zerbara), ma anche Casa del gatto (passo dell'Eremo) e Casa Gattoni (Abeto) derivati da wahtha, posto di osservazione, di guardia e infatti hanno tutti e sette una bella visuale. Mercatale, località di Casola Valsenio e di Galeata, deriva dal longobardo merkthalla che ha la radice sassone halla, “mercato coperto, protetto”, la stessa dell'inglese hall. Lo sappiamo perché il toponimo Mercatale si ripete spesso in Toscana in luoghi di confine, di incontro o scambio, in Val di Pesa, Prato, Vernio, Cortona e Loro Ciuffènna.

Un altro caso è Mont Ermȃn tradotto per errore in Monte Romano invece che in “Monte Ermanno”. Hermann in tedesco significa “fratello” e quindi il sito viene dal longobardo “monte dei miei fratelli”. Questo popolo era organizzato in clan e il riferimento alla famiglia era frequente. Così si spiegano anche i nomi Montemaggiore e Valmaggiore comuni qui da noi, e Valmaggio (S.Adriano e Lutirano), Poggio di Maio (Crespino), Camaggio (Palazzuolo), Casa del Maio (al Faldo di Campigno) che significano “sito alto (mont) o basso (val) dei miei antenati" (maiorum, i maggiori, i vecchi). In questo caso compare il sostantivo latino maiorum e dunque questi toponimi risalgono al tempo in cui i Longobardi avevano già perso la loro lingua ma non i loro costumi, cioè non prima del secolo VIII.


Il riferimento al clan, più vago, forse si ritrova anche in Farfareta, perché la fara era un gruppo di famiglie conviventi e imparentate. Qui da noi ci sono cinque esempi di questa parola: a Campigno, al passaggio a livello di Marignano (Farfareta e fosso di Farfareto), a  Castel dell'Alpi (sul confine con Portico) a Madonna dei Tre Fiumi (Ronta), a Lozzole (Fosso di Farfereta). In Toscana ci sono una sessantina di casi e anche in Umbria e in Abruzzo il toponimo è frequente. Per esempio  Fara San Martino è il paese abruzzese dove ha sede il noto pastificio De Cecco. Ecco dunque un criterio di ricerca: non avendo il riferimento della lingua madre si ipotizza una etimologia e si cercano altri posti con lo stesso nome e soprattutto con le stesse caratteristiche. Più se ne trovano e più diventa probabile l’ipotesi fatta.



Le famiglie portavano la parte del raccolto dovuto nella casa del padrone, la sala, da cui il nome Salecchio, Sala di Sopra e di Sotto (Mantigno) e Monte delle Salaiole (oltre Gamberaldi ma anche nel Mugello). Non si trovano altri casi qui da noi, però l’etimologia è certa: ci sono i Comuni di Sala Baganza (Parma), Sala Bolognese, Sala frazione di Bagni di Lucca, Sala Consilina (Salerno) e altri, tutti fondati dai Longobardi.



Oltre Campigno, nella zona che è già di Villore (Vicchio) si trova un’ altra parola longobarda ripetuta spesso, il borro, che è un corso d’acqua che raccoglie tante sorgentelle. Noi a Marradi diciamo (rio) o foss (fosso) ma il termine ricompare a Palazzuolo, nel Borro dell’Aghezzola (zona della Sambuca). Il Fosso Taluro (è il vecchio nome del Fosso della Cappellina, citato dal prof. Giuli che nel 1834 analizzò le sue acque sulfuree) potrebbe derivare dal tedesco tal = valle e unrein = inquinata, infetta, per l'odore di uovo marcio di alcune sorgenti. 



C'è un toponimo bello vicino a Ponte della Valle (Lutirano), che figura chiaramente del Catasto Leopoldino (1822) però manca nella cartografia successiva. Ha una possibile etimologia tedesca:

La Capanna di Pizzafrù (Psafrù) è alla sorgente di un fossetto: Spitze = posto alto.

C'è anche Rio Faggeto, nel fondovalle dell’ Acerreta a 450m di quota e i faggi non c’entrano perché vivono oltre i 700m. C’entra invece il cafaggio che era una proprietà recintata, una Bandìta, una fattoria, come il noto Castello mediceo di Cafaggiolo, nel Mugello. Questi tre siti sono nel raggio di un chilometro e quindi forse c’era un insediamento. Capita anche a Campigno, dove il Faldo di Sopra e di Sotto, da feld = campo, sono a poche centinaia di metri da Casa del Maio.

Però quasi sempre i nomi si trovano in ordine sparso:

A metà strada fra Crespino e Casaglia c’è la Balza dei frati, da balz = orlo. I frati non c’entrano: il podere di fronte si chiama Le Fratte e fratto o franto significa diviso, fratturato. La divisione è il confine fra le due parrocchie e oggi fra i comuni di Marradi e Borgo S.Lorenzo.
Al confine con San Benedetto c’è Il Becco da bik = capra e al confine con Modigliana c’è Briccola, da brik, il recipiente dove si faceva bollire il latte, in romagnolo e bréc.

Al confine con Brisighella, oltre la fattoria di Galliana c'è il monte Gaggiolo, dalla radice gahagi che significa dare in pegno (agli Arimanni, gli uomini armati).
A Sant’ Adriano lungo la strada Faentina c’è la Valchiera,  che era un laboratorio per la battitura della canapa, da walkan, schiacciare, ma forse anche da walk camminare. Ce n'è un'altra ad Abeto, lungo la strada per Modigliana.

Altri nomi di sospetta origine longobarda sono:

Casa Menaldi (a Lutirano) Casa Ripaldi (Palazzuolo) perché la radice finale – aldo, che poi divenne un nome di persona, significa “vecchio, anziano e anche servo”. Per esempio Menaldo sta per "uomo vecchio" e Gesualdo per "servo di Gesù". Oppure i toponimi che contengono la radice – ari, riferita agli Arimanni, come Marignano, il podere Linari (casa natale di Rocco Guerrini, a Santa Reparata) e forse Pian degli Arali e  Riale (Badia del Borgo) ma anche Le Ari, Ariguzze (Badia di Susinana) Pian dell'Aiara e Arale (Palazzuolo). Dunque Gamberaldi (Campus Araldi secondo lo storico Repetti) significa Campo degli Ari - aldi, ossia dei vecchi guerrieri e Gamberara sta per Campo degli Ari, così come forse Camperìa (Badia del Borgo).
Lo stesso vale per il suffisso - ingo/a, che qui da noi c'è nel nome dei poderi Bertalènga (Popolano) e Bertalinga (Abeto), però in Abruzzo e nell'Umbria è molto più frequente. Ci sono pochi dubbi per due termini con la radice man, (davanti) come Mancorti o suffissa (dopo), come Sermano, due poderi di Badia della Valle. 



C'è invece il dubbio per Corneta e Corneto (Palazzuolo), per Il Corneto, Il Corno, Le Corniete (Marradi), per il Passo del Corno o Corna (Modigliana). Il dubbio viene dal fatto che non è possibile che qui in zona ci siano "corna" da tutte le parti e quindi serve un'alternativa: i nomi potrebbero derivare dal tedesco korn, grano Infatti in ognuno di questi poderi c'è qualche campo pianeggiante e lavorabile, forse ottenuto per disboscamento al tempo dei tempi, mentre tutto attorno i monti sono molto ripidi e coperti dalla macchia.

Vallamento (podere di Lutirano) ha un'assonanza con il tedesco lamm, agnello, e quindi potrebbe essere l'equivalente di Vallagnello, podere di Sant'Adriano e anche di Palazzuolo. C'è infine assonanza per Linsetola, un podere di Trebbana, con linse = lenticchia nel tedesco attuale e - ola diminutivo. Tutto questo è interessante e in un prossimo articolo ne riparleremo.

Quindi i toponimi con probabile origine longobarda non sono pochi in assoluto, ma in percentuale rispetto ai nomi d’altra origine sono in netta minoranza.



Dove si stanziarono di preferenza i Longobardi quando arrivarono qui da noi?

 
Non lo sappiamo, ma con la distribuzione dei toponimi si può ragionare un po’. Probabilmente la zona del capoluogo, senza pascoli né terre facili da coltivare non fu la più gradita. Invece la piana di Sant’ Adriano era ottima, ma vicina al confine con l’Esarcato e allora i Longobardi allestirono una wahtha, (Gattara) cioè un posto di osservazione per evitare sorprese e una Scola (è il nome antico di Sant’ Adriano) da skult o sculca, luogo militare di vigilanza, com' è spiegato nell' Editto di Rotari che è qui sopra.



Nei resoconti della visita pastorale di don Ascanio Marchesini (1573) è segnata come "scola" anche Boesimo e in altri documenti anche Monte Romano e la parrocchia di San Lorenzo in Marradi (il circondario). Ci sono altri esempi nell’ appennino: Scola di Vimignano è un bel borghetto medioevale a Riola di Porretta Terme (Bologna) anche questo al confine con l’Esarcato. Questi nomi un po' astrusi si ricavano dai Codici delle leggi longobarde.



L'Editto del re Rotari è la principale raccolta di leggi longobarde, scritte in latino perché non c'era una lingua longobarda utilizzabile per i codici. Ecco qui accanto qualche esempio. Si tratta naturalmente di leggi in linea coi tempi, adatte alle consuetudini di quel popolo barbarico (dài una scorsa per fartene un' idea) …

Siccome erano allevatori la zona di Campigno sarà stata senz’ altro desiderabile (Faldo di Sopra e di Sotto, Casa del Maio, Gamberara, Farfareta, il Gattoleto, Pian degli Ari (Arali) ma forse apprezzarono di più la valle di Lutirano (Briccola, il Gattoleto, Casa Menaldi, Sermano, Rio Faggeto, Mancorti, Pizzafrù, Valmaggio) fertile e sicura, perché già signoreggiavano i feudatari di Modigliana, anche loro di origine tedesca e forse longobarda. Nel remoto anno 823 costoro erano già così forti e aggressivi da impadronirsi delle terre della corte Acereta e di Lutirano che erano dell’ episcopo (il vescovo) di Faenza, il quale si lamentò con l’imperatore Lotario di passaggio in città, diretto a Roma per l’incoronazione. Lo storico faentino Agostino Tolosano, morto nel 1226 nel suo Cronicon racconta il fatto così …

“Quodam tempore Romam pergens a Faventinis receptus est honorifice: qui curtem quandam Aceretam nomine ad pedes Alpium positam Faventino subposui comitatui; Lautiranum autem quod comes Tigrimus invaserat, restitui fecit episcopo”.


 Che tradotto sarebbe: … In quel tempo (è l’anno 823 d.C.) Lotario diretto a Roma fu accolto con onori dai Faentini: il quale fece sottomettere alla comunità di Faenza la corte chiamata Acereta posta ai piedi dell’Alpe che era sottoposta alla diocesi Faentina; e fece restituire al vescovo anche Lutirano perché il conte Tigrimo l’aveva invasa.

Così dalle nebbie dell’alto medioevo a cercare bene riemergono le tracce dei Longobardi, il popolo che non sapeva scrivere la sua lingua.

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