Lanfranco Raparo, Marradi

Lanfranco Raparo, Marradi

giovedì 18 novembre 2021

Te lo dico ... in Marradese

Tanti modi di dire in dialetto 
Ricerca di Claudio Mercatali 



Un modo di dire è un’ espressione dal doppio senso: uno figurativo e uno letterale e il primo illustra il secondo. Un esempio classico è la frase “vuotare il sacco” per dire “confessare un fatto, riferire tutto”. Ogni lingua ha i suoi modi di dire e oggi interessano quelli del Romagnolo parlato a Marradi. 

Quando si affronta il tema dei detti dialettali si rischia il più acceso campanilismo, perché ognuno pensa in cuor suo che la sua parlata abbia qualcosa in più delle altre e che i modi di dire in uso nella sua zona siano originari di quella, esportati poi altrove. Per evitare questo occorre chiarire che i detti qui di seguito sono comuni nel dialetto marradese corrente ma non si sa se sono stati inventati in questa zona e non sono più arguti di quelli in uso in altre realtà dialettali. Leggiamo:


E cȃn ed du padrǒn os morè ed fȃm 

Una punta di arguzia per significare che le cose a metà spesso sono trascurate da entrambi i proprietari. 

Non è il caso di questo cane bello grasso. 






Fèr con fèr o sguigna
Uno dei motti più noti del particolare dialetto di Campigno: significa che due pezzi di ferro senza guarnizione non legano, cioè due persone rigide sono poco solidali. Se le cose vanno avanti lo stesso il detto ha un seguito: ... però e trȇn o và ...

Do con pasa e chéld 
όn pasa gnȃnc e frèdd
E' un altro detto campignese, una specie di enunciato per una nuova legge sull'isolamento termico.


A Palazό ià el braza lǒnghi
Un detto che forse risale a prima dell’ introduzione del Sistema Metrico Decimale (a fine '700). Il Braccio di panno bolognese usato dalle tessitrici di Palazzuolo era più lungo del Braccio di panno fiorentino delle tessitrici di Marradi.

Palazό: i dà la roba e pù i l’arvό
E’ uno sfottò verso “quelli del paese accanto”, una situazione tipica delle realtà paesane di un tempo e a volte anche di quelle odierne. Si dice a chi vuole le cose indietro, che sia di Palazzuolo o no.


A Palazό a quèll cό calì un dò i tayè la mȃn

Significa “A Palazzuolo a quello che calò un due gli tagliarono la mano”. Si dice di una cosa da non fare mai più. Il “due” a Scopa, il noto gioco a carte, amplia di molto le possibilità di presa per l’avversario e si deve calare solo se si è costretti.

O m'ha badzé ǒn ed Palazό
Mi ha battezzato, badzè, (= fregato) uno di Palazzuolo, sò come vanno queste cose, ci sono già passato.


O ya dé l’emsùra

Si dice di uno che dà le misure di una cosa sua ad un altro per burla, perché se la faccia anche lui. Gigi di Monte Romano mandò al nonno del veterinario Francesco Catani le misure in lungo e in largo di un cappelletto, per dire che a casa sua lui mangiava bene. Il dott.Giovanni Catani era un ricco proprietario terriero di Lutirano, in risposta gli mandò le misure di una banconota di grosso taglio, da 1000 lire.

L’at onn' è bèl

Indica il manifestarsi di un fatto del quale non si vede il compimento ma solo l’inizio poco rassicurante.


... La tira la Corȇna encù!

Significa “spira la Corìna oggi!”. E’un vento locale caldo e umidiccio, che mette di malumore. Si dice riferito a una persona maldisposta e intrattabile.

O s’è arfàt ed nòt
Detto di una guarigione provvisoria, è derivato dalla convinzione popolare che un miglioramento meteo notturno sia effimero.

L’è l'aqua ed luy clà fà maturé i marǒn.
La pratica agraria dice che se non piove d’estate i marroni non maturano. Si usa per dire che in un certo evento mancano le premesse per una favorevole conclusione.


L’ha dbù l’aqua di alòcc

Si dice che l’acquedotto degli Allocchi dà un’ acqua buona e il forestiero che l’ha bevuta tornerà.


Sit edbù dl’asì ȃnch encù?
Hai bevuto dell’aceto anche oggi? Detto a una persona brusca e acida.

En tla caléda tόtt i zòcc i rulla
In discesa tutti i ceppi rotolano. Per dire che se non ci sono problemi tutte le cose vanno da sole.

Tu sì piò endrì dla martinécca

La martinicca era un freno a ceppo dietro al barroccio.

L’è lǒng còm una mèssa cantéda
La messa cantata ha un rituale che dura molto.

Onn’ emporta arvolté la pieda s' lè bruséda.
Ossia è inutile insistere su qualcosa che è ormai andata male.

O va cǒm una pàla da sciòp
Va forte come una palla da schioppo. Detto di uno veloce, rapidissimo nelle sue cose.

L’è sudge cǒm e bastǒn de poléi
Il bastone del pollaio serviva per ammucchiare la cacca delle galline.

O t'ha merlé

Ti ha merlato, fregato. Il merlo è un uccello vispo e svelto.

L’è un pόre cùc
Il cuculo ha la nomea di essere un po’ lamentoso e depone le uova nei nidi altrui per non allevare i piccoli.


O magnarèbb e fug

Detto di una persona che sa fare cose che sembrano impossibili. Questi qui accanto sono “i mangiatori di fuoco” alla festa per E lǒm a Mérz del 28 febbraio 2014, a Popolano.

On sa fè niȃnc a pianté i ciud
Detto di uno che non sa fare niente. Per piantare un chiodo basta battere per bene con un martello e non servono abilità particolari.




L’an sa fé niȃnc a sré i caplìtt

Detto di una che non sa fare niente. Per chiudere i cappelletti (sré) si mette il ripieno (l’intrìs) nella sfoglia e si avvolge come si vede qui accanto.

La s’ è vésta la pǒnta de nés
E’ una stizzita critica per una ragazza che si atteggia perché è accorta di essere desiderata.

L’hai gì la lévre a e rosp: “t’andarì ȃnch fόrt ma la faza t'un lì”
Disse la lepre al rospo: andrai anche forte ma la faccia non ce l’hai. Riferito ad una persona che si vanta in modo poco credibile di qualcosa.

L'è proprie un vdòc
E' proprio un pidocchio, un avaro.

O l'ha compré con un sciòc ed frusta
L'ha comprato con uno schiocco di frusta, ossia è stato svelto e l'ha pagato poco.

Perchè l'amicizia l'as mantȇnga o tòcca chè ǒna sportȇna la vega e ǒna la vȇnga
Un invito a contraccambiare.

O torrèbb sò ȃnch l'ǒmbra di fòss
Prenderebbe (o mangerebbe) anche l'ombra dei fossi. Detto di un avido o di un famelico.

O cǒnta cǒm e dò ed brèscla
Conta come il due di briscola, cioè poco.


L'è lǒnga la guiéda!
La guiéda è il filo da cucire infilato nell'ago. E' un detto esclamativo per significare che c'è ancora molto da fare.

T' un si méi te mang
Non sei mai nel manico, ossia non sei mai pronto per fare quel che c'è da fare.

Tut i sas i và a la maséra, tutti i sassi vanno nella mucchia (la maséra era la catasta dei sassi utilizzabili che si accantonavano vicino a casa). E' l'equivalente di "piove sul bagnato".

Il Romagnolo non è una lingua scritta e non ha tutte le regole grammaticali o lessicali per esserlo. La dizione scritta delle frasi è quindi difficile e anche opinabile. Qui sono state seguite le indicazioni del glottologo Schurr per quanto riguarda gli accenti, ossia:

Le vocali con l’accento circonflesso, ȃ ǒ ȇ indicano una pronuncia detta nasalizzata se sono seguite soprattutto dalle consonanti m e n. Per chi non è romagnolo la vocalizzazione nasale è quella che un francese fà quando dice il cognome del presidente Macron. Se siete toscani potete provare a tapparvi il naso e farlo anche voi cercando di marcare la enne il meno possibile, ma non otterrete dei grandi risultati perché i fonemi del tosco sono altri.
Le vocali dentro la parola dove cade l’accento (le toniche) vanno accentate, cosa che in italiano non si fà quasi mai ma in francese si fà spesso. Le vocali e ed o possono avere due tipi di accento: rivolto all’ indietro indica una pronuncia aperta come in pèsca (il frutto) e rivolto in avanti una pronuncia chiusa come in pésca (lo sport) oppure come in còsto e in costόro. 
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Nella parte alta del Comune di Marradi comincia la parlata mugellana, ricchissima di detti, motti, lazzi e frizzi. Da noi ce ne sono pochi:

Qui si imbotta per lo zipolo

Ossia si riempie la botte attraverso lo zipolo. Per dire che si fanno le cose a rovescio. Lo zipolo è il rubinetto che serve per spillare il vino.

Per i bìscher oggnè e Paradìs
E' la traduzione del detto originale toscano: Per i Bischeri un c'è paradiso.
I Bischeri erano una famiglia fiorentina che aveva una casa dove ora c'è il duomo. Al tempo della costruzione della chiesa il Comune di Firenze acquistò gli edifici circostanti per demolirli ma i Bischeri rialzavano di continuo il prezzo finché un giorno per motivi che non si sanno, la loro casa prese fuoco e non incassarono niente.


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Marradi, piantan fagioli e nascon ladri
E’ uno sfottò nei nostri confronti. L’avrebbe detto Dante Alighieri quando gli rubarono l’ombrello una volta che passò da Marradi. Qui accanto c'è una feroce critica al deputato marradese Celestino Bianchi, fatta da un suo concorrente alle elezioni politiche del 1861, che prende spunto proprio dai fagioli.

Non ne so più ma ci sono molti altri modi di dire. Se qualcuno me li dice li aggiungerò.


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